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"I giudizi della storia" di Sergio Romano.

Recensione di Alessandro Bedini.

Ricercare nel passato le radici storiche del presente è un difficile esercizio intellettuale nel quale si cimenta con eleganza e capacità Sergio Romano, servendosi ampiamente delle armi del “ mestiere”, quello di diplomatico e di storico, che padroneggia con inusitata destrezza.
Ne viene fuori un affresco affascinante, a metà tra la divulgazione e l’indagine scientifica, una miscellanea di saggi comparsi sul Corriere della sera, sulla Rivista di Storia Contemporanea, su Relazioni Internazionali, oltre a prefazioni di libri usciti negli ultimi anni.

Il titolo dell’ultimo libro di Romano è impegnativo: I giudizi della storia, (Rizzoli, pagg. 495, € 19,00) a significare che la storia non è scritta una volta per tutte e inoltre si può, si deve fare anche con i se e con i ma.
Pare che Romano abbia fatto propria una antica massima latina: “ rerum conoscere causas” è necessario conoscere la causa delle cose, e per questo è andato a sviscerare quelle tante zone d’ombra che i secoli della modernità ancora custodiscono gelosamente.

Quanti sono a conoscenza che Stalin da giovane era un agente della polizia zarista? O che gli Alleati erano probabilmente a conoscenza dello sterminio degli ebrei almeno a partire dal 1942? Qual è il rapporto tra il conflitto latente verificatosi tra Gran Bretagna e Russia nella seconda metà del XIX secolo per il controllo dell’Asia Centrale e l’attuale politica di intervento delle potenze occidentali in Afghanistan e Irak? Per non parlare della cinquantennale crisi israelo-palestinese.

Il Novecento – secondo Romano – non è stato ne migliore ne peggiore di altri secoli, solo che gli eventi verificatisi sono ancora oggi oggetto di dibattito politico prima ancora che storico, sono insomma ferite aperte e quindi vengono portati dai mass media all’attenzione di un pubblico sempre più digiuno della Storia con la esse maiuscola.

“Esiste oramai un mercato della storia – lamenta Sergio Romano – il cui consumo sta vertiginosamente aumentando”. Ma non è detto che sia un bene.
Le grandi guerre civili che si sono combattute in molti paesi europei tra il primo e il secondo conflitto mondiale, trovano le loro origini nell’idea di “patria ideologica” che i partiti comunisti d’Occidente riconoscevano nell’URSS, pur vivendo nelle democrazie liberali, ma un simile ragionamento non compare spesso nei libri di storia e men che meno sui manuali scolastici che dovrebbero, il condizionale è più che mai d’obbligo, formare le giovani generazioni. L’esito di tali conflitti seguì quello della Seconda Guerra Mondiale: da una parte le potenze democratiche dove la guerra fu vinta dagli anglo-americani; dall’altra i regimi comunisti, in quei territori dove era arrivata per prima l’Armata Rossa.

Per l’Italia le cose furono più complicate. L’autore de I giudizi della storia, sottolinea come nel nostro paese se la guerra esterna fu vinta dalle forze alleate, quella interna fu determinata dal Partito Comunista. Non solo, in Italia i fascisti erano tanti e non potevano essere eliminati tutti, dopo violenze e sopraffazioni molti di loro vennero reintegrati nella società civile ma privati del “ diritto alla memoria”, considerati in molti casi esuli in patria e tutto ciò ha avuto conseguenze sul presente.

Anche l’Europa viene passata al setaccio, la politica estera delle grandi potenze, tra XIX e XX secolo, l’ascesa e il declino degli imperi europei, il rapporto tra Oriente e Occidente, altro tema di stringente attualità.

Equilibrato, documentato, raffinato e piacevole, il libro di Sergio Romano è una lettura consigliata a tutti coloro che rifuggono dalle semplificazioni, che credono/sperano che qualcosa cambi nei giudizi storici, è vivamente sconsigliato invece a chi si augura il contrario ed è pronto ad agitare la clava dell’accusa di revisionismo che è sempre dietro l’angolo, una specie di moderna caccia all’untore. E’ indicato infine a chi non si accontenta del classico piatto di lenticchie che la maggioranza dei mezzi di comunicazione di massa dispensa quotidianamente.

Lucca, 25 agosto 2006
Alessandro Bedini

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