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COSA C’E’ DI NUOVO O DI VECCHIO , nel progetto di nuovi Partiti politici.

Di Antonio Rossetti.

Sembra vi sia una ripresa del dibattito sui partiti, su nuove aggregazioni e nuove creazioni.
Si parla di partito democratico nel centro sinistra , di nuovo partito nell’ambito del centro destra, ma del tutto nebulosa appare, ancora oggi, sia la fase di costruzione, chi e con chi, sia la caratteristica, cioè come deve essere, e soprattutto per quali obiettivi, quindi i contenuti.

Premetto di essere favorevole ad una forma di partito che abbia organismi decentrati e che sia strutturato ai vari livelli, con le relative responsabilità e nel quale sia i contenuti che le candidature sono decise dagli aderenti, che ovviamente pagano le loro quote di partecipazione avendo scelto di aderire.
Un modello dipartito che presenta alcuni difetti o limiti e che può apparire lento o burocratico, ma che ha il pregio di favorire la partecipazione, a differenza di altre forme di partito.

Il panorama già esistente è ricco di presenze partitiche, già catalogate:
i partiti monocratici o del leader, già ce ne sono molti;
i partiti cartello che si preoccupano di far parte di una alleanza per poter usufruire dei soldi pubblici che vengono attribuiti in relazione ai risultati elettorali, pur in assenza di strutture e di aderenti;
i partiti cosidetti pigliatutto che invece si caratterizzano per la trasversalità dei programmi;
i partiti strutturati, con vita ed attività di partito , con presenza organizzata, e organi che decidono, questi ultimi appaiono vecchi e lenti, e purtroppo sono sempre meno presenti.

E’ pur vero che parlare di partito significa dover parlare di istituzioni e di sistemi elettorali, anche in questo caso sono convinto del sistema proporzionale, rivedendo quello attuale che è una bruttissima interpretazione, e del pluripartitismo.
Sono allergico, ancora, ai cosiddetti partiti unici, o unico, e neppure sono convinto del bipolarismo che viene inteso come bipartitismo, in fase conclusiva del processo.

Ritornando al nuovo percorso, se le proposte sono una ripetizione corretta dell’esistente nel senso che , cambia il leader o ne vengono due o tre e non cambia niente nella formazione dei programmi, della vita come partecipazione alla formazione delle decisioni, in sostanza se le sedi di confronto , di proposta e di decisione restano i salotti delle tv, pubbliche o private che siano, non cambierà nulla se non il nome.
Se pensiamo di scimmiottare altre esperienze ultracentenarie pensando di inculcarle nel nostro Paese sarà difficile farlo.
Se invece qualcuno è in cerca di nuovi finanziatori più o meno espliciti, che cosa può cambiare?
Se il modello rimane uno dei tanti già esistenti e fallimentari, tanto da volerli cambiare, a cosa serve fare tanto baccano?

Il percorso, se si vuole, utopico è quello di proporre uno schema di principi e di valori sui quali articolare la struttura, con regole e meccanismi di garanzia vera, dare contenuto a linee di programma che operano delle scelte di campo, e dare largo spazio alla partecipazione proprio per quelle decisioni che rendano effettiva e coinvolgente la partecipazione stessa.
Questo può apparire un modello superato, ma i dati di partecipazione elettorale, anche nella nostra provincia, dimostrano che il nuovo non ha migliorato per nulla ciò che del vecchio si andava criticando.
Se al primo turno del 2006 ha partecipato poco più del 50% degli aventi diritto al voto è molto probabile che insieme a tanti altri aspetti vi sia un problema di distanza tra cittadini e rappresentanti eletti.
Se è vero che le strade facili non portano da nessuna parte sarà bene, prima di fare altri errori, riflettere su questi ultimi 14 anni per dare risposta al problema del distacco dalla politica e dai partiti, su questo ricostruire forme di rappresentanza che riaprano ai cittadini e non accordi di vertice fatti con il bilancino.

Lucca, 20 luglio 2006
Antonio Rossetti

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