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Referendum del 25 e 26 giugno 2006: Una risposta da cittadino

Lettera di Piero Angelini

Caro Razzuoli,

ho letto con interesse l’appello, tuo e di altri amici “trasversali”, reso pubblico tramite “La Fucina delle Idee”, e riapparso oggi sulla stampa locale, per un chiaro no al referendum del 25 e 26 prossimi.
Ti manifesto qui le mie perplessità. Io sono d’accordo, naturalmente, che la Costituzione, fatta con il contributo ed il concorso di tutte le forze politiche e culturali, uscite dalla Resistenza, debba essere modificata tramite il concorso di tutti. Se ciò non è avvenuto, nel 2001 per responsabilità del centro sinistra, nel 2005 per responsabilità del centro destra, non è stato, però, per la malvagità di qualcuno, ma per la logica politica che sottintende all’attuale sistema politico, che spinge alla contrapposizione dei poli e alla loro autosufficienza, anche nelle riforme costituzionali.
I tentativi generosi, prima del duo D’Alema-Berlusconi , poi, nella passata legislatura, di Follini, confermano tutto ciò.

Pensare, dunque, che, votando no, si possa dar luogo ad un processo virtuoso, che spalanchi le porte addirittura ad una nuova “fase costituente”, come da voi auspicato, mi sembra francamente difficile.

Al riguardo mi ha convinto quanto scritto da Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del l’1/06/2006: dopo aver sottolineato che le parti più importanti della riforma entrerebbero in vigore nel 2011 e che dunque ci sarebbe tutto il tempo per “intervenire sugli aspetti più insoddisfacenti del testo, in particolare, per modificare composizione e prerogative del Senato”, che, così come congegnato, costituisce “il principale punto debole della riforma”, egli ritiene che, in caso di vittoria del sì, ciò sarebbe possibile, mentre in caso di vittoria del no, risulterebbe praticamente impossibile, perché, innanzitutto, “ è tuttora molto forte in questo Paese l’area dei conservatori costituzionali ad oltranza, persone che (legittimamente) ritengono la Costituzione vigente la migliore delle Costituzioni possibili “ e che in caso di vittoria dei no “ si appellerebbero legittimamente al responso degli italiani per bloccare ogni nuova ipotesi di riforma”;
in secondo luogo, per il fatto che nella maggioranza di centrosinistra “ ci sono molti gruppi contrarissimi al premierato e questi gruppi farebbero valere il ruolo che svolgono ai fini della stabilità del governo per bloccare nuovi tentativi di riforma” ( come dichiarato pubblicamente da Rifondazione comunista, Comunisti Italiani, Verdi);
in terzo luogo, con riguardo alla riduzione dei parlamentari, preludio ad una drastica riduzione dei costi della politica, “ciò è accaduto per una specie di miracolo, probabilmente perché molti parlamentari del centrodestra non credevano in cuor loro che la riforma sarebbe davvero andata in porto”; ma “ è difficile che i miracoli si ripetano due volte”.

Quanto al contenuto della riforma, la vostra posizione è certamente più cauta di altri, che parlano addirittura di attentato alla democrazia, o di un pericolo di frantumare l’Italia in tante realtà contrapposte.

Anche qui, mi piace ricordare che il prof. Augusto Barbera, ispiratore dell’appello al no da voi firmato, è sempre stato molto cauto nel prefigurare pericoli o rischi derivanti dalle nuove disposizioni costituzionali, se, all’indomani dell’approvazione della riforma , su La Nazione del 16/11/2005 ( p. 7), osservava, per quanto riguarda i presunti pericoli del federalismo , che “ la riforma rappresenta un passo indietro in senso centralista rispetto a quella approvata dal centrosinistra nel 2001”, infatti “il centrosinistra aveva allegramente trasferito alle regioni alcune materie come l’energia, le grandi vie di comunicazione e l’ordinamento delle professioni, che torneranno invece ad essere di competenza dello Stato…”; che inoltre “ è stato reintrodotto il limite, cancellato dal centrosinistra, dell’interesse nazionale.
E se la riforma del 2001 prevedeva che anche una sola regione potesse ottenere maggiori poteri alimentando così lo squilibrio tra nord e Sud, ora il trasferimento delle funzioni deve essere uguale per tutte”; quanto poi al trasferimento di sanità, scuola e polizia locale alle Regioni, Barbera faceva osservare che “le norme generali sulla salute, come quelle sull’ istruzione, restano competenza esclusiva dello Stato”; mentre , per quanto riguarda la polizia locale, la riforma riconosce alle Regioni “quei poteri di polizia amministrativa locale di competenza regionale da trentanni”.

Ti risparmio, poi, le osservazioni sugli altri aspetti della riforma, in particolare su quello relativo alla forma di governo, con il potere del premier di promuovere lo scioglimento del Parlamento, su cui il professore ironizzava, nei confronti di chi evocava i pericoli di una deriva autoritaria, che erano discorsi “ da far cadere le braccia: sia Schroeder sia Blair hanno sciolto anticipatamente i loro parlamenti e a sinistra nessuno li ha paragonati a Mussolini”.

Semmai, è da osservare, sempre rispetto al tema della devolution, che, sul Corriere della Sera del 27/05/2006 (p.3), Vannino Chiti, attuale Ministro per le Riforme e a capo di uno schieramento che denuncia i pericoli, derivanti dalla riforma, della frantumazione del Paese, ha affermato che il punto che deve essere sicuramente cambiato, sia proprio il criterio dell’interesse nazionale, introdotto giustamente dall’Udc nella riforma; afferma infatti che il Parlamento dovrebbe “ripartire le competenze tra Stato e Regioni senza prevedere, sempre, come vuole il centrodestra, che il governo possa sospendere una legge votata da un consiglio regionale”.

In conclusione, ragionando da semplice cittadino, non da uomo politico ( un profondo fastidio mi ha dato infatti la pesante ipoteca dei due poli sul referendum ed i vari tentativi di utilizzare il referendum per giochi di schieramento), mi sembra che se ( cosa altamente improbabile) vincessero i sì, non si verificherebbe quello sfacelo che anche voi paventate da una riforma giudicata “pasticciata”.
Per tornare alle parole di Panebianco, avremmo infatti “un nuovo ordinamento caratterizzato da un premier forte, dalla fine del bicameralismo perfetto…, una drastica riduzione del numero dei parlamentari e una correzione abbastanza ragionevole ( per lo più in senso centralista) della pessima devolution…voluta dal centrosinistra nel 2001”.

Con affetto.

Lucca, 23 giugno 2006
Piero Angelini.

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