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Voglia di centro: bisogno di respirare aria nuova nella politica italiana.

di Paolo Razzuoli

Nel linguaggio della politica, e’ di uso corrente il ricorso a categorie geometrico-spaziali per indicare stagioni di governo, scelte strategiche dei partiti, atteggiamenti del corpo elettorale.

Non mi addentro certo in questa sede nell’ardua impresa di approfondire il senso di queste categorie: vi sono scritti di illustri filosofi e politologi che indagano il senso di categorie quali "destra", "sinistra", "centro" e cosi’ via.

Al di la’ delle interpretazioni politico-filosofiche, basta aprire un giornale o accendere un televisore per renderci conto di come queste indicazioni siano paradigmatiche del linguaggio della politica.

Nella stagione che stiamo vivendo, le categorie politico-geometriche sono sostanzialmente tre: il centrodestra, il centrosinistra, il centro. La storia recente del Paese ha visto il sorgere di due schieramenti: il centrosinistra ed il centrodestra, frutto delle trasformazioni del sistema politico operato dagli avvenimenti dell’inizio degli anni ’90.

Molte erano le aspettative che il Paese riponeva nel nuovo assetto. Si usciva da una stagione nella quale i partiti avevano fortemente condizionato le scelte politiche, sia a livello centrale che periferico, attraverso un’invasione di campo nella sfera amministrativa che li poneva al di fuori del loro binario di marcia.

La parola d’ordine era la lotta alla partitocrazia. Si gridava a gran voce la necessita’ del primato della societa’ civile sui partiti, si incriminava l’intero sistema dei partiti di governo additati quali strumenti di ogni tipo di malefatte e di sopprusi.

In questo clima, nel quale non sempre tutto si mosse nel rispetto delle regole dello stato di diritto, il plebiscitario risultato del referendum del 1993 venne vissuto quale occasione per un cambiamento di pagina nella storia del Paese.

Si penso’ che era giunta l’occasione per un ricambio totale della classe politica, la sinistra ritenne che, dopo decenni di astinenza era giunto il suo tempo, si penso’ che, finalmente, sarebbe stato colmato il divario fra una presunta societa’ incontaminata ed una classe politica arrogante e corrotta.

Purtroppo, non tutte le ciambelle riescono con il buco. Certo quella impastata da chi allora si illudeva di aver creato le premesse di una nuova grande stagione della vita politica italiana, oltre a non aver il buco e’ anche miseramente bruciata.

A 12 anni da quel referendum, nessuna delle aspettative e’ andata a segno.

Si voleva ridurre il numero dei partiti, invece esso si e’ accresciuto; si voleva colmare il solco fra societa’ civile e mondo della politica, invece si e’ ancor piu’ approfondito; si voleva ridurre l’invasione dei partiti, si e’ invece ridotta la capacita’ di scelta dei cittadini, come attesta, ad esempio, la legge elettorale per il consiglio regionale della Toscana; si volevano gettare le basi per una nuova partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica, mentre e’ sotto gli occhi di tutti la disaffezione che si manifesta anche attraverso la crescita degli astenuti alle elezioni politiche e amministrative.

Ma il peggio, a mio avviso, va individuato nella creazione forzata di due schieramenti, figli di eventi convulsi e per molti versi estranei a qualsiasi processo di maturazione politica, pensati per accumulo numerico anziche’ per condivisione di strategie politiche.

I due schieramenti sono cosi’ risultati due gabbie nelle quali si trovano a convivere forze eterogenee, la cui diversita’ rappresenta un ostacolo a qualsiasi strategia di governo di ampio respiro.

Il bipolarismo, nelle democrazie ove e’ consolidato, presuppone un’ampia sfera di condivisione, soprattutto laddove sono in gioco importanti interessi nazionali e nella sfera delle regole del gioco e della costruzione e tutela dei meccanismi di funzionamento istituzionale.

Da noi, il dibattito politico si e’ di sovente tramutato in uno scontro scomposto, anche su temi vitali quali le riforme istituzionali, che dovrebbero essere affrontati con la consapevolezza che le scorciatoie dei colpi di maggioranza hanno il respiro corto.

Immaginate cosa potra’ accadere se per ogni cambio di maggioranza si mettera’ mano a riforme istituzionali!!! Il Paese si troverebbe in una situazione di instabilita’ dalle conseguenze imprevedibili.

La complessita’ della contemporaneita’ reclama dalla classe politica uno sforzo di elaborazione che privilegi il lungo respiro alle "Querelle" di bottega. La societa’ occidentale, quindi ovviamente anche l’Italia, e’ chiamata a sciogliere nodi vitali per la sua sopravvivenza. Ai nodi di natura etico-filosofica, (si pensi ai guasti prodotti dal relativismo), si aggiungono i problemi economici, conseguenza della moltiplicazione dei mercati e della globalizzazione.

La politica e’ insomma chiamata ad un banco di prova decisivo.

Entrambi i due schieramenti italiani si presentano fragili ed inadeguati per affrontare i temi sul tappeto.

Da una parte un centrosinistra diviso su tutto, condizionato dalle istanze della sinistra estrema, privo di un programma, animato da un livore verso l’avversario ma non supportato da una credibile capacita’ propositiva. Dall’altra un centrodestra che, dopo aver ingenerato nel Paese grandi aspettative, lo ha deluso per la sua incapacita’ di attuare il disegno riformatrice che aveva promesso, per l’aggressivita’ della lega e non solo, per aver voluto una riforma istituzionale tecnicamente discutibile e politicamente sbagliata che ha allontanato l’elettorato moderato, per aver privilegiato una politica fatta di scorciatoie pseudo-efficientiste in luogo del piu’ faticoso ma necessario percorso del coinvolgimento democratico.

Si e’ ingenerato un senso di sfiducia che ha portato gli elettori a scelte "contro" anziche’ a scelte "per". Si vota contro chi ha governato anziche’ votare a favore di un progetto politico.

In questo contesto va inserito il dibattito che si sta sviluppando attorno al centro.

La domanda e’ questa: cosa significa oggi parlare di centro? Ecco la mia opinione.

Dico subito che non penso certo ad una forza che si muova, trasformisticamente, un po’ verso destra ed un po’ verso sinistra. La mia scelta e’ chiara: quella del campo alternativo alla sinistra, giacche’ il mio pensiero sui grandi temi della contemporaneita’ si innesta sul filone politico-filosofico del popolarismo europeo. Certo, immagino questo campo con contorni assai diversi rispetto a quelli attuali.

Penso ad un luogo della politica nel quale venga privilegiata l’attenzione ai grandi interessi del Paese, nel quale si abbia consapevolezza che le istituzioni non debbono essere aggredite dalla maggioranza di turno, nel quale si ritrovi il coraggio di parlare dei veri problemi della gente, nel quale si abbia piena coscienza della necessita’ del confronto democratico anche laddove dovesse rivelarsi faticoso, nel quale si sappia costruire un progetto politico che rispetti e valorizzi la persona umana, nel quale venga costruita una politica economica che sappia coniugare crescita economica e garanzie sociali, nel quale si impegni una classe dirigente fatta di personale politico che interpreti il proprio ruolo non come sultani, ma come leader democratici, capaci di costruire attorno a se’ un reale processo di partecipazione nelle scelte.

Occorre, insomma, recuperare a pieno le ragioni della miglior tradizione cattolico-liberal-democratica, che ha avuto nella Democrazia Cristiana la sua massima espressione nella storia recente del Paese, filtrarla nella contemporaneita’, farne sostanza di un progetto politico per l’avvenire.

Se oggi tanto si parla di centro, io credo che lo si faccia proprio perche’ si comprende bene l’insufficienza del ciclo politico che stiamo vivendo, che io credo stia giungendo al termine.

I risultati delle ultime tornate elettorali attestano una profonda crisi del "berlusconismo" che, specularmente, portera’ ad una crisi dell’antiberlusconismo che e’ poi l’unico collante che tiene unita la coalizione di centrosinistra.

In questa prospettiva, appaiono lungimiranti le indicazioni del congresso dell’UDC ed i richiami fatti con forza da Casini, Follini, Tabacci ed altri esponenti del partito. Parlare di discontinuita’, anche nella leadership, e di "piu’ centro", penso voglia sottolineare un modo di far politica che si ispiri al modello che ho sopra sinteticamente tratteggiato.

Il nuovo partito dei moderati potrebbe essere una preziosa occasione.

Occorre pero’ che venga colta nella sua peculiarita’ di grande momento di riflessione, anche di profonda autocritica, con la volonta’ di dar vita ad uno strumento nel quale possano riconoscersi i milioni di italiani, credo la maggioranza, che si sentono orfani di una autentica rappresentanza politica. Se viene vissuta strumentalmente, come sembra spesso viverla anche Berlusconi, sara’ un’occasione mancata. Non si fa il partito nuovo per mettere a tacere chi pone problemi seri. Cosi’ facendo si alimenta sfiducia e si favorisce la coalizione avversa.

Sono certo che anche negli altri partiti nazionali della Casa delle Liberta’ questa valutazione trova ampi spazi di condivisione. E’ da augurarsi che anche li’ ci sia chi trovi il coraggio di uno scatto di reni, necessario per far saltare certe resistenze e certe imposizioni di una classe dirigente che sembra piu’ incline a tutelare se stessa che non a sviluppare un progetto politico.

Occorre andare oltre la Casa delle liberta’, intendendo con cio’ affermare la necessita’ di dar vita ad un partito che sia in grado di attrarre l’interesse ed il consenso anche di quei moderati che oggi, in ragione di alcuni connotati dell’attuale centrodestra, si sono collocati dall’altra parte.

Qualcuno dice, un po’ semplicisticamente, che basta recuperare i consensi del 2001. Se dal punto di vista meramente numerico il discorso appare lapalissiano, altrettanto non puo’ dirsi sul versante politico. Chi afferma questo non riesce a cogliere un aspetto fondamentale del problema: le inadeguatezze dei due schieramenti, quindi anche dell’attuale centrodestra, ad affrontare i nodi che vanno inderogabilmente sciolti. Andare oltre la Casa delle liberta’ vuol dire lavorare per creare un polo alternativo alla sinistra che risulti piu’ adatto all’assunzione di autentiche responsabilita’ di governo.

A Al di la’ di problemiche attendono una soluzione, basti pensare al comparto del credito che ci sta offrendo uno spettacolo indegno di un grande paese, a nessuno puo’ sfuggire che i prossimi anni esigeranno dalla classe politica grande coraggio e forte assunzione di responsabilita’. Le mutate condizioni economiche mondiali, il complesso scacchiere internazionale, la gestione dei flussi immigratori e cosi’ via, richiederanno scelte che solo una classe politica coesa e convinta potra’ adottare. Risulta veramente difficile immaginare che in queste condizioni si potranno progettare e realizzare politiche coerenti con i tempi che viviamo.

Non e’ un caso che una figura di primo piano, Mario Monti, abbia rilanciato l’esigenza del centro quale parametro di metodo e di contenuto politico.

E’ evidente che il nodo politico interagisce con la legge elettorale.

E’ giunto il momento di valutare, senza paraocchi, gli effetti del cosiddetto "Mattarellum": dopotutto sono ormai trascorsi 12 anni dalla sua promulgazione, un tempo lungo ove si tenga presente l’accelerazione degli eventi nella contemporaneita’.

Il ritorno al proporzionale non deve essere vissuto come il frutto di un pensiero nostalgico, ma come lo strumento per riformare scenari politici inidonei. Il proporzionale contribuirebbe insomma a far saltare la gabbia che costringe i partiti moderati ad allearsi con partiti culturalmente inadatti alle responsabilita’ di governo.

Mi auguro che l’UDC sviluppi con tenacia la sua azione in favore del proporzionale e che nel Parlamento si abbia consapevolezza di come esso aiutera’ positivamente l’evoluzione del sistema politico.

Infine alcune riflessioni sulla situazione locale.

L’UDC e’ impegnato in un lodevole sforzo di riflessione in vista del suo secondo congresso provinciale.

Organizzata dalla segreteria del comitato comunale di Lucca si e’ svolto un incontro-dibattito che ha registrato un interessante livello del dibattito ed una piena consapevolezza dei temi sul tappeto. Altri incontri sono previsti ed e’ da augurarsi che possano rappresentare altre tappe di un percorso di autentica riflessione.

E’ auspicabile che il congresso doti il partito di una dirigenza autorevole, indipendente da centri di potere in grado di esercitare ricatti, lucida nell’analisi e concreta nella sintesi.

E’ evidente che le scelte locali saranno fortemente condizionate dagli eventi nazionali. Non posso pensare, tuttavia, che si possano ignorare le potenzialita’ di laboratorio politico che offre la dimensione locale.

Le scelte che saranno fatte per le elezioni provinciali sono un banco di prova.

L’UDC dovra’ impegnarsi in uno sforzo di elaborazione politica, e in una scelta di orgoglio che gli conferisca quell’autonomia attesa da ampi strati della societa’. Un’autonomia di pensiero coerente con le potenzialita’ del partito, che dovra’ emanciparsi da quella sorta di sudditanza che a volte sembra addormentarlo.

Il rinnovo dell’amministrazione provinciale, del resto, elementi ne offre tantissimi. Questi anni di presidenza Tagliasacchi hanno visto molta immagine ma ben poche soluzioni dei problemi veri.

Soprattutto i nodi dello sviluppo, competenze fondamentali della provincia, non hanno visto scelte all’altezza del bisogno. Il quadro economico provinciale non e’ roseo ed occorre costruire una vera politica dello sviluppo. Con questi temi il partito dovra’ misurarsi, e, con chi ne condividera’ la strategia, dovra’ costruire la coalizione con cui presentarsi al giudizio degli elettori.

Sara’ che sono un ottimista, ma oso sperare che saranno trovate le energie per fronteggiare i problemi che ci attendono…

Lucca, 10 settembre 2005

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