Prepariamoci al congresso UDC
di Paolo Razzuoli
L'Udc, partito erede della grande tradizione
laico-cattolico-riformista italiana, sara' presto chiamato a celebrare il suo
secondo congresso nazionale. Un appuntamento che cade in un momento
particolarmente complesso della vita politica nazionale, e che si rivelera'
decisivo sia per le implicazioni interne al partito (dare forza ad un progetto
politico ormai consolidato), sia nella dimensione piu' generale ove l'ordito e
la trama dei problemi si intrecciano in un orizzonte complesso e, per molti
versi, non facilmente scrutabile.
S'impone quindi la necessita' di compiere una seria analisi del presente,
partendo dall'indagine sulle motivazioni che di esso costituiscono il
retroterra, ed occorre altresi' riflettere con acume e coraggio sulle
prospettive e sugli sbocchi di una fase le cui connotazioni attestano una cifra
fortemente critica.
Il giudizio severo ripetutamente espresso dagli
elettori verso la CdL nelle varie tornate elettorali costituisce il piu' chiaro
monito circa una difficolta' che, diciamolo con chiarezza, nell'Udc era gia'
stata avvertita, per lo meno da molti.
L'adesione del partito allo schieramento alternativo alla sinistra, coerente con
la tradizione e la cultura di riferimento, non gli ha impedito di muoversi in
modo anche fortemente critico, laddove fatti, scelte e comportamenti lo hanno
esigito. Il disagio nasce da molteplici versanti. Proviamo ad analizzarli.
In primo luogo abbiamo avvertito un forte disagio nel constatare una certa
disinvoltura nella gestione dei meccanismi istituzionali. La nostra storia e la
nostra cultura sono la piu' evidente testimonianza del piu' rigoroso rispetto
delle regole dello stato di diritto, del rispetto delle sue istituzioni, degli
organi di rappresentanza che lo sostanziano, dello stile che deve sovrintendere
ad un civile e maturo dibattito politico.
Sappiamo bene che la responsabilita' del governo e' compito delle maggioranze,
ma sappiamo altrettanto bene che le regole del gioco si scrivono assieme.
Sappiamo che la stabilita' dei governi e' una necessita' per potersi misurare
con problemi complessi quali oggi dobbiamo affrontare, ma sappiamo altrettanto
bene che la stabilita' non e' un valore a se stante ma che deve essere
finalizzata al perseguimento di un progetto politico condiviso. Non confondiamo
la stabilita' con la governabilita'. Governi stabili sono sempre esistiti: in
particolar modo lo sono quelli dei regimi dittatoriali. Ma non e' certo questa
la stabilita' che vogliamo. Per noi la stabilita' e' finalizzata alla
governabilita' che significa ricerca del consenso sociale verso un progetto:
siamo certi, infatti, che senza questa condizione nessun governo potra' mai
governare in una societa' democratica e moderna.
Ripetutamente abbiamo richiamato questi valori. Ripetutamente abbiamo denunciato
la caduta di stile del dibattito politico, piu' scosso da fremiti irrazionali di
slogans urlati che animato da voglia e capacita' di pensare e di
progettare.
Piu' volte abbiamo espresso il nostro disagio verso la deriva populista di una
leadership che ha accentuato i tratti di un personalismo esasperato, mentre la
societa' reclama, di contro, una dirigenza plurale, che sappia rappresentarla
nelle sue varie articolazioni.
Una concezione della leadership - la nostra - funzionale ad una classe politica complessiva, quindi cosa diversa dalla concezione plebiscitaria tanto esaltata da Berlusconi. In nome di un voto espresso sulla scheda elettorale, non si puo' certo pensare di governare senza un continuo rapporto con il corpo sociale. La societa' contemporanea non concede deleghe in bianco ed i consensi ottenuti possono essere rapidamente persi.
Dopo aver con chiarezza ed onesta' intellettuale evidenziato limiti di una classe di governo che pur se criticamente abbiamo finora sostenuto, con altrettanta chiarezza dobbiamo appuntare la nostra lente di ingrandimento sui limiti dell'opposizione: una coalizione divisa, non propositiva, ossessionata dal fantasma di un regime inesistente, animata da una faziosita' che le ha impedito di assolvere adeguatamente al ruolo di critica e di controllo ad essa assegnato dalle regole di un sistema democratico. Problemi ben emersi anche di fronte a grandi temi di politica estera laddove la tutela di fondamentali interessi nazionali avrebbe consigliato comportamenti bipartisan, estranei a logiche ispirate ad una contrapposizione sterile e strumentale.
Come si vede, il disagio passa attraverso l'intero scenario politico nazionale. Un disagio ben avvertito dalla maggioranza dei cittadini che stanno sempre piu' distaccandosi dalla politica e che vivono le istituzioni in modo sempre piu' distaccato:
ne e' la riprova l'accrescimento del partito di
coloro che si astengono dall'esercizio del voto. Si avverte sempre piu' la
consapevolezza che le scelte elettorali vengono fatte contro qualcuno e non a
favore di un progetto che difficilmente puo' essere percepito giacche' non
esiste.
Ma quali sono le cause di tanto disagio?
Ovviamente un interrogativo tanto complesso non puo' essere risolto al di fuori di un'analisi articolata a tutto tondo.
Occorre, a mio modo di vedere,
prendere le mosse dal contesto nel quale sono nate due aggregazioni rivelatesi
incongruenti, nate come sono piu' per accumulo elettoralistico di forze che
sulla base della condivisione di un progetto politico.
Il referendum del 1993, i cui esiti furono fortemente condizionati dalla crisi
che ha distrutto l'allora classe politica di governo,
ha aperto una stagione politica i cui esiti
possono oggi tranquillamente valutarsi deltutto diversi dalle aspettative.
Si voleva la riduzione dei partiti mentre essi sono aumentati; si voleva una
ripresa di rapporto fra politica e societa' mentre il solco che le separa si e'
ulteriormente ingrandito; si voleva l'accrescimento di spazi di democrazia
mentre si sono moltiplicati partitini leaderistici che hanno svuotato di
qualsiasi significato l'adesione degli iscritti; si voleva una nuova classe
dirigente mentre si e' rafforzata una concezione di leadership che esalta il
ruolo del singolo capo senza che si sia sviluppata una classe dirigente plurale
e capace di interpretare la complessita' della societa' contemporanea.
E' sembrata emeergere una sorta di "impolitica", infastidita di coloro che si
sono permessi di denunciarne i limiti, insofferente verso coloro che non ne
hanno condiviso le scorciatoie, sempre pronta a giudicare come "vecchi arnesi"
da riporre coloro che si sono permessi di denunciare i pericoli di un sistema
che mortificando il dibattito, e' sembrato piu' attento agli aspetti mediatici
che non al rispetto delle sedi proprie della politica.
I tempi sono ormai maturi, a mio avviso, per immaginare una profonda
trasformazione di un assetto nato piu' per necessita' che per condivisione, che
ha costretto dentro una sorta di camicia di forza componenti politico-culturali
fra loro incompatibili.
Si avverte che siamo alla fine di un ciclo; si sente il bisogno di costruire un
nuovo assetto del sistema politico; si avverte il bisogno di una discontinuita'
con l'attuale scenario, un bisogno di novita' i cui contorni ancora sfuggono ma
di cui se ne avverte l'ineluttabilita'.
La crisi del berlusconismo, (i molteplici indicatori sociali in campo portano a
questa conclusione), porta specularmente anche alla crisi
dell'antiberlusconismo. Non vi e' dubbio alcuno che la discesa in campo di
Silvio Berlusconi abbia costituito un dato fondamentale nell'assetto politico
italiano dal 1994 ad oggi. Questo ciclo sta pero' volgendo al termine: una
circostanza destinata a rimettere in gioco l'intero quadro politico. Una sorta
di scongelamento dei poli capace di condurre, in un arco temporale relativamente
breve anche tenuta presente la rapidita' dei processi storico-culturali della
contemporaneita', ad un forte rimescolamento delle carte in tavola.
Una partita nuova che va giocata sino in fondo perche' necessaria per far uscire
la politica italiana dalle secche in cui si e' cacciata.
Per questo non e' un tabu' parlare della legge elettorale. Abbiamo visto che
l'attuale sistema non funziona; perche' allora non trovare il coraggio di
riflettere a tutto tondo? Il ritorno ad un sistema proporzionale, certamente con
gli opportuni correttivi, non sarebbe certo un passo all'indietro. Sgombriamo
senza equivoci il terreno dai soliti malintesi fra proporzionale e bipolarismo:
essi possono benissimo convivere, come molti esempi stanno ad attestare.
Occorre ridare fiato alla politica intesa in senso
alto; occorre ritrovare la capacita' di costruire alleanze strategiche, fondate
su una vera condivisione di un progetto politico.
Il progetto e' il punto di partenza di qualsiasi ragionamento politico. Poi
vengono gli strumenti: alleanze, federazioni, partiti unici ecc. Questo e'
l'unico percorso che puo' condurre lontano: altre strade ed altre scorciatoie
non portano a nulla.
L'Udc, attraverso
il suo segretario Follini ed i suoi piu' attenti dirigenti, ha svolto - in
questi anni - un ruolo essenziale.
Il congresso va interpretato quale tappa fondamentale per la messa a punto del
progetto, sia nei suoi aspetti metodologici che nei suoi contenuti. Dobbiamo,
coerentemente con la nostra tradizione e la nostra cultura, stimolare al massimo
grado possibile una riflessione che coinvolga la base del partito. I nostri
iscritti debbono sentire il congresso come l'occasione nella quale sono chiamati
a dare un senso alla loro adesione.
In questa riflessione non ho affrontato i contenuti dell'azione di governo:
contenuti che debbono essere all'altezza della complessita' dell'ora presente:
crisi economica, situazione della finanza pubblica, gestione di una economia
globalizzata, problemi della formazione e del lavoro ecc.
L'Onorevole Bruno Tabacci ha elaborato uno strumento di riflessione politica che
affronta, con scorrevolezza e lucidita', i grandi nodi del dibattito politico,
dando una indicazione di prospettiva all'altezza della complessita' del momento.
Nel dichiarare la mia adesione alle valutazioni dell'Onorevole Tabacci,
Fucinaidee mette a disposizione il documento affinche' possa essere utilizzato
quale strumento di riflessione gia' dall'avvio degli adempimenti congressuali.