La voglia di Unico.
di Antonio Rossetti
Ho letto con attenzione le considerazioni di Paolo Razzuoli, intervengo quindi per ampliare, con ulteriori elementi, la discussione su di un tema importante che va oltre il confine ristretto di un partito, di una coalizione, per assumere una dimensione molto più interessante per il futuro della politica e delle istituzioni nel nostro Paese.
Il dibattito si è riacceso dopo la proposta, ancora non definita, del Presidente del Consiglio, nonché Leader della Coalizione Cdl, ma è di tutta evidenza la necessità di riprendere una discussione sul ruolo dei partiti, nell'attuale momento storico, circa la partecipazione dei cittadini, le forme di rappresentanza istituzionale, i loro compiti, e forme di elezione e il ruolo degli enti elettivi, e più in generale la riforma di una parte consistente della costituzione.
C'è molto da discutere e ed è utile il confronto a partire dalle esperienze di ciascuno. Penso sia utile, nel quadro più generale dei rapporti mondiali, europei, nazionali, circoscrivere alcuni temi.
Il primo argomento si può indicare con la domanda: perché il partito unico e di quale forma di partito e per fare cosa.
Se la ragione è quella di realizzare una proposta politica che partendo dai bisogni dei cittadini di oggi, sia utile alla strutturazione di questi bisogni in obiettivi e si pensa ad organismi rappresentativi e democratici, il ragionamento sul numero dei partiti può non essere un problema, visto che le sensibilità e gli interessi da rappresentare posso non essere facilmente comprimibili, almeno che non si pensi ad escludere la presenza di partiti se non si alleano, indipendentemente dalle soglie di sbarramento.
Nel panorama dei partiti, oggi si hanno molte forme, sempre meno definibili come partito strutturato, salvo pochissime eccezioni,stanno dilagando forme di partiti cartello, di partiti pigliatutto, che tentano nei programmi di accontentare tutti, almeno lo tentano; i partiti del leader, tutti caratterizzati da scarso funzionamento degli organi, laddove esistono.
La domanda a quale modello si dovrebbe riferire il partito unico è già una bella domanda, indipendentemente dalla copertura dell'area politica. Se qualcuno pensa di semplificare una realtà complessa ed articolata, il destino sarà una ulteriore e maggiore distanza dalla vita politica di molti cittadini che non si sentono, già oggi, rappresentati e che per questo si allontanano dalla politica e dai partiti. Se il calcolo è solo elettorale e quindi una legge elettorale dovrebbe essere a misura degli interessi del Leader o dello schieramento, e non per le altre e più rilevanti ragioni per le quali la politica è capacità di governare possibilmente con il massimo consenso,allora non esiste prospettiva alcuna.
L'errore sta nel confondere la stabilità con la governabilità. Anche in questo caso si può dire che governi stabili ci sono e ci sono stati, ma quelli più stabili sono rappresentabili con sistemi totalitari. Quando il primo obiettivo è quello di trovare il modo per adeguare gli strumenti per la propria sopravvivenza,anche in assenza di consensi sufficienti per governare la prospettiva è segnata. Gli accorgimenti sono tali da rinviare il declino, ma non evitarlo. Quando Razzuoli fa riferimento al " guai al Paese che si regge per il sistema elettorale", credo sia giusto dire che anche altri sistemi elettorali potrebbero di per se non essere risolutivi. Quindi un sistema elettorale deve corrispondere al meglio, ad una realtà, alle condizioni in evoluzione,alla società di quel tempo, per ampliare gli spazi di partecipazione alla ricerca di sintesi che sono il frutto di convinzione e non per costrizione. In una società democratica e pluralista, quale ci vantiamo di essere, e per crescere in partecipazione, è probabile che si debba ripensare non solo al ruolo e alla forma dei partiti, rispetto a come sono oggi, ma anche alle forme di partecipazione e di presenza delle articolazioni sociali, gli enti intermedi,il tessuto sociale che da linfa alla partecipazione. I valori fondanti la nostra carta costituzionale sono di grande insegnamento circa la presenza delle forme di partecipazione in forma associata e con forte spinta solidaristica. In questo quadro anche il ruolo degli enti quali i comuni, le provincie, le Regioni, ed altri enti di secondo livello, le assemblee degli stessi ed il loro ruolo, sia di governo che di opposizione dovrebbero essere riesaminati per una diversa ripartizione dei poteri.
La proposta di Berlusconi o partito unico o proporzionale, è rappresentativa di difficoltà reali. Cosa significa che per lui sono la stessa cosa il maggioritario o il proporzionale? Oppure è una minaccia per i partiti di minore consistenza a rimanere senza rappresentanza in Parlamento? Nell'un caso o nell'altro non c'è profondità di obiettivi, ma puro calcolo personale o poco più. Occorre a mio parere partire dalle ragioni del distacco dalla vita politica e dai partiti da parte di un numero crescente di cittadini per ritrovare le ragioni della partecipazione e del confronto sui valori e sui temi della società di oggi in un quadro complesso che non si riduce cancellando le opzioni politiche che non si allineano. Se c'è tra coloro che hanno maturato delle esperienze in anni di impegno politico la necessità e queste persone sentono la necessità di creare altre sedi di confronto, è perchéi partiti non sono percepiti come realtà partecipate, ed è proprio il contrario di ciò che si pensa con la proposta di nuovi partiti, dapprima pensati come unitari, con la speranza di farli Unici. Data la realtà e la complessità e la ricchezza di ozioni difficilmente comprimibili è preferibile rappresentare ciò che esistee confrontare apertamente proposte e intese di governo. Per questa ragione il sistema proporzionale ritengo risponda in modo più adeguato alla crescita di partecipazione e di democrazia e di rappresentanza per proporsi grandi obiettivi nel Paese.
Antonio Rossetti 10 maggio 2005