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Perche’ sono proporzionalista

di Paolo Razzuoli

 

Pur essendo gia’ trascorsi dodici anni da quel 1993, anno dello svolgimento del referendum che ha prodotto l’introduzione in Italia del sistema elettorale maggioritario, sono freschissimi nella mia mente i termini del dibattito che allora si sviluppo’ cosi’ come l’entusiasmo con il quale fu accolto un risultato dai connotati plebiscitari.

Lo scenario di riferimento era complesso e confuso. La classe politica che aveva la responsabilita’ del governo del paese era in piena crisi: certo per le inchieste giudiziarie, ma anche per ragioni di natura squisitamente politica.

Infatti, durante gli anni ‚80, si determino’ un crescente distacco fra sistema dei partiti e societa’ civile che ingenero’ una sorta di progressivo rifiuto della politica. Un sentimento che esplose allorche’, caduto il muro di Berlino, sem’ che la politica non fosse piu’ necessaria, in un mondo ormai non piu’ minacciato da alcuna delle terribili ideologie del secolo che era sul finire.

Si diffuse una sorta di cultura dell’"antipolitica", di esaltazione dell’efficientismo, quasi di insofferenza verso i meccanismi che regolavano il governo delle istituzioni ad ogni livello: si credette che bastassero alcune riforme della legge elettorale per avviare una nuova stagione di efficienza, di correttezza, di moralita’, di rinata centralita’ della societa’ civile, finalmente liberata dalla ingombrante invasione partitocratica.

Mai una illusione e’ stata tanto fallace!

Da allora, purtroppo, abbiamo assistito ad una progressiva caduta di stile e di contenuti della politica i cui effetti devastanti sono sotto gli occhi di tutti.

Si voleva la diminuzione del numero dei partiti, invece esso si e’ smisuratamente moltiplicato; si reclamava la centralita’ della societa’ civile, mentre mai come ora la politica e’ lontana dalla gente; si chiedeva l’accrescimento degli spazi di partecipazione democratica, invece abbiamo assistito all’avanzamento di una concezione personalistica della funzione di governo; si chiedeva una maggiore efficacia ed efficienza dell’azione di governo, abbiamo invece, per lo meno in molti settori, ingigantito le pastoie burocratiche allontanando cosi’ sempre piu’ i cittadini dalle istituzioni.

Ma perche’ le cose sono andate cosi’ diversamente dalle aspettative?

La realta’ e’ che da allora la politica si e’ impoverita, si e’ spesso ridotta a proclami tanto vuoti quanto altisonanti, ed e’ mancata una autentica strategia di governo di fenomeni complessi, spesso legati a fattori di grande impatto quali - ad esempio - quelli connessi con la globalizzazione.

Un grande politologo francese dell’ottocento diceva „guai a quella nazione le cui sorti dipendono dalle leggi elettorali". Una triste profezia per il nostro Paese. Ci siamo illusi che con la riforma elettorale si potesse modificare il panorama politico-culturale del paese.

In realta’ abbiamo creato una sorta di camicia di forza nella quale sono costretti a convivere soggetti disomogenei, che hanno strategie di governo incompatibili, che hanno radicamenti culturali antitetici, che non possono quindi convergere in un’azione di governo coerente con le sfide della contemporaneita’.

Il livello del dibattito politico si e’ progressivamente impoverito e senza questo la democrazia rischia l’asfissia. I partiti, un tempo strumenti di dibattito e di confronto, sono ormai ridotti quasi esclusivamente a comitati elettorali.

Alla ricerca del consenso, strada a volte difficile ma irrinunciabile, sembra prediligersi la scorciatoia del decisionismo in nome dell’efficienza, che in realta’ sta divaricando la societa’ civile dalla politica, che invece si volevano riconciliare. All’impegno della dialettica, alla ricchezza della ricerca del confronto, all’umilta’ di saper ascoltare anche l’avversario politico, si e’ sostituita l’arroganza, la presunzione, una male interpretata legittimazione di un potere direttamente concesso dal mandato popolare. Laddove si sarebbero dovuti gettare ponti, si sono erette barricate. Uno scenario inquietante, laddove si pensi che con questo spirito sono state affrontate alcune importanti modifiche alla nostra Costituzione.

Sono convinto che il disagio sia diffuso e condiviso in entrambi gli schieramenti. Qui non si tratta di voler tornare indietro, ma di trovare la capacita’ di far tesoro di cio’ che dall’esperienza possiamo apprendere. Se questo sistema ci ha condotto fin qui, dobbiamo guardare in faccia la realta’ e dirci senza infingimenti che non funziona. Entrambi i poli sono alle prese con defatiganti difficolta’ interne che, al di la’ della propaganda, li mette in condizione di non avere una condivisa strategia di governo, che guardi oltre il breve respiro. Si tratta, in buona sostanza, di renderci conto che il vero problema va ricercato nel recupero di una autentica identita’ di chi e’ chiamato a governarci. Una identita’ che non e’ leggibile in entrambi gli schieramenti, frutto come sono di una costrizione e non dell’approdo di un percorso culturale.

Allora perche’ perseverare? Perche’ non creare le condizioni capaci di favorire coalizioni coese, costruite su valori politici e culturali realmente condivisi? Perche’ non immaginare un sistema capace di neutralizzare il ricatto di forze imbarcate in base ad un calcolo elettoralistico e non per una vera affinita’ politico-culturale?

Per favore cis i risparmi l’accusa di essere nostalgici. Non si tratta certo di andare indietro bensi’ di guardare in avanti: di guardare ad un sistema politico finalmente svincolato dalle costrizioni di un assetto forzato, frutto di una legge nata sotto la maligna stella di una forte spinta emotiva che ci ha instradati su un binario morto.

Non si dica che il sistema proporzionale e’ incompatibile con le legittime esigenze di stabilita’ politica: l’esempio della Germania e’ eloquente. Certo non si puo’ pensare alla proporzionale pura. Correttivi quali, ad esempio un adeguato sbarramento, sono necessari per evitare la frammentazione ed il potere di ricatto.

Mi pare gia’ di sentire qualcuno dire che siamo contro il bipolarismo. Niente affatto, bipolarismo e proporzionale convivono benissimo come molti esempi stanno a dimostrare.

Poiche’ il problema e’ assolutamente bipartisan, e’ da augurarsi che la classe politica sappia trovare, almeno attorno a questotema, la necessaria coesione per uno scatto di coraggio.

Sarebbe un elemento di grande novita’; sarebbe un forte segnale di discontinuita’ con un ciclo storico in affanno.

L’Udc, da tempo, ha posto questo problema all’ordine del giorno. Il segretario Follini ha insistito sulla necessita’ di una „discontinuita’". Molti sono i motivi per i quali crediamo che abbia ragione: il versante della legge elettorale e’ certo uno dei piu’ forti.

 

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