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L'intervento di Marco Follini alla Camera dei Deputati

 

Signor Presidente, a conclusione della crisi, il nuovo governo chiede fiducia alla maggioranza parlamentare e questo impone a tutte le forze politiche che la compongono uno sforzo di chiarezza e di lealtà. All’origine di questa crisi sta, come è noto, il giudizio severo che molti cittadini hanno espresso con il loro voto alle elezioni regionali. Una sconfitta, e una difficoltà, della nostra coalizione. E una forte richiesta di cambiare in profondità la nostra cifra di governo. Ci è stata rivolta da tante persone una domanda severa a cui non potevamo dare una risposta distratta, nel solco di una pigra, compiaciuta e magari orgogliosa continuità. Molte cose non vanno bene, nel nostro paese. Lo sviluppo è lento, e nuove disuguaglianze avanzano fin troppo veloci. Il sistema delle imprese è frammentato. Ricerca e innovazione segnano drammaticamente il passo. Sono sempre di più i figli che cercano il lavoro dei padri. Troppi mercati attendono liberalizzazioni che tardano. Queste sono le difficoltà di cui nella scorsa legislatura il centrosinistra non ha saputo venire a capo. Ma sono le difficoltà che hanno segnato, in mezzo a tante altre, il cammino anche nostro. Su come affrontare i nodi della modernizzazione del nostro paese abbiamo avuto, nella maggioranza, idee comuni e anche idee diverse. Sotto la volta ampia della stessa maggioranza si sono confrontate, e talora opposte, differenti visioni e proposte. Tutti abbiamo tenuta ferma la nostra alternatività alla sinistra. Ma non sempre lo abbiamo fatto con lo stesso spirito politico. Alcuni di noi hanno identificato nel centrodestra i doveri, le responsabilità e la misura di una forza tranquilla. Altri hanno scommesso di più sulla forza che sulla misura. Alcuni di noi hanno cercato di coltivare la regola europea. Altri hanno concesso qualcosa di più all’anomalia italiana e al mutevole vento del nuovismo. Ora siamo tutti impegnati a cercare una via d’uscita. Io non ho pregiudizi, né a favore dei vecchi partiti, né contro quelli nuovi e magari futuri. Scruto anch’io l’orizzonte. Ma so che prima viene l’identità e poi la forma, prima il progetto e poi gli uomini, prima i contenuti e poi i contenitori. Da parte nostra coltiviamo con tenacia l’idea di un centrodestra moderato, pluralista, popolare ma non populista. Una forza rappresentativa e non plebiscitaria. Un insieme di opinioni e di forze e non un’alleanza presidenzialista. Un’alleanza che trova un leader ma che si definisce a partire dalla sua missione, non dalla sua guida. Un centrodestra come lo pensiamo noi, e come chiedono tanti nostri elettori, non è l’esercito del bene che sfida l’armata delle tenebre. Si tiene anzi a prudente e doverosa distanza da ogni rappresentazione manichea della lotta politica, e cerca come può di gettare ponti e di non alzare muri. Per quanto sta in noi dovremo corrispondere a un sentimento dell’unità del paese che tante volte abbiamo trovato nell’opinione pubblica lungo i passaggi più tormentati e magari più dolorosi degli ultimi anni. Unire e non dividere. Spogliare l’avversario dei panni del nemico. Archiviare la disputa ideologica. Prendere atto che non c’è un demonio da nessuna delle due parti della nostra barricata maggioritaria. Tutto questo, senza ombra di consociativismo, è il minimo che il paese si aspetta oggi da noi. E tanto più se lo aspetta da noi perché il centrosinistra, fin troppe volte, ha scelto invece di dare fuoco alle polveri evocando surreali pericoli per la democrazia. Ma questa politica temperata, come avrebbe detto Sturzo, capace di cucire e non di strappare, capace di modernizzare per consenso e mai per forzatura, è anche la migliore prospettiva che la maggioranza può dare a sé stessa. E’ il suo dovere e paradossalmente la sua convenienza insieme. Noi risaliremo la china che abbiamo disceso in questi ultimi tempi solo se imboccheremo con decisione questa strada. Io non credo che l’inerzia ci possa aiutare. Credo il contrario. Nei primi tempi della legislatura c’era una leggenda: diceva che avremmo vinto con facilità e con continuità. Non era vero. Ora si fa strada un’altra leggenda: dice che perderemo. Dobbiamo essere capaci di smentire anche quella. Un centrosinistra tanto contraddittorio, e spesso anche tanto fazioso, non meriterebbe di vincere così. Ma un centrodestra che si sentisse destinato a sua volta a continuare così, senza cambiare nulla di sé, finirebbe per essere il migliore alleato dei suoi avversari. Noi vogliamo cercare di spezzare questo incantesimo. Non possiamo rotolare verso il 2006 lungo una sorta di piano inclinato, come se tutto fosse già deciso: l’assetto dei partiti, la leadership e magari anche l’esito del voto. Ecco perché abbiamo tanto insistito perché dalla nostra parte cominciasse un cambiamento. E non c’è minaccia, né pericolo, né obliquità se ripeto la cosa più ovvia: che il cambiamento qui comincia, non finisce. Non sarei leale, né costruttivo se dicessi: tutto è per il meglio, la svolta c’è già, siamo appagati. Non è così. La strada della rimonta è lunga e ripida. E chi come noi la vuole percorrere ha il dovere di avvertire che non esistono scorciatoie. *** Il programma del nuovo governo fa perno quelle tre priorità – famiglie, imprese, Mezzogiorno – che dovranno essere il cuore della nostra iniziativa nell’ultimo tratto della legislatura. Sono tre priorità che richiedono oggi politiche differenti da quelle seguite fino ad ora. Non si tratta di aggiungere tre capitoli al libro delle buone intenzioni. Si tratta di scegliere. E dunque di dire dei si e dei no, gli uni a condizione degli altri. E di dirli con chiarezza. Il primo dovere della politica del governo sarà quello di assicurare la difficile ma fondamentale stabilità dei nostri conti pubblici. Un dovere, non un creativo gioco di prestigio. Questo esclude dal novero delle nostre possibilità l’idea di una finanziaria elettoralistica, sul modello di quella che il centrosinistra approvò cinque anni fa, in una rincorsa al consenso che non ha portato loro né fortuna elettorale né virtù repubblicana. In questo contesto è ovvio che destinare risorse alle famiglie e allo sviluppo esclude interventi a pioggia. Nel 2001 l’argomento era: meno tasse per tutti. Oggi l’argomento è: un fisco più equo e prima o poi, e più prima che poi, il quoziente familiare. Nel 2001 la questione cruciale era l’abbassamento delle aliquote. Oggi la questione cruciale è la ripresa dello sviluppo e la difesa del potere d’acquisto delle famiglie. Questo cambia molte cose, dobbiamo esserne tutti consapevoli. *** Signor Presidente, sulla nostra politica incombe la maledizione del vecchio Gattopardo che agli albori dell’unità nazionale ammoniva sul fatto che dovesse cambiare tutto perché tutto potesse restare come prima. Credo che oggi per noi sia vero l’opposto. Se non cambiamo noi, cambierà tutto contro di noi. E’ così per il paese. E’ così, tanto più, per la nostra maggioranza. Il governo ci chiede fiducia. Noi gliela accordiamo. La esprimiamo con responsabilità e spirito costruttivo. La esprimiamo senza “gelo”, anche se ognuno di noi ha il suo carattere politico, e non vi rinuncia. La esprimiamo senza illusioni, come si conviene alla fase difficile che il paese e la politica stanno attraversando. La esprimiamo infine con la consapevolezza che in una democrazia rappresentativa la fiducia parlamentare è il plebiscito quotidiano dei governi.

 

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