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Il crollo annunciato - Nuova mappa di un Paese che chiede concretezza

di Mario Ajello

Serve ormai ridisegnare da capo la cartina politica del nostro Paese. Perché nel mezzo di questa mappa, che è rimasta impressa per oltre mezzo secolo nell’immaginario di tutti noi, esisteva una zona - l’Italia centrale delle cosiddette Regioni Rosse - inscalfibile dal grande cambiamento e dove la sinistra era egemone, onnipotente, inattaccabile. Ebbene, già da qualche anno ma adesso più che mai alla luce dei risultati di queste ore, occorre aggiornare le coordinate e eliminare - con buona pace di Palmiro Togliatti che formulò nel celebre saggetto del ‘46, ora illeggibile, «Ceto medio e Emilia rossa» la strategia di conquista di quelle terre - la falsa credenza della diversità, rispetto al trend storico per cui la destra è un fiume in piena e gli argini della sinistra non reggono, dell’Italia centrale.

L’Umbria e le Marche come regioni erano già passate a destra, ora anche il capoluogo marchigiano Ancona e quasi tutte le città della Toscana vedono la sinistra sconfitta e in attesa del voto del 2024, tra un anno, l’Emilia Romagna che l’ultima volta resistette potrebbe cedere come pezzo residuo di un muro già ampiamente sbriciolato.

 

Tutto questo racconta che il mito del riformismo e pragmatismo progressista, che prima si chiamava comunista, è arrivato al capolinea. E’ una mitologia che va in frantumi. E se l’avanzata della destra in questi anni nell’Italia Rossa, una tornata elettorale dopo l’altra, veniva minimizzata a sinistra come temporanea, emozionale e vista come un tradimento recuperabile, adesso andrebbe invece - ma chissà se si avrà la lucidità di farlo, e c’è da dubitarne - considerata un dato storico e una novità geopolitica diventata strutturale e non eccezionale.  Si faceva vanto la tradizione Pci-Pds-Ds-Pd dell’eccellenza del proprio buon governo locale. E invece, non è restato più niente di quella presunta eccellenza. Negli ultimi dieci anni, il consenso elettorale era  un involucro che copriva il vuoto. Quello di partiti di sinistra che stancamente regnavano senza governare, non rispondevano più a logiche di sviluppo e di difesa dei bisogni territoriali dei cittadini, e le avevano sostituite con l’autoreferenzialità del potere. Ecco allora la slavina, che è arrivata a rate. L’ultima rata è di queste ore. E narra di ciò che la sinistra è oggi. Tutta concentrata sui bisogni Lgbtq, piena di dubbi e resistenze sullo sviluppo infrastrutturale, condizionata dall’ecologismo del no, preda di minoranze e preconcetti, barricata in posizioni politicistiche e di micro-notabilato lontane dalle realtà e dalle necessità dei cittadini.

 

Una parabola cominciata nel ‘900, e già arrancante assai, sembra insomma finire adesso per sfinimento. Una sub-cultura - la sub-cultura dell’Italia Rossa che si riteneva l’Italia Migliore - è aggredita e sconfitta dalle esigenze di una modernità che gli elettori pensano di riscontrare nei partiti della destra.
Il cambio è epocale e se la fedeltà pseudo-ideologica di molti elettori ha coperto finché ha potuto una storia già finita, adesso anche questo ultimissimo espediente è venuto meno.

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