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commento introduttivo

Il 27 maggio 1923 nasceva a Firenze Don Lorenzo Milani, una delle figure che più ha segnato la vicenda pedagogica, e non solo questa, italiana nella seconda metà del Novecento.
"Lettere a una professoressa", il libro scritto assieme ai ragazzi della sua scuola di Barbiana, poco prima della sua scomparsa, è stata una vera e propria "Bibbia", per tutti coloro che per vari decenni si sono avvicinati al mondo della scuola e, più in generale, a quello della formazione, influenzandone il pensiero e l'azione per più di una generazione.
Va poi detto che il pensiero di Don Milani spazia ben oltre i temi della formazione, investendo aspetti molto rilevanti nel dibattito politico-sociale del tempo, quale ad esempio l'obiezione di coscienza: posizione che gli costò un processo per apologia di reato.

Don Milani è morto poco prima di quel 1968 che ha dato il via - come è ben noto - ad una complessa stagione che ha scosso la società italiana e, più in generale, le società occidentali. Una stagione dicevocomplessa, ovviamente anche molto divisiva, con cui in Italia non si riesce a fare oggettivamente i conti, così come non si riesce a farli con altre stagioni della nostra storia recente. E' per questo che si parla del "lungo sessantotto italiano".

Non mancarono quindi le strumentalizzazioni della figura di Don Milani.
Finché fu in vita credo che non ci sia riuscito nessuno. Ma appena scomparso il PCI orchestrò una sconcia commedia, secondo la quale, come fu scritto su “Rinascita”, era un “comunista che combatteva una chiesa asfittica e crudele".
E ancora, la cultura e la pedagogia di sinistra (quantomeno una certa sinistra) usarono anche Don Milani quale icona per avviare il picconamento della cosiddetta "scuola borghese": un percorso che dopo vari decenni ci ha portato all'attuale sbandamento di una scuola "democratica e progressista" che si è di fatto trasformata in una fucina di disuguaglianze, in una traiettoria di appiattimento verso il basso da cui chi può si sottrae con costose opzioni formative.
Si sono volute applicare alla scuola generalista intuizioni legate alla specifica situazione dell'esperienza di Barbiana; si è voluto intendere in modo ideologico il "nessuno deve restare indietro", che in quel contesto aveva un senso chiaro: quello del dettato della nostra Costituzione che all'art.3 recita: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."
Equivocando, per lo meno da molti settori credo consapevolmente, si è inteso che "nessuno deve andare avanti"; da qui una continua lotta al merito, una progressiva tendenza verso il basso, una continua svalutazione dei contenuti culturali, in una logica in cui il "diritto allo studio" si è identificato con il "diritto al titolo di studio".

Ma aldilà delle strumentalizzazioni, che pur non vanno dimenticate, la grandezza di questo sacerdote ci interpella - a cento anni dalla sua nascita e a cinquantasei dalla sua scomparsa - su valori e nodi ancora attuali, se pur in un contesto storico totalmente diverso da quello in cui visse ed operò. Aggiungo che proprio la conoscenza e la comprensione di quel contesto storico rappresentano un presupposto indispensabile per comprenderne pienamente il pensiero e l'opera, aldilà di frettolosi giudizi o di atteggiamenti agiografici.
A 100 anni dalla nascita di Don Lorenzo Milani, molte sono le iniziative proposte per ricordarlo. Non solo la commemorazione a Barbiana, con la partecipazione del Presidente della Repubblica, ma anche molte altre sono state le iniziative e molti gli editoriali apparsi sui giornali. Anche il Comune di Lucca non si è dimenticato del priore di Barbiana, con una iniziativa proposta su impulso del Presidente del Consiglio Comunale, Enrico Torrini; appuntamento in cui è stato presentato il volume "Il Riscatto - Le esperienze di un giovane che incontrò e non tradì le profezie di Don Lorenzo Milani" di Alessandro Mazzerelli.

dopo queste mie brevi note Fucinaidee propone ai suoi lettori una riflessione a cura di Giorgio Merlo.

Paolo Razzuoli

Don Milani, la lezione che non passa

di Giorgio Merlo

Ci sono persone che non possono essere dimenticate perché attraverso e grazie al loro “magistero” sono riuscite non solo a condizionare il loro tempo ma, soprattutto, a lasciare un segno indelebile per le future generazioni. Tra queste persone c’è indubbiamente don Lorenzo Milani, l’indimenticabile prete di Barbiana. E lo ricordiamo proprio quest’anno, a cento anni dalla sua nascita, avvenuta il 27 maggio del 1923.

Quando si parla di don Lorenzo il pensiero corre velocemente ad alcuni momenti, o parole, o libri che hanno caratterizzato la vita terrena di questo straordinario ed irripetibile sacerdote che ha avuto una vita troppo breve anche se carica di significati e di messaggi che conservano ancora oggi una marcata attualità e modernità.

Una vita che è stata riscattata e restituita a tutti, come era necessario, proprio da Papa Francesco nel suo pellegrinaggio a Barbiana nel 2017. Una visita importante e decisiva dopo le sofferenze patite da don Lorenzo durante la sua breve vita per le continue incomprensioni con la gerarchia ecclesiastica del tempo e con quasi tutti i “potenti”. Eppure don Lorenzo aveva solo una grande missione: “comprende presto che per servire i poveri deve rompere il muro di ignoranza che li emargina dalla vita civile e religiosa”. E quindi un impegno duro e faticoso, ma tenace e costante, per capire l’importanza della parola, sia quella della Chiesa con la Bibbia e il Vangelo e sia quella più laica dei contratti di lavoro e delle dinamiche della società di quel tempo. Perché la differenza tra i ricchi e i poveri era, per don Lorenzo, anche riconducibile alla conoscenza e all’uso delle parole.

Un messaggio, il suo, che non può essere ritmato e ridotto a quelle parole e a quei concetti che sono giustamente diventati storici perché restano contemporanei e tagliano orizzontalmente le generazioni. “Dall’obbedienza non è più una virtù” all’altrettanto celebre e famoso “non bocciare”; “dall’I care” contrapposto al “me ne frego” di marca fascista al famoso “ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”. Ed è proprio in quel “mi importa” che si racchiude la sua concezione e la sua stessa “mission” nella società. Dalla formazione dei giovani e delle persone alla conoscenza dei problemi della società in cui si è inseriti alla difesa dei poveri e degli ultimi. Una scelta politica e culturale, quindi, dettata da una profonda convinzione religiosa ed etica.

Certo, don Lorenzo sapeva chi doveva difendere. E difendeva quelle persone, quei ceti sociali, quegli uomini, quei giovani e quelle donne attraverso il diritto di sciopero, denunciando il lavoro minorile e quello a cottimo. E, al contempo, diceva parole forti e senza appello sulla guerra, la non violenza e la pace con la difesa, soprattutto, dell’ormai famosa “obiezione di coscienza” al servizio militare che gli costò anche un processo per “apologia di reato”.

Elementi, comunque sia, che ci riportano anche e soprattutto alla sua tenace difesa dei valori costituzionali e alla permanente attualità di quella Carta.

Don Lorenzo muore a soli 44 anni il 26 giugno del 1967 – dopo lunghe sofferenze anche a causa del suo sostanziale “esilio” – pochi giorni dopo la pubblicazione di “Lettere a una professoressa” che resta, forse, uno dei suoi capolavori e che riassume emblematicamente il suo servizio ai poveri, agli ultimi e a tutti coloro che erano senza voce.

Sono trascorsi 56 anni dalla sua morte ma il magistero, la voce e l’esempio di don Lorenzo Milani continuano ad interrogarci. Su più fonti e su più versanti.

(da Il Riformista - 27 maggio 2023)

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