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Celebrazione del 25 aprile

Intervento svolto al Consiglio Comunale di Lucca il 24 aprile 2023

 

Di Paolo Razzuoli

 

  Anzitutto ringrazio chi mi ha invitato ad intervenire in questa importante occasione. Per me è sempre un grande piacere ed un grande onore parlare in questa sala, in cui si riunisce l’organo più rappresentativo delle scelte democraticamente espresse dalla nostra comunità.

 

 Signor Sindaco, Signori Assessori, Signori Consiglieri, cittadine e cittadini presenti o che ci state seguendo in streaming:

    Dopo i due interventi di illustri storici e la tocante testimonianza di chi ha vissuto il dramma della guerra, il mio ruolo in questa circostanza non può che assumere un taglio politico, non inteso quale appartenenza partitica, ma ben consapevole che un vero pensiero politico offre una chiave interpretativa della storia e della contemporaneità.

Il 25 aprile, celebrazione della ritrovata libertà, offre una occasione fondamentale da non disperdere, proprio nella prospettiva di farne un appuntamento non solamente celebrativo, se pur delle fondamenta della nostra convivenza civile, ma un’occasione di riflessione sui processi evolutivi dei valori, dei principi e delle istituzioni su cui poggia la nostra Repubblica: quelli della nostra Costituzione antifascista (parafrasando Benedetto Croce: chi in essa si riconosce non può che dirsi antifascista).

E’ una sfida impegnativa giacché in Italia, la cui storia unitaria ha fatto registrare molteplici stagioni di radicali e violenti conflitti intestini, a cui non si è sottratta nemmeno la stagione repubblicana, appare difficilissimo superare atteggiamenti  di perenne “resa dei conti”, o di continue richieste di abiure.

 La storia non può servire sempre come clava da sbattere sulla testa dell’avversario politico.

Non si può sempre agitare un «passato che non passa». Cioè una continua tendenza a riaprire i conti e a farlo sempre nel modo più aggressivo e perentorio: una guerra civile a bassa intensità combattuta soprattutto sui media e nell’agone politico (molto meno fra i cittadini, come anche attestato da vari sondaggi apparsi sulla stampa).

 A Ingrao, eletto presidente della Camera dei Deputati nel 1976, nessuno chiese giustamente conto dei suoi imbarazzanti  articoli sull’Unità al tempo della rivoluzione ungherese. 

 I conti con l'avversario, con il nemico, vanno regolati sia pure nel modo più spietato ma sul momento. Non ottant'anni dopo aver vinto. 

Anche i padri costituenti, all’atto di scrivere la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione,  sapevano perfettamente che l’essere stati fascisti non era la colpa di una minoranza ma il dramma di una nazione.

 

Ma cos’è stato il fascismo? Per rispondere a questa domanda consiglio di leggere il volume di Emilio Gentile intitolato “Fascismo, Storia e interpretazione”.

Qui mi limito a dire che è stata la via italiana al totalitarismo.   

Pertanto il contrario del fascismo è la democrazia.

  La vera militanza nell’antifascismo sta proprio nel rifiuto del totalitarismo comunque si ammanti, quindi di ogni atteggiamento liberticida e più in generale divergente con il senso e la prassi della democrazia che o è liberale o è dittatura.

Aggiungo che le libertà non sonospacchettabili: o si accettano o si rifiutano in blocco.

Ed una cultura ed una prassi illiberali sono radicati anche in parte di coloro che nella storia della Repubblica si sono richiamati – ed in certi casi ancora si richiamano - all’antifascismo. 

Delresto non fu proprio un grande intellettuale le cui posizioni sono ben note, Pier Paolo Pasolini, a denunciare oltre mezzo secolo fa la presenza di tratti di fascismo in settori dell’antifascismo?  

Quindi no all’arroganza, alla demonizzazione dell’avversario, al doppio pesismo.  

  E’ insomma - come diceva De Gasperi - una questione di “animus” non di tessera.

 

Il vero antifascismo è quindi quello di rifiutarne ogni manifestazione, ovunque esso si annidi. E a  questo proposito consiglio la lettura di un libro di Emilio Gentile – uscito nel 2019 -  intitolato eloquentemente “Chi è fascista”. Ne riporto alcune frasi:

“Caratteristiche del nuovo fascismo sarebbero: la sublimazione del popolo come collettività virtuosa contrapposta a politicanti corrotti, il disprezzo della democrazia parlamentare, l’appello alla piazza, l’esigenza dell’uomo forte, il primato della sovranità nazionale, l’ostilità verso i migranti”.

Fra i nuovi fascisti sono annoverati Trump, Erdogan, Orbán, Bolsonaro, ed anche esponenti della galassia populista italiana.

Insomma, all’inizio del XXI secolo, trapassato il comunismo, disperso il socialismo, rarefatto il liberalismo, il fascismo avrebbe oggi una straordinaria rivincita sui nemici che lo avevano sconfitto nel 1945.

Ma cos’è stato il fascismo? È stato un fenomeno internazionale, che si ripete aggiornato e mascherato? Oppure il ‘pericolo fascista’ distrae dalle cause vere della crisi democratica?

 

  Ecco, questo credo sia il tema derimente. 

 Il fascismo come lo abbiamo conosciuto credo sia irripetibile: la storia non si ripete mai in modo uguale.

 Quindi la domanda da porsi è un’altra partendo - come dicevo sopra - dal postulato che il contrario del fascismo è la democrazia: Esistono oggi pericoli per la sopravvivenza delle istituzioni democratiche?

   Ed ecco la mia risposta.  

  Siamo in un tempo di disagi che rischiano di resuscitare lugubri fantasmi di un drammatico passato.

Fra questi disagi posso citare: la crisi economica, le distorsioni della globalizzazione, l’emergenza climatica, le migrazioni. Tutti fenomeni complessi che ancora attendono risposte soddisfacenti. Ma certamente le risposte non vanno cercate nella risurrezione di scelte che nel Novecento hanno portato ad esiti tragici: Nazionalismo, sovranismo, razzismo, totalitarismo (gli ismi sono sempre pericolosi).   

Concordo pienamente con il Presidente Mattarella che qualche giorno fa ha detto: "L'esasperazione del nazionalismo è un virus insidioso che con l'illusione   

 della sovranità azzera la capacità di dare risposte".

 

Si diffondono atteggiamenti, di cui purtroppo si avvertono oggi molteplici segni, che – a mio modo di vedere – mettono a rischio la tenuta delle nostre istituzioni di democrazia rappresentativa.

Vediamone alcuni: Disinteresse per la politica e astensionismo; radicalizzazione dello scontro e delegittimazione dell’avversario; volgarizzazione del linguaggio; insofferenza per le procedure della vita democratica; crisi dei partiti di massa e personalizzazione della politica; maldestro uso dei media e dei social;   ricerca del rapporto con il popolo senza intermediazione delle istituzioni.

Già, il popolo, Questo convitato di pietra: per il popolo, dal popolo, con il popolo. E dire che in nome del popolo si è fatto di tutto.

 E così la Democrazia rappresentativa si trasforma in democrazia recitativa.

Si rischia lo svuotamento della democrazia stessa.

  Dicevo del  linguaggio dello scontro politico, verbale e non, sempre più aggressivo e volgare; un imbarbarimento che a volte richiama il registro linguistico truce e grossolano dei giornali dei vari ras fascisti. E’ Piero Sansonetti, a definire fascista la vignetta apparsa sul “Fatto quotidiano” qualche giorno fa, riguardante la sorella del presidente del Consiglio; ed è sempre Sansonetti che la paragona alle illustrazioni di Roberto Farinacci (per approfondire consultare l’archivio di “Cremona nuova”).     

 

Sulla deriva populista consentitemi una breve citazione da Nicola Matteucci: «idee semplici» e «passioni elementari, in radicale protesta contro la tradizione e, quindi, contro quella cultura e quella classe politica che ne è l'espressione ufficiale». Con il populismo, sostiene Matteucci, si coagula una nuova sintesi politica, che non può essere definita, secondo il comune linguaggio parlamentare, conservatrice o progressista, perché supera e mantiene entrambe le posizioni, affermando da un lato una volontà autoritaria, che nella fretta del fare è sempre più insofferente degli impacci e delle remore imposte dalle procedure costituzionali di una democrazia moderna, e dall'altro, quando arriva al potere, manipola le masse con slogans genericamente rivoluzionari.”  

 

Avviandomi verso la conclusione, una seria ed imparziale riflessione su questi temi mi pare sia il modo più autentico per onorare  il significato della ricorrenza della vittoria della democrazia sul totalitarismo. 

  Come dicevo prima, è una sfida impegnativa perché la società italiana è sempre stata scossa da forti impulsi divisivi.

Delresto anche nei valori fondanti della Repubblica non tutti si riconoscevano: non solo ovviamente i fascisti, ma anche coloro che dopo la Liberazione pensavano di proseguire la lotta per la sovietizzazione del Paese.

   Oggi, in un tempo tanto diverso dal contesto storico di quasi ottant’anni or sono,  il 25 aprile può e deve essere una data simbolo in cui tutti gli italiani si riconoscono, come

tutti debbono riconoscersi  nella nazione libera e democratica che da essa è nata e nella Costituzione repubblicana che ne è il fondamento giuridico.

Calamandrei in un celebre discorso ebbe a dire: “la Costituzione è nata sulle montagne dove combattevano e morivano i partigiani”.

Ma ciò sarà possibile se tutti, dico proprio tutti, faranno uno sforzo serio di guardare in avanti e non di agitare continuamente le ombre del passato.

La storia ha sancito senza ambiguità chi era dalla parte della ragione e chi da quella del torto. Ora però serve guardare in avanti, consapevoli delle gigantesche sfide che alla politica sono poste dal tempo che viviamo. Ed è un tempo a dir poco complicato su molteplici fronti, per le ragioni che ognuno di noi ben conosce, e su cui in questa circostanza non è possibile soffermarsi.  

 Questo credo sia il modo migliore per  onorare coloro che hanno lottato, anche perdendo la vita, per ridarci la libertà e la democrazia. 

   Infine:

Grazie a tutti coloro che in ogni tempo hanno lottato per la nostra libertà.

Grazie a coloro che si sono sporcati le mani per piantare quel seme libertario che ha fatto nascere e crescere il grande albero che oggi ci protegge.

Un albero che ha parecchi anni ma non è mai vecchio, un albero che va festeggiato, omaggiato e custodito perché è riparo per tutti.

Un albero che non ha partito, e ha rami che sostengono ciascuno di noi, perché tutti possano esprimersi liberamente, amarsi liberamente, studiare liberamente,

ridere liberamente, crescere liberamente, vivere liberi consapevolmente.

 

Grazie a voi per la cortese attenzione e buon 25 Aprile a tutti coloro che si riconoscono liberi.

 

Lucca, 24 aprile 2023

 

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