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I migranti e l’Europa più unita

 

di Angelo Panebianco

 

Non si sa se la democrazia su scala continentale possa funzionare, finora il Parlamento europeo non ha dato grandi prove

 

Fine dello Stato nazionale? C’è una ragione a favore dell’integrazione europea a cui i suoi sostenitori non avevano fin qui pensato. Si è sempre detto

che l’unificazione è giustificata dal fatto che gli Stati nazionali europei non hanno più la taglia per fronteggiare i problemi che incombono. Ma forse

c’è un’altra e più importante ragione a favore dell’unificazione: la probabile fine, nel giro di pochi decenni, degli Stati nazionali europei . È una questione

collegata ai flussi migratori. Le proiezioni demografiche lasciano pochi dubbi. Al miliardo e mezzo di persone che popola oggi l’Africa potrebbe aggiungersene

un altro miliardo nel giro di un ventennio. Fosse pure questa una valutazione sbagliata per eccesso, la crescita demografica africana (ma anche del Medioriente)

metterà in moto milioni di persone. Come è sempre accaduto, quei milioni si sposteranno dalle aree della povertà verso i territori ove si concentra la

ricchezza. Se i demografi non si sbagliano, quelli che arrivano ora sulle nostre coste e si sparpagliano nel Vecchio Continente sono le avanguardie. I

conflitti nostrani fra destra e sinistra sulla questione dell’immigrazione sembrano oscurare, agli occhi dell’opinione pubblica, il fenomeno. Né la politica

dei porti chiusi, né il (chimerico?) «governo dei flussi» auspicato dalla destra, né la politica dell’accoglienza perorata dalla sinistra e dalla Chiesa,

sembrano risposte all’altezza della sfida. Chi sarà in grado di governare una pressione migratoria che si annuncia così imponente?

Ciò che dobbiamo mettere in conto è che, in capo a pochi decenni, plausibilmente, la faccia dell’Europa cambierà radicalmente, crescerà sensibilmente la

presenza di gruppi con altre lingue, altri costumi, altre tradizioni. Gli Stati nazionali (nati in Europa) verranno sostituiti progressivamente da Stati

multi-etnici nei quali una etnia dominante ma in declino dovrà stabilmente confrontarsi con etnie di minoranza ma in crescita. Un processo lento e regolare

di immissione di nuovi arrivati potrebbe essere governato: gli immigrati potrebbero essere assimilati. Ma un processo rapido e massiccio come quello che

si annuncia non è controllabile. In breve tempo culture assai differenti si troveranno a convivere in uno stesso territorio. L’omogeneità culturale verrà

sostituita dall’eterogeneità. Con inevitabili conflitti: non solo fra membri dell’etnia dominante e nuovi arrivati ma anche fra i diversi gruppi di immigrati

(culturalmente diversi fra loro). È facile profezia dire che sarà la scuola la prima ad essere investita, ovunque in Europa, dalle tensioni e dai conflitti

che sorgono nella transizione verso la multi-etnicità. Come è noto, la Francia sta già facendo da battistrada. Con i suoi professori nella veste di parafulmini

di fronte a comunità (nel caso specifico, islamiche) ostili ai tradizionali valori repubblicani francesi. Oltre a ciò, nei prossimi anni crescerà sempre

più il numero di politici eletti, figure istituzionali, membri delle professioni, eccetera, espressi dalle minoranze. A poco a poco una nuova Europa andrà

a sommarsi in modo sempre più visibile alla vecchia. Con problemi crescenti, di cui ci sono già mille segnali, dovuti alla montante eterogeneità culturale.

Le dinamiche elettorali, le strategie dei partiti, le agende dei governi e delle opposizioni ne verranno condizionate.

 

Checché se ne pensi lo Stato nazionale non è una costruzione antica. Anche se alcune nazioni sono molto più vecchie, lo Stato nazionale si afferma quando

il principio di nazionalità si diffonde in Europa dopo la rivoluzione francese, nel corso dell’Ottocento. Come tutte le cose umane è destinato a finire.

Fino a poco tempo addietro non si immaginava una fine imminente. Una rapida transizione alla multi-etnicità, se non si trovano soluzioni adeguate, mette

a rischio la convivenza civile. E minaccia la tenuta dei regimi democratici. Ma se il passaggio alla multi-etnicità non è governabile entro i singoli Stati

può esserlo, o così si spera, su scala sovranazionale, europea.

Tra i molti argomenti usati dai critici dell’integrazione europea solo due, a giudizio di chi scrive, hanno sempre avuto un certo valore. Il primo è l’argomento

di chi dice che un tratto qualificante della civiltà europea (e che la distingue, ad esempio, da quella cinese) è la divisione, la disunità. Sostituite

la divisione con l’unità e la civiltà europea perderà un aspetto essenziale della sua storica identità. Il secondo argomento è che è difficilmente immaginabile

una democrazia ben funzionante a livello continentale senza nemmeno il beneficio di una lingua comune (la Svizzera è troppo piccola per essere un modello

rilevante). Entrambi gli argomenti perdono valore però se gli Stati europei si trovano di fronte a sfide non più gestibili dai loro governi. La pressione

minacciosa delle grandi potenze autoritarie è una di esse. Ma un’altra potrebbe essere presto rappresentata dalla crescente ingovernabilità di società

a lungo nazionalmente omogenee. Allargare l’arena entro cui si definiscono i rapporti fra vecchia e nuova Europa e spostare verso l’alto il luogo ove si

prendono le decisioni sulle regole di convivenza necessarie per governare l’aumentata eterogeneità culturale possono diluire le tensioni e disinnescare

i conflitti meglio di quanto potrebbero fare i governi dei singoli Stati europei.

C’è, purtroppo, un problema quando si perora un corso di azione e se ne difende la razionalità. Il fatto che sia razionale rafforzare l’unità europea a

causa della fine imminente degli Stati nazionali non garantisce affatto che quella strada verrà imboccata. Le resistenze sono e saranno potentissime. La

principale delle quali, come è noto, è che se i governi cedono potere decisionale a una istanza superiore (europea) si privano di strumenti preziosi, necessari

nella competizione politica interna.

Non sappiamo se una democrazia su scala continentale possa funzionare. Fin qui l’istituzione elettiva europea, ossia il Parlamento, non ha dato grandi prove,

non è un precedente brillante. Ma il suo ruolo potrebbe cambiare in un diverso contesto, in presenza di un governo europeo legittimato dal voto popolare.

Quanto detto, ovviamente, non riguarda la politica qui ed ora. È soltanto un monito. A futura memoria. L’idea è che, quando si parla di migrazioni, bisognerebbe

evitare di concentrare l’attenzione solo sul dito. Prima o poi bisognerà guardare anche la luna.

 

(da www.corriere.it - 20 marzo 2023) (modifica il 20 marzo 2023 | 22:14)

 

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