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Il rebus migratorio

di Luca Ricolfi

Di fronte alla tragedia di Cutro, abbiamo assistito – e continuiamo ad assistere – al medesimo deprimente spettacolo: la riproposizione di ricette già sentite mille volte, mai veramente attuate, e giudicate risolutive da chi le propone. Curiosamente, nessuno pare porsi la domanda cruciale: il rebus migratorio ammette soluzioni soddisfacenti e praticabili? Io ritengo di no, e vorrei spiegare brevemente perché.

La prima cosa che è necessario chiarire, sia pure schematicamente, sono gli interessi in campo. Chi, in Italia, ha interesse a contenere i flussi migratori? E chi ha interesse ad intensificarli?

Fondamentalmente, sono pro-immigrazione i datori di lavoro, i cosiddetti ceti medi riflessivi (istruiti e urbanizzati), e più in generale ampi settori dell’opinione pubblica progressista. Sono anti-immigrazione buona parte dei ceti popolari, che ne subiscono l’impatto sotto tre profili: dumping salariale, concorrenza nell’accesso ai servizi sanitari e all’edilizia popolare, aumento della criminalità. Di qui una prima conclusione: sia un contenimento dei flussi, sia un loro significativo aumento, sono destinati a incontrare l’ostilità di ampi settori dell’elettorato. Già questo dovrebbe far sorgere qualche dubbio sulla risolvibilità del problema.

Ma passiamo alle ricette. La sinistra radicale, forte del dettato costituzionale sul diritto di asilo (art. 10), punta risolutamente sulle frontiere aperte.
La destra vuole aumentare i corridoi umanitari, irrobustire il flusso di migranti economici, bloccare le partenze irregolari, coinvolgere l’Europa nella redistribuzione dei migranti che arrivano in Italia.
La sinistra riformista e i Cinque Stelle si barcamenano come possono, fra appelli all’Europa e affermazioni di principio (salvare i naufraghi, accogliere chi fugge da guerre-persecuzioni-povertà-disastri climatici). Tutti, prima o poi, tirano fuori dal cilindro grandiosi progetti di investimenti nei paesi poveri, che convincano almeno gli africani a restare a casa propria.

Eppure, un’analisi disincantata del rebus migratorio dovrebbe aprirci gli occhi. E mostrarci che nessuna delle ricette proposte è in grado di risolvere il problema. La ragione è tanto semplice, quanto difficile da accettare: la pressione migratoria è molto maggiore delle capacità di accoglienza dell’Europa, e non può certo essere alleggerita in modo apprezzabile con massicci investimenti nei paesi di partenza. Quanto al rafforzamento dei canali regolari, pur auspicabilissimo anzi doveroso, si illude chi pensa che toglierebbero il lavoro agli scafisti: lo scenario più verosimile è quello di una coesistenza fra canali regolari e irregolari.

La triste realtà è che l’Europa, se mai si deciderà ad affrontare sul serio il problema migratorio (succederà mai?), non potrà che trovarsi di fronte a un dilemma tragico: contenere i flussi ben al di sotto del loro potenziale, abbandonando milioni di aspiranti rifugiati al loro destino, o prestare fedeltà ai valori che proclama, tradendo le aspettative della maggioranza dei suoi cittadini, che vedono le frontiere aperte come una minaccia alle istanze di sicurezza economica e sociale.

Per sfuggire a questo dilemma, non c’è che una via: riconoscere che sia il fondamentalismo umanitario sia il fondamentalismo sovranista sono impraticabili, causa gli enormi costi umani che entrambi comportano. Il che non risolve il problema, ma ci fa capire che la vera posta in gioco è ben più circoscritta. Non si tratta di trovare la soluzione giusta, che non esiste, ma di scegliere il male minore fra un contenimento dei flussi, che inevitabilmente scontenterà imprenditori e opinione pubblica progressista, e un significativo allargamento, per il quale a pagare un prezzo saranno soprattutto i ceti popolari.

(da www.fondazionehume.it - 10 marzo 2023)

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