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Le strategie monetarie della Bce complicano la vita all'Italia

di Carlo Pelanda

L’inserimento nello scenario economico italiano 2023-25 dell’ipotesi di un rialzo dei tassi euro fino al 3,50-3,75% entro il 2023 e, soprattutto, la possibilità che questo livello rimanga elevato per un periodo duraturo porta all’aggiornamento di due previsioni macro che erano presenti nel sentimento e in parecchie analisi tecniche degli attori di mercato:
a) il secondo semestre 2023 sarebbe andato bene dopo un primo stagnante con forse un breve momento recessivo;
b) il 2024 avrebbe visto una normalizzazione della politica monetaria che avrebbe dato un certo impulso ad una crescita del Pil stabilizzata.

Aggiornamento.

La postura della Bce è molto aggressiva sia sui tassi, sia sull’induzione di restrizioni del credito nonché sulla fine dell’acquisto di debiti (Quantitative tightening) e sulla durata della stretta monetaria. Ciò perché le sue stime dell’inflazione di fondo (core) al netto dei prezzi di energia e gas la vedono molto resistente tra il 5% e 6% nel 2023 e la prevedono scendere lentamente, ancora sopra il 2% nel 2025. Pertanto vuole veramente mandare in recessione l’eurosistema per abbattere l’inflazione strutturale il prima possibile. Tale postura aumenta la probabilità che il secondo semestre 2023 e il 2024 presentino condizioni più avverse di quelle finora pensate per l’espansione economica oltre a un inasprimento di quella parte dell’economia italiana che dipende molto dal credito bancario e non è pienamente in “bonis“, per esempio le microimprese, dall’erogazione di mutui, ecc. In sintesi, si vede un rischio di rallentamento economico nel biennio 2023-24 più elevato.

Questo rischio, però, è attutito dal fatto che l’inflazione da offerta relativa ai costi dell’energia in Italia – a dicembre un po’ oltre il 10% – è probabile scenda più velocemente che nel resto dell’area europea per la possibile abbondanza di rifornimenti energetici alternativi a quelli russi con costo decrescente, in particolare il gas. Tale ipotesi deve trovare conferma a livello di prodotti raffinati i cui prezzi potrebbero andare sotto pressione a seguito del divieto di importazione, scattato il 5 febbraio, di tali prodotti dalla Russia. Ma comunque il trend fa vedere una certa probabilità di normalizzazione dei costi energetici e assenza di shock.

Inserendo nello scenario, poi, la forza dell’industria manifatturiera italiana, in particolare dell’export, e stimando un volume robusto di turismo, è prevedibile una buona tenuta della maggior parte delle unità produttive italiane nel 2023 nonostante la stretta monetaria – che potrebbe comprimere il ciclo borsistico – e l’impatto del rallentamento economico sui consumi interni. Ma se queste condizioni non espansive della politica monetaria si protrarranno anche nel 2024, la probabilità di stagnazione combinata con un’inflazione che si riduce, ma non presto fino al livello del 2%, sarà elevata. Se arrivasse poi in quel periodo l’impatto selettivo di una transizione ecologica troppo accelerata e distruttiva in parecchi settori industriali, allora lo scenario post 2025 sarebbe grigio.

In conclusione, le cose non si stanno aggiustando da sole e ci vorrà una politica economica più espansiva che stimoli gli investimenti privati come non mai e una monetaria che calibri meglio disinflazione e rischio depressivo.

(da www.ilsussidiario.net - 9 febbraio 2023)

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