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Perché sono proporzionalista.

Confutazione degli argomenti dei sostenitori del sistema elettorale maggioritario.

 

Di Paolo Razzuoli

 

  Nel corso dell’attività di Fucinaidee, molteplici sono state le riflessioni proposte ai nostri lettori attorno al tema delle Leggi elettorali.

 Argomento di estrema importanza che si connette con l’altro tante volte affrontato, ovvero quello dell’importanza di recarsi alle urne, nonostante la manifesta crisi valoriale della politica.

Andare a votare è un diritto/dovere costituzionale ed è l’unico strumento che il cittadino ha per interagire con la politica. Assicura a ogni persona la

possibilità di manifestare la propria volontà e idea durante un’elezione, andando a esprimere la propria preferenza tra i candidati (quando ciò è consentito dalla Legge Elettorale) e i vari partiti e

movimenti presenti nella competizione.

 Ora alcuni cenni di storia del diritto di voto. - Prima dell’introduzione del suffragio universale, il diritto di voto era limitato per censo (suffragio censitario), per cultura (suffragio capacitorio)

o in base al sesso. Con l’unità d’Italia nel 1861, il diritto di voto era riservato ai soli cittadini maschi di età superiore ai 25 anni e di elevata condizione

sociale. Nel 1881 la possibilità di recarsi alle urne fu estesa anche alla media borghesia e il limite d’età abbassato a 21 anni. Il suffragio universale

maschile vero e proprio è stato introdotto con la legge n. 1985/1918, che ha ammesso al voto tutti i cittadini maschi. In Italia, tutti i cittadini maggiorenni,

sia uomini che donne, andarono a votare insieme per la prima volta solo a partire dal 1946. Il decreto legislativo luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946,

che era stato approvato dalla Consulta il 23 febbraio dello stesso anno, dette ai soggetti femminili, per la prima volta nel Paese, il diritto di votare

e il diritto di essere elette. L’articolo 48 della Costituzione italiana sancisce che “sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto

la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico” e inoltre che il diritto di voto “non può essere limitato

se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”.

Come ben si vede, per arrivare al suffragio universale ci sono voluti anni e il raggiungimento di questo diritto ha rappresentato un enorme passo avanti in tema di eguaglianza e libertà di scelta

dei cittadini italiani. E’ un diritto che va presidiato con ogni mezzo: ed in democrazia, il presidio più efficace è la partecipazione al voto.  

Per dirla con Sartori: “La democrazia e’ governo del popolo sul popolo che, in parte e’ governato e, in parte, e’ governante (quando vota)”.  

 

   In ragione dei vari livelli politico-amministrativi in cui sono organizzate le moderne società, il corpo elettorale è di sovente chiamato alle urne, per eleggere i suoi rappresentanti nelle varie circoscrizioni di governo: comune, regione, nazione, europa, ed altre ancora.

E ciascuna tipologia di elezione viene effettuata in base ad un diverso sistema elettorale: circostanza che crea difficoltà e disorientamento fra elettori ed elettrici, costretti a misurarsi con normative e logiche diverse e spesso complicate. Difficoltà anche aggravate dalla circostanza che – a partire dagli anni ’90, la materia è stata oggetto di numerosi interventi modificatori, soprattutto a livello nazionale e regionale. 

    In questo articolo mi occuperò solamente del livello nazionale, anche se le argomentazioni e le valutazioni possono estendersi ad altri livelli, in special modo quelli che rivestono una pregnante dimensione politica.

   Entrando come si suol dire “con i piedi nel piatto”, ritengo utile enunciare alcuni principi generali ovviamente attagliati alla situazione italiana:

1)      Da sola una Legge Elettorale non puo’ cambiare uno stato di cose, ma puo’ orientarlo a cambiare;

2)       Ha bisogno di altri ingredienti: esempio: abolizione del bicameralismo paritario, sfiducia costruttiva, modernizzazione dei Regolamenti parlamentari, legge per i Partiti politici, rivisitazione della seconda parte della Costituzione;

3)       Quindi: vanno create buone regole (il sistema del voto e’ solo una di queste). Senza non e’ possibile creare nemmeno le condizioni minime del buon governo;

4)       Le leggi elettorali non hhanno carattere definitivo. Vanno parametrate alla temperie politica, al momento storico;

5)       Comunque una Legge Elettorale ideale dovrebbe perseguire alcuni obiettivi strategici:

a)      coalizioni di governo che possano realmente governare e non meramente vivacchiare;

b)       coalizioni centripete (moderate) capaci di buon governo;

c)       Opportunita’ per l’elettorato di scegliersi il partito, lo schieramento e il candidato preferito.  

 

   Passo quindi ad argomentare questi enunciati.

 Anzitutto le Leggi Elettorali non sono certo sufficienti per risolvere la crisi della politica o le inefficienze dell’architettura istituzionale di un Paese. Ciò premesso, è di tutta evidenza che una buona Legge Elettorale può aiutare il cambiamento, in qualche modo tracciandone la traiettoria.

Ma affinché ciò avvenga nella direzione giusta richiede che la Legge Elettorale venga pensata non sulla base degli interessi elettorali di coloro che la sostengono, bensì su un’analisi approfondita della temperie politica e del momento storico in cui siamo immersi. E questo purtroppo da noi non sta accadendo. Pur notando che di sovente i partiti non hanno avuto il fiuto di calcolare bene gli effetti delle leggi Elettorali che hanno sostenuto e che hanno prodotto esiti ben distanti da quelli sperati, ciò che ha ispirato le varie posizioni e le scelte non è stato il desiderio di aiutare una traiettoria politica sulla base di una valutazione complessiva della temperie del momento, bensì un calcolo quantitativo dei risultati attesi. Insomma una prospettiva meramente di bottino elettorale, peraltro spesso errata, che non produce  altro che disorientamento del corpo elettorale, allargamento del solco fra elettori ed istituzioni, incapacità di affrontare i veri nodi della crisi politica e delle inefficienze istituzionali.

Pur risultando arduo sintetizzare in poche righe i tratti di questa difficile condizione, direi che i più rilevanti sono:

 1) Mancanza di visione e di progettualità. La politica è sempre più appiattita sul presente, sugli interessi elettoralistici, sulla gestione del potere fine a se stesso.

 2) La classe politica è sempre più interessata alla sua autoconservazione anziché ad un confronto vero con i problemi del Paese. Giacché non sono ingenuo, so benissimo che entro certi limiti il desiderio di mantenere o ancor meglio accrescere i propri ruoli è del tutto normale. Ma quando ciò si trasforma nell’unico dato che conta, si entra nel perverso vortice della degenerazione dell’idea di impegno politico.     

 3) Incrinatura del rapporto fra cittadini e classe politica, prevalentemente dovuta all’imposizione di candidature scelte con modalità feudali, quindi del tutto estranee a forme di legittimazione dal basso.

  4) Contrariamente a quanto molti di noi speravano negli anni ’90 in cui anch’io ho avuto propensioni per il sistema maggioritario, la politica si è evoluta nella direzione di una sua radicalizzazione, quindi con l’accrescimento del peso di componenti estreme, a scapito di un centro che si è progressivamente indebolito. Ai tempi dello scontro Prodi-Berlusconi, molti di noi si erano illusi che anche in Italia si potesse inaugurare una stagione bipolare fondata, come è del resto naturale per questa tipologia di assetto politico, sullo scontro-alternatività di due schieramenti a forte prevalenza centrista-moderata, che pur alternandosi alla guida del Paese non mettevano in discussione le scelte fondamentali sia di politica interna che     internazionale. E’ stata un’occasione persa? Può essere, ma ora è un’altra epoca.  

 5) In Italia vincere le elezioni non ha significato poter efficacemente governare. Purtroppo da noi l’instabilità dei governi è una condizione cronica. E lo è stata con ogni tipo di Legge Elettorale. A dimostrazione che di per sé la Legge Elettorale non basta a risolvere il problema. Solo qualche esempio: la legislatura eletta nel 1994 con una legge fortemente maggioritaria, è durata circa 2 anni. Nella successiva, quella eletta sempre con la medesima Legge Elettorale nel 1996, abbiamo avuto 2 governi Prodi, poi quello di D’Alema, ed infine il governo Amato. Nella legislatura eletta nel 2001 con la medesima legge, abbiamo avuto per l’intera durata Berlusconi quale presidente del Consiglio, ma con crisi e convulsioni varie che hanno creato una diffusa instabilità. Altro esempio, quello della legislatura eletta nel 2006 con il cosiddetto “porcellum” di tipo proporzionale a liste bloccate e con un consistente premio di maggioranza, sciolta nel 2008. Infine la legislatura eletta nel 2018, che essendo recente è nella memoria di tutti, e che ci ha dato governi di tutti i colori.

 

  Insomma, mi sembra chiaro che i fatti ci insegnano che da noi anche un impianto elettorale fortemente maggioritario non garantisce quella stabilità addotta quale principale esito di tale preferenza.   

  Sappiamo infatti che il maggioritario presuppone l’alternanza fra schieramenti compatti e fortemente centripedi. Ebbene, da noi, ed in verità non solo da noi, l’evoluzione degli scenari politici sta andando verso altre traiettorie. Per ragioni che in molte occasioni ho già avuto modo di indagare, si stanno sempre più affermando forze populiste ed estreme, e che stanno mettendo a dura prova anche democrazie consolidate con sistemi elettorali di impianto maggioritario.

Dinamica questa che si sta affermando anche da noi, rendendo ancor più difficile che altrove la possibilità di dar vita a coalizioni capaci di condividere progetti politici all’altezza delle sfide della contemporaneità.

Infatti “vincere le elezioni non si traduce in una conseguente capacità di governo”.

Le nostre coalizioni sono sì cartelli elettorali, ma non sono progetti politici. Sono “matrimoni di interesse”, nei quali ciascuno cerca di issare le proprie bandierine identitarie.

Una sorta di concorrenza intestina, più o meno palese, mossa dall’attenzione ai propri tornaconti elettorali veri o presunti, ma certo non in linea con l’esigenza della stabilità e soprattutto di una autentica democrazia governante.

  Il tema vero è a mio avviso proprio questo: creare le condizioni per dar vita ad una autentica “democrazia governante”, capace di affrontare le difficoltà vecchie e nuove del Paese, e di creare i presupposti per un suo rilancio nella competizione globale.

Sfida evidentemente di straordinaria complessità, che solo può essere affrontata da una piattaforma politica coesa, non corrosa dal tarlo della competizione interna, non deviata da istanze populiste, unita anche nella consapevolezza di riforme istituzionali non funzionali ad interessi di parte bensì mirate al buon funzionamento istituzionale che serve per recuperare efficacia ed efficienza alla nostra democrazia.

 Solo dall’incontro di forze centripede si potrà sperare di creare le condizioni per affrontare le sfide del tempo che viviamo. Forze che esistono nel Paese e nella politica, e che sono sempre più subalterne alla retorica delle ali estreme.

 Credo sia l’ora che di questa situazione si prenda coscienza, e che si agisca per creare le condizioni affinché le forze del progresso consapevole possano ritrovarsi attorno ad un progetto politico di ampi orizzonti.

  Per questo occorrono alcune condizioni indispensabili:

 Anzitutto che le componenti riformiste – ovunque siano al momento disperse – prendano coscienza della propria funzione e della necessità di imprimere agli assetti politici le coerenti e conseguenti dinamiche.

Fra queste, di primaria importanza è una Legge Elettorale di impianto proporzionale, che chiuda definitivamente una immaginaria stagione bipolare che in Italia non è realmente mai decollata.

Una legge che, è sin troppo ovvio doverlo dire, eviti eccessive frammentazioni attraverso adeguati sbarramenti.   

Una legge che aiuti la ripresa del rapporto fra elettori ed eletti, quindi che preveda la possibilità di scelta dei candidati. 

 Poi è necessario – come già detto – che si prenda atto che di per sé la Legge Elettorale non è sufficiente per sciogliere i nodi delle nostre inefficienze istituzionali. Essa va inserita in un quadro riformatore più ambizioso che, senza immaginare pericolose scorciatoie, sappia pensare le modifiche dell’architettura istituzionale per adeguarle all’oggi. Per questo, personalmente ritengo molto utile il materiale ed il dibattito sviluppatosi al tempo della riforma del Governo Renzi e del referendum costituzionale del 2016.

 Occorre un serio lavoro di elaborazione politico-culturale, mediante l’apporto di chi crede in un progetto riformista, che presuppone la capacità di mettersi in discussione e la consapevolezza della dignità della mediazione che non va confusa con l’inciucio.

 

  Infine ritorno sulla crisi della politica: tema complesso che ovviamente non si esaurisce nelle Leggi Elettorali.

E’ un tema credo ormai improcrastinabile, e che interpella tutte le forze vive del Paese.

Si parla della disaffezione per la politica per qualche giorno dopo le elezioni, per poi riporlo nel dimenticatoio. Andando avanti così le istituzioni di democrazia rappresentativa sono a rischio, anche sulla spinta di dinamiche avvertibili in Paesi a democrazie antiche e consolidate.

Emilio Gentile parla di una deriva da “democrazia rappresentativa” in “democrazia recitativa”.  

Tema serio, che va ben oltre i confini della Legge Elettorale, ma che in una Legge Elettorale adeguata alla temperie politico-culturale del momento può trovare uno strumento utile.

 

   Governare è anzitutto una condizione di grandissima responsabilità. Esercitare la funzione di governo è sì anche un privilegio, ma è soprattutto un atto di grandissima responsabilità verso il Paese.

 Responsabilità che imporrebbe anzitutto un messaggio chiaro con il corpo elettorale, ovviamente a partire dalle campagne elettorali che dovrebbero essere sobrie e realistiche.

 E qui mi piace chiudere citando alcide De Gasperi: 

“cercate di promettere un po’ meno di quello che pensate di realizzare se vinceste le elezioni”.

 

Lucca, 8 febbraio 2023

 

 

 

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