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Il nodo di Nordio - Meloni smentisce ma il governo è al bivio: silenziare il ministro o proseguire con le riforme garantiste

di Amedeo La Mattina

Giorgia Meloni smentisce le «presunte divisioni» con Carlo Nordio ed esprime «piena fiducia» al Guardasigilli. È chiaro che le ambiguità della maggioranza, fin dentro Palazzo Chigi, sulla linea garantista avevano portato il ministro della Giustizia a ventilare le sue dimissioni. Se la premier non avesse emesso questa nota ufficiale, già la settimana prossima Nordio avrebbe abbandonato via Arenula, lasciando la poltrona a chi ci ambisce di più, ovvero a Giulia Bongiorno, come avrebbe voluto Matteo Salvini quando si compose il governo.

Ma a volere Nordio in quel dicastero, dove convergono tutti i fulmini del mondo, è stata proprio Meloni, prendendo in contropiede i manettari impenitenti eredi del Msi-An. Quindi ora spetta a lei mantenere fede a quanto ha ispirato questa nomina, ma non sarà per niente facile.

Il problema è che la presidente del Consiglio dovrà mettere in conto una serie di cose pesanti se vuole veramente smentire le «presunte divisioni», che invece ci sono state e ci sono. Basta leggere, una per tutte, le dichiarazioni di Salvini, che invita a non ingaggiare scontri frontali con la magistratura. Tra le cose da mettere in conto, la prima è trasformare le proposte di Nordio in norme, leggi, riforme, tutto nero su bianco. Ed è quello che ci si aspetta dall’incontro che i due avranno nei prossimi giorni.

Vedremo se sarà un modo per silenziare il responsabile della Giustizia o per dare seguito alle riforme garantiste che non hanno nulla a che fare, ad esempio, con la cancellazione delle intercettazioni: non solo per reati di mafia e terrorismo, ma anche per i cosiddetti «reati sentinella» che riguardano la pubblica amministrazione e la turbativa d’asta. Quelle «sentinelle» che portano alle organizzazioni criminali, mafiose o meno che siano, e alla corruzione della politica.

L’errore di Nordio è stato quello di dire al Parlamento e in Parlamento di non essere succube dei pm, che vedrebbero la mafia ovunque. Dirlo all’indomani della cattura del super latitante da trent’anni Matteo Messina Denaro non è stato il massimo, ma il Guardasigilli non è un politico. Questo errore di comunicazione, al di là del merito, ha dato fastidio a Meloni, che poche ore prima si era precipitata a Palermo per capitalizzare politicamente quella cattura eccellente.

Ora però la premier deve riempire di contenuti la copertura di Nordio, sapendo che comunque si troverà di fronte e contro la gran parte della magistratura e dell’informazione. Della seconda vorrebbe fregarsene, della prima meno, anche perché la leader di Fratelli d’Italia non ha motivo e voglia di sferrare una battaglia nei confronti della parte sana dei magistrati e pm che sono gli eredi di Paolo Borsellino, al quale deve l’inizio della sua carriera politica. Non vuole ingaggiare una lite permanente con le toghe, ritornare allo spartito che fu di Silvio Berlusconi. Cercherà con Nordio un modo meno configgente, ma soprattutto di coniugare garantismo e certezza della pena. Alto equilibrismo.

C’è un altro valido motivo per trovare un equilibrio con quel mondo giudiziario che fa il suo dovere e arriva spesso dove il controllo della politica e dei partiti non arriva mai. Meloni deve tener conto di un pezzo importante della sua maggioranza, ma allo stesso tempo sbattere la porta in faccia a chi vorrebbe Nordio tornare al suo pensionamento dorato. L’iniziativa che le da più l’orticaria è la «petizione online per cacciare questo ministro», lanciata da Marco Travaglio, Antonio Padellaro e Peter Gomez sul Fatto Quotidiano. Centomila firme di cittadini «onesti» contro «un magistrato imbarazzante», che avrebbe polemizzato con i magistrati di Palermo per aver catturato Messina Denaro.

Nella petizione lanciata ieri si chiede all’opposizione di presentare una mozione di sfiducia individuale contro il Guardasigilli. Vediamo se la linea dettata da Travaglio & C. verrà seguita da Giuseppe Conte. Non sarebbe una sorpresa. Lo sarebbe se a farlo fosse il Pd. Cosa a cui non vogliamo credere, visto che i Dem hanno già i loro problemi congressuali imminenti e il favorito Bonaccini non è un manettaro.

La richiesta di dimissioni di Nordio servirebbe solo a fare casino, a consentire alla maggioranza di alzare i ponti levatoi e sfuggire al giusto confronto che su una riforma generale della giustizia il Parlamento deve affrontare. Non foss’altro che rientra tra quelle riforme richieste dall’Europa.

(da www.linchiesta.it - 23 gennaio 2023)

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