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I tre rischi ignorati

 

di Angelo Panebianco

 

Andamento ed esiti della guerra sono imprevedibili, ma anche la durata del regime a Mosca e la capacità delle democrazie di sostenere a lungo il Paese aggredito

 

Una perenne incertezza sugli esiti domina le scelte e le azioni che alimentano la trama della storia. Solo in seguito, col senno del poi, si potrà davvero capire se le varie decisioni prese nel corso del tempo fossero oppure no le più sagge, le più lungimiranti, se si sia constatata oppure no una certa corrispondenza fra i propositi iniziali e le conseguenze delle scelte compiute. Ci sono tre motivi di incertezza nella guerra che dura ormai quasi da un anno nel cuore dell'Europa. Il primo riguarda l'imprevedibilità dell'andamento e degli esiti della guerra. Il secondo motivo chiama in causa la capacità di durata del regime politico che vige nel Paese aggressore. Il terzo motivo di incertezza, infine, riguarda la capacità delle democrazie di sostenere uno sforzo di lungo periodo di appoggio al Paese aggredito. In tema di andamento ed esiti del conflitto in Ucraina bisogna sempre ricordare che, in tutte le guerre, l'unica cosa scontata è che non c'è niente di scontato.

Anche se consideriamo un allargamento del conflitto, lo scoppio di una guerra generale, una possibilità remota (la Cina, suo principale alleato, ha chiarito a Putin che non la considera una opzione accettabile), resta il fatto che gli esiti del conflitto sono comunque imprevedibili.

Posto che il sostegno militare occidentale agli ucraini continui a lungo, è impossibile stabilire oggi — come ha osservato Federico Rampini ( Corriere del 19 gennaio) — chi si troverà in vantaggio quando le armi taceranno: sarà il Paese che può mandare al fronte un numero altissimo di uomini, la maggior parte dei quali è però poco motivata, o sarà quello che dispone di un numero assai più basso di combattenti ma animati dalla volontà di vincere? Troppi elementi imponderabili entrano in gioco. Il grande teorico della guerra Carl von Clausewitz chiamava «attrito» l'insieme dei fattori imponderabili, imprevisti, che nelle guerre frustrano regolarmente i piani dei comandi militari, creano un costante divario fra quei piani e quanto accade davvero sui campi di battaglia.

Il secondo motivo di incertezza riguarda la «tenuta», la capacità di durata, del regime russo e, naturalmente, di colui che lo controlla, Vladimir Putin.

Cadesse lui, cadrebbe anche il ristretto gruppo che lo coadiuva. Nella sua tragicità il problema è semplice. Putin non può mollare l'osso, non può accettare nessun negoziato se non è in grado, prima di sedersi al tavolo negoziale, di potersi proclamare (credibilmente) vincitore. Se gettasse la spugna quella potrebbe essere — e comunque è ciò che egli sicuramente pensa — la sua fine politica (e forse non solo politica). La «banda Putin» teme di non sopravvivere alla sconfitta. Per questo tutti sappiamo che, a meno di improvvisi rivolgimenti politici al Cremlino (o una vittoria degli ucraini), la guerra continuerà a lungo. Su questo punto gli amici occidentali di Putin hanno ragione: se quei «prepotenti» degli ucraini continueranno a rifiutare di arrendersi, di consegnarsi mani e piedi ai russi, o, quanto meno, di cedere loro, definitivamente, ampia parte del proprio territorio, le armi non taceranno.

Forse l'invasione dell'Ucraina, con tutti i suoi calcoli sbagliati e gli immani costi a carico della società russa, sarà la scintilla che provocherà la caduta del regime putiniano. Ma non conviene scommetterci. Occorre guardarsi da un errore di giudizio tipicamente occidentale, un errore che commettono di frequente coloro che abitano nei territori della democrazia: credere che valga anche per le autocrazie la regola vigente nei nostri regimi politici.

In democrazia, un governo non sopravvive a una catastrofe provocata dai suoi errori. Viene cacciato dagli elettori. Un governo autocratico, invece, può riuscire a sopravvivere persino se la sua azione ha imposto costi umani, sociali ed economici ingenti al proprio popolo. La lista dei regimi dittatoriali che hanno inflitto grandi sofferenze ai loro sudditi e che tuttavia sono durati molto a lungo, comprende un numero alto di casi. Plausibilmente Putin verrà prima o poi sostituito (ma quando?). A meno di una netta e inequivocabile vittoria degli ucraini (non si sa quanto probabile), con la riconquista di tutti i territori occupati dai russi, la guerra è dunque destinata a continuare. Chissà se tra un altro anno saremo ancora qui a commentarne l'andamento.

Il terzo motivo di incertezza riguarda noi occidentali. Le democrazie, costitutivamente, non sono in genere in grado di sostenere, moralmente oltre che finanziariamente, per un periodo troppo lungo, un impegno come quello che si sono assunte da quando è iniziata l'invasione dell'Ucraina. Le opinioni pubbliche delle democrazie sono volubili, incostanti. Si stancano presto delle cause che, magari, inizialmente, avevano abbracciato con entusiasmo. Soprattutto quando comportano dei costi. È la ragione per la quale si è spesso sostenuto che la politica estera sia il punto debole delle democrazie. Le oscillazioni dell'opinione pubblica condizionano l'azione dei governi e talvolta, non consentono loro di mantenere nel lungo periodo gli impegni assunti, non garantiscono che la loro risolutezza nell'affrontare una crisi internazionale possa protrarsi per tutto il tempo in cui quella crisi durerà. Lo si è detto e ridetto: Putin che, quando ha invaso l'Ucraina, puntava sulle divisioni occidentali e sulla incapacità delle democrazie di reagire compatte all'invasione, ha sbagliato i suoi calcoli. Ma non è sicuro che la sua scommessa si riveli errata nel medio-lungo periodo. È anche per questo che Zelensky non perde un'occasione per parlare alle opinioni pubbliche occidentali.

La guerra in corso quindi si gioca su tre tavoli. Il primo, naturalmente, è quello rappresentato dai luoghi dove si combatte. Il secondo tavolo è in Russia, riguarda la capacità o meno del regime putiniano di mantenere salda la presa sul Paese, di riuscire a perpetuarsi nonostante le tante, vistosissime crepe.

Il terzo tavolo sta in Occidente. In gioco è qui la capacità o meno delle democrazie di tenere il punto, di non arretrare di fronte alla sfida putiniana anche se ciò dovesse comportare impegni protratti nel tempo ancora a lungo.

Quando scoppiò la pandemia si disse che il mondo «non sarebbe stato più lo stesso». Era forse un'esagerazione. Ma ciò che non potè la pandemia può la guerra.

A seconda di come essa si concluderà cambieranno gli equilibri politici in Europa. Con effetti positivi anche per noi se l'Ucraina sarà riuscita a difendere la propria indipendenza. Con effetti negativi in caso contrario. Influenzeranno la vita di tutti. Anche di quelli che non lo comprendono.

 

(da www.corriere.it - 20 gennaio 2023)

 

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