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I cambi d'abito in democrazia tra realismo e demagogia

 

di Angelo Panebianco

 

I vizi italiani: il passaggio del testimone fra chi ha vinto le elezioni e chi le ha perse comporta lo scambio degli atteggiamenti. Il resto lo fa la «tirannia del breve termine"

 

Non c'è nessuna democrazia che ne sia davvero immune. Sono però vizi che in Italia, da tempo immemorabile, si manifestano con particolare forza. Possiamo definirli «il pendolo fra realismo e demagogia» e «la tirannia del breve termine». La matrice è comune, le cause sono le stesse.

Il pendolo fra realismo e demagogia comporta talvolta un passaggio del testimone fra chi ha vinto le elezioni e chi le ha perse. Spesso (anche se non sempre) chi vince e va al governo si cambia rapidamente di abito. Fino al giorno prima si comportava da opposizione irresponsabile, con dosi massicce di demagogia e promesse irrealizzabili agli elettori. Approdato al governo ammaina le bandiere della fase precedente, diventa realista, si sforza di apparire responsabile, consapevole delle difficoltà e dei margini di manovra ristretti che incombono sull'azione del governo. Chi perde le elezioni fa il tragitto contrario.

Liberato dal peso del governo, può sbarazzarsi dal realismo e fare più o meno quello che faceva , fino a poco tempo prima, l'attuale vincitore delle elezioni.

Qualunque altra cosa fosse «l'agenda Draghi», una cosa era di sicuro: il faro del Pd, la bibbia a cui quel partito diceva di ispirarsi quando era al governo e ancora durante la campagna elettorale. Ma, finito all'opposizione, il Pd ha ripudiato la bibbia: le sue critiche a una Finanziaria attenta ai conti pubblici sono state e sono di altro tenore, a fatica distinguibili da quelle dei 5 Stelle. All'opposto, Meloni, la dura oppositrice di tutti i governi precedenti, quello di Draghi compreso, ne ha subito sposato la filosofia. La sua Finanziaria non è apparsa troppo diversa da quella che avrebbe potuto fare il suo predecessore. Né la sua posizione sull'Europa è assimilabile oggi a quella che Fratelli d'Italia ostentava quando era all'opposizione.

Certamente, il pendolo fra realismo e demagogia, e il rapido passaggio dall'uno all'altra (e viceversa) a seconda che si vincano o si perdano le elezioni, non sono la cosa peggiore che possa capitare a una democrazia. Peggiore è la situazione in cui certe forze politiche, demagogiche all'opposizione, lo restano anche quando vanno al governo: è,ad esempio, la storia dei tanti populismi latinoamericani e delle pessime condizioni in cui quei populismi hanno sempre lasciato i loro Paesi dopo averli (s)governati. C'è chi pensa che l'Italia ci sia andata vicina all'epoca del Conte 1(l'alleanza 5 Stelle/Lega).

Va comunque detto che alla buona salute di una democrazia servirebbero, anziché il pendolo, governi realisti e opposizioni responsabili, ossia opposizioni capaci di proporre ricette altrettanto realiste, anche se, ovviamente, diverse da quelle del governo.

Il secondo vizio, «la tirannia del breve periodo», colpisce soprattutto i governi. La democrazia, di per sé, tende ad essere schiacciata sui tempi brevi: l'orizzonte temporale di chi governa non va al di là delle future elezioni. E se le campagne elettorali — nazionali, regionali, locali, europee — si susseguono continuamente l'orizzonte temporale si restringe ulteriormente. Ciò incide sull'azione del governo, la rende di corto respiro: non posso preoccuparmi di ciò che accadrà fra qualche anno, devo giocarmela qui e ora. Il che porta ad accantonare le politiche i cui eventuali buoni risultati potrebbero manifestarsi solo dopo qualche tempo.

Ancorché visibili in tutte le democrazie gli effetti dei suddetti vizi possono essere talvolta attenuati se si danno certe condizioni. Per esempio, la tirannia del breve termine può fare meno danni se c'è un'amministrazione pubblica di qualità in grado di operare con efficienza quale che sia il colore politico di quelli che si avvicendano nei ruoli di governo.

Nel caso italiano l'effetto combinato dei due suddetti vizi è particolarmente grave. Per ragioni culturali e istituzionali. Pesa, innanzitutto, la cultura politica. I militanti delle varie fazioni possono starsene zitti e buoni, trangugiare politiche che in cuor loro disapprovano, se la loro fazione è al governo. Ma se è all'opposizione essi pretendono «purezza», lotta senza quartiere contro qualunque scelta del governo. Vogliono che i leader raccontino che chi governa rappresenta il male e che «un altro mondo è possibile». Niente meno. Da qui il pendolo.

E pesa l'assetto istituzionale. Se in nessuna democrazia parlamentare possono esserci garanzie che un governo resti in carica per l'intera legislatura, in Italia è garantito il contrario: non sono mai possibili governi di legislatura. La precarietà dei governi è la regola, non l'eccezione. Che ciò esasperi gli effetti della tirannia del breve termine è evidente. Ma rende anche inevitabile il pendolo fra realismo e demagogia. Se il governo non è ben saldo sulle gambe, se si pensa che la maggioranza parlamentare non reggerà fino alle elezioni successive, manca, per chi sta all'opposizione, l'incentivo necessario per mettere a punto una credibile alternativa di governo e la perseveranza che occorre per convincere gli elettori, nel corso delle legislatura, della serietà dei propri intenti.

La Gran Bretagna ha attraversato acque politiche agitate negli ultimi anni (con diversi cambiamenti di primi ministri). Qualcuno ha detto che si è «italianizzata».

Un errore. L'instabilità si è manifestata con una successione di primi ministri ma senza che venisse mai modificata la maggioranza parlamentare. Conservatrice era e conservatrice resta. Quando ne era segretario Jeremy Corbyn (2015-2020), il partito di opposizione, il laburista, aveva scelto la demagogia: una classica — in quel caso sì — postura «all'italiana». Perdendo ovviamente le elezioni. Se il partito laburista è oggi tornato competitivo e ha chance di vincere la prossima contesa elettorale è perché ha cambiato registro, si propone ora agli elettori come una credibile alternativa di governo.

Alla fine degli anni Settanta dello scorso secolo Bettino Craxi lanciò l'idea d una «grande riforma»(il presidenzialismo). Dopo di allora si è tentato di tutto: commissioni bicamerali in serie, riforme elettorali a pioggia, referendum elettorali, costituzionali, eccetera. Il presidenzialismo di Meloni è l'ultimo passeggero salito su un pullman affollatissimo. Ma il succo è sempre lo stesso. Esiste un marchingegno istituzionale che consenta di attenuare gli effetti dei nostri due endemici vizi? Nell'ultimo mezzo secolo lo si è cercato ovunque. Senza mai trovarlo.

 

(da www.corriere.it - 13 gennaio 2023)

 

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