logo Fucinaidee

Litio per le batterie: le industrie minerarie cinesi fanno scempio in Indonesia

 

Di Carlo Bellati

 

Le batterie per le auto elettriche impiegano molti materiali comuni come la grafite, ma oltre il 50% del catodo viene realizzato con mix di litio, nickel, cobalto o manganese, minerali che in natura si trovano mescolati con molti altri elementi e richiedono, per essere utilizzati in una batteria, di essere puri al 99%.

Il loro prezzo è salito vertiginosamente nell'ultimo anno: il nickel, per esempio, in 12 mesi è quasi raddoppiato passando da 19.000 dollari alla tonnellata a oltre 31.000 dollari, con punte nel corso dell'anno che hanno sfiorato i 50.000 dollari per 1.000 kg. La felicità di chiunque abbia investito in questo business, ma l'aumento dei valore sta portando anche disastrose conseguenze sul piano ambientale.

In un recente articolo sui giacimenti indonesiani (intitolato “La strada sporca per l'energia pulita" che vi invitiamo a leggere a firma di By ANTONIA TIMMERMAN e foto di MUHAMMAD FADLI) l'organizzazione no-profit di giornalismo Rest Of The World con sede a New York ha documentato con interviste e sopralluoghi cosa sta succedendo nell'isola di Sulawesi, presso il villaggio di Kusisa.

Lì si trova uno dei più grandi giacimenti al mondo di nickel che viene estratto da una compagna mineraria gestita da indonesiani ma in larga parte di proprietà cinese (la IMIP che impiega 66 mila operai, 5.000 cinesi), che nel giro di sette anni ha devastato una delle zone più belle e incontaminate del pianeta, una riserva preziosa della biodiversità dove i pescatori locali affermano che l'innalzamento della temperatura dovuto agli scarichi della centrale termica

(a carbone) ha fatto salire la temperatura dell'acqua e allontanato i pesci e coperto i fondali di fango dove prima c'era la barriera corallina.

I giacimenti di nickel sono stati scoperti da molto tempo in Indonesia (e nella vicina Australia) ma fino a pochi anni fa l'estrazione era limitata al materiale grezzo che veniva poi esportato per le successive lavorazioni, principalmente per l'acciaio inox. Da poco tempo la domanda è salita vertiginosamente al punto di convincere le aziende estrattrici e il Governo che è più vantaggioso raffinare il nickel sul posto e vendere il cosiddetto nickel matte, un minerale intermedio che contiene dal 30 al 60% di nickel per produrre il quale serve una enorme quantità di energia, prodotta principalmente con i combustibili fossili. I poveri ex-pescatori di Kusisa dicono non mangiamo più pesce… mangiamo carbone.

Da un lato, l'abbondanza di questi materiali è un'occasione di sviluppo per Paesi storicamente ai margini della grande industria manifatturiera e certamente per loro un motore dell'economia, ma quel che nei mercati occidentali viene mostrato come un beneficio ambientale (per il passaggio alla mobilità elettrica), entro pochi anni si rivelerà, su scala più grande, come un saccheggio di materie prime, risorse energetiche e qualità della vita non dissimile da quello che fu il periodo coloniale per le grandi potenze fino alla fine della Seconda Guerra mondiale.

Con la differenza che ora la Cina ne è la protagonista, avendo non solo anticipato tutto il resto del mondo negli investimenti in ricerca e produzione dei minerali in Cile, in Congo e in Indonesia, ma anche disponendo di conseguenza della maggior parte delle industrie che producono batterie per quasi tutti i carmaker mondiali. Secondo Rest Of The World, Tesla - il più grande produttore al mondo di elettriche - ha appena firmato un contratto di 5 anni con due aziende minerarie cinesi per assicurarsi il nickel di Sulawesi.

 

(da www.msn.com - 12 dicembre 2022)

 

 

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina