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I veri nemici della sostenibilità

di Paolo Razzuoli

La sostenibilità è una di quelle "parole magiche" che ormai non può mancare in un intervento politico-sociale che si rispetti.
Non vi è infatti alcuno che non la condivida, almeno a parole; altra cosa è ovviamente la consapevolezza di ciò che concretamente significhi e quali sono le sue reali implicazioni.
Siamo purtroppo in un'epoca in cui una cosa sono le parole ed altra cosa sono i comportamenti ed i fatti. Siamo in un'epoca in cui, sulla spinta dei mezzi di comunicazione di massa ed ancor più dei social, l'immagine vale più del contenuto, l'apparire conta più dell'essere.
Lo vediamo praticamente in ogni ambito dei comportamenti sociali ed individuali, con i conseguenti guasti che sono sotto gli occhi di tutti.

Benvengano quindi tutte le occasioni capaci di stimolare una riflessione seria attorno ad un argomento che, penso senza esagerare, è uno dei più rilevanti del tempo che viviamo. Infatti il riscaldamento ed i conseguenti cambiamenti climatici e disastri ambientali non consentono ormai più alcun indugio.
In questa ottica il "Pianeta Terra Festival" voluto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, che si è svolto a Lucca dal 6 al 9 ottobre scorsi, ha rappresentato una preziosa occasione.

Cercando qui di indagare oltre gli orizzonti dei luoghi comuni, quali sono - a mio modo di vedere e almeno in Italia - i veri nemici della sostenibilità?
E' appunto attorno a questo interrogativo che cercherò di riflettere in questo mio contributo.

Ma in premessa, cerco di definire il concetto di sostenibilità. Insomma, cosa si intende per sviluppo sostenibile?
“Soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere quelli della generazione futura”: questa direi che è la definizione di sviluppo sostenibile, oggi goal globale grazie all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Ed ancora: perché è così importante perseguire questo fine?
Rispondono i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile che definiscono un nuovo modello di società, secondo criteri di maggior responsabilità in termini sociali, ambientali ed economici, finalizzati ad evitare il collasso dell’ecosistema terrestre. E in questo disegno tutti possono fare la loro parte, dalle aziende ai consumatori finali.

L’idea di sviluppo sostenibile presenta pertanto una natura complessa, soggetta a numerose interpretazioni, ma la definizione universalmente riconosciuta risale al 1987 e si trova nel cosiddetto Rapporto Brundtland – dal titolo “Our common future” -, il quale pone l’attenzione sui principi di equità intergenerazionale e intragenerazionale. Il rapporto identifica per la prima volta  la sostenibilità come la condizione di uno sviluppo in grado di “assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.
Aggiungo che il concetto di sostenibilità, rispetto alle sue prime formulazioni, ha fatto registrare “una profonda evoluzione che, partendo da una visione centrata preminentemente sugli aspetti ecologici, è approdata verso un significato più globale, che tenesse conto, oltre che della dimensione ambientale, di quella economica e di quella sociale. Insisto su questo orizzonte, poiché I tre aspetti sono fra di loro così strettamente interelati da doversi considerare in un rapporto sinergico e sistemico e, combinati tra loro in diversa misura, sono stati impiegati anche per giungere a una nuova definizione di progresso e di benessere che superasse in qualche modo le tradizionali misure della ricchezza e della crescita economica basate sul Pil”.

Quindi, la sostenibilità implica “un benessere (ambientale, sociale, economico) costante e preferibilmente crescente e la prospettiva di lasciare alle generazioni future una qualità della vita non inferiore a quella attuale.
Va comunque tenuto presente che la sostenibilità è un concetto dinamico, in quanto le relazioni tra sistema ecologico e sistema antropico possono essere influenzate dallo scenario tecnologico, che, mutando, potrebbe allentare alcuni vincoli relativi, ad esempio, all’uso delle fonti energetiche.

La sostenibilità può costituire un vantaggio per le aziende che seriamente vi si impegnano.
Vediamo pertanto che cosa distingue un’impresa “sostenibile”? Fondamentalmente, le best practices che caratterizzano questo status si declinano su tutti i versanti della sostenibilità.
Un’impresa sostenibile, ad esempio:
Utilizza gli scarti di altri processi come input;
Riduce al minimo o elimina l’impiego di materiali nuovi estratti dalla terra;
Crea output che possono essere utilizzati da altri processi o riportati allo stato naturale ed elimina i rifiuti che non è possibile utilizzare o riportare allo stato naturale;
Utilizza la minor quantità possibile di energia per raggiungere il risultato desiderato;
Impiega energia essenzialmente prodotta da fonti rinnovabili.

Un interrogativo a questo punto si impone: perché sforzarsi di ottenere risultati simili, certamente non di semplice realizzazione?
Parto da un dato. Secondo un rapporto di Nielsen, società leader nelle indagini di mercato, oggi il 52% dei consumatori si dichiara disposto a spendere di più se il brand adotta delle politiche di sostenibilità. Non solo. L’indagine spiega anche che “i marchi che sono in grado di connettersi strategicamente (con la sostenibilità) al comportamento dei consumatori aumentano le aspettative e la domanda”, precisando tuttavia che “le dichiarazioni di sostenibilità sulle confezioni dei prodotti devono anche riflettere sul modo in cui un’azienda opera dentro e fuori”.
Insomma, il valore di mercato di un atteggiamento etico è ormai innegabile, tanto che la sostenibilità è ormai vista come un elemento strategico in grado di innescare nuove dinamiche competitive e di giocare un ruolo cardine nella competizione.

Ancora in premessa, altro tema su cui ritengo utile spendere qualche riga, è l'acronimo ESG, sempre più ricorrente nel dibattito attorno alla sostenibilità.
Ma cosa si cela dietro questa sigla? Dietro l’acronimo ESG, sempre più conosciuto anche fuori dal mondo della finanza e della “sostenibilità” ci stanno tre termini molto chiari: Environmental (ambiente), Social (ad esempio la dignità del lavoro), e Governance (esempio la parità di genere); si tratta di tre dimensioni fondamentali per verificare, misurare, controllare e sostenere (con acquisto di prodotti o con scelte di investimento) l’impegno in termini di sostenibilità di una impresa o di una organizzazione.
Nello specifico l’ESG si deve ricondurre primariamente a serie di criteri di misurazione e di standard (in molti casi ancora in fase di sviluppo) delle attività ambientali, sociali e della governance di una organizzazione. Criteri che si concretizzano in un insieme di standard operativi a cui si devono ispirare le operations di un’azienda per garantire il raggiungimento di determinati risultati ambientali, a livello sociale e di governance delle imprese.
Si tratta di criteri che sono poi utilizzati dagli investitori per valutare e decidere le loro scelte di investimento.

Come si può ben vedere, il tema della sostenibilità è estremamente complesso e non può essere affrontato con frasi ad effetto o con approcci parziali. Insisto che parlare di sostenibilità implica una chiara consapevolezza dell'intero arco delle correlazioni almeno fra tre fattori imprescindibili: quello ambientale, quello economico e quello sociale.
Correlazioni che non possono certo sfuggire a chiunque sia fornito di adeguati strumenti di analisi e di buona fede.

Correlazioni che direi escludono qualsiasi gerarchia nell'importanza dei tre versanti:
l'idea di una crescita equilibrata che voglia conservare un pianeta vivibile per le prossime generazioni non può prescindere dal mantenimento di un ambiente idoneo per la vita del genere umano, non può certo prescindere da uno sviluppo economico che consenta a strati sempre maggiori di popolazione di soddisfare i propri bisogni e/o desideri di beni e servizi, non può prescindere dal mantenimento, e se possibile dal rafforzamento, di contesti sociali nei quali l'esistenza umana possa serenamente svolgersi.

Una sfida di straordinaria complessità - che comporta dei prezzi da pagare - forse la più ardua a cui l'umanità viene chiamata, che richiede un approccio privo di ipocrisie, di pulsioni ideologiche, di vacua volontà di essere in linea con il "main stream" (pensiero dominante o pensiero unico).

Ecco che sto avvicinandomi al cuore del problema: Quali sono i veri nemici, almeno in Italia ma probabilmente non solo da noi, della sostenibilità?
Sono, a mio modo di vedere, atteggiamenti mentali e culturali che per comodità espositiva suddividerò in tre categorie, premettendo che altre categorie potrebbero essere efficacemente adottate. Si tratta di categorie i cui confini sono molto labili, poiché molteplici sono le reciproche contiguità e le trasversalità fra di esse.
Così individuo i tre veri nemici della sostenibilità: l'ideologia; l'ipocrisia; la smania di conformazione al "pensiero dominante".
Sono nemici subdoli, invisibili anche perché immateriali, penetranti, sfuggenti, ma terribili, nella gattopardesca attitudine nostrana di celare dietro le buone intenzioni ed i più vivi slanci riformisti, il più tenace conservatorismo.

Le ideologie, con le loro rigidità, costituiscono proprio in ragione della loro natura un ostacolo alla soluzione di problemi che richiedono, al contrario, pragmatismo e flessibilità.
Le pulsioni ecologiste ed ambientaliste, con i loro "no" a tutto, hanno già prodotto danni gravissimi. Al di là dell'abbandono del nucleare (scelta operata con un referendum tenuto poco dopo l'incidente alla centrale nucleare di Cernobyl, le pulsioni ecologiste sono alla base di una serie di scelte scellerate quale quella del blocco delle trivellazioni in Adriatico per lo sfruttamento dei giacimenti di metano, la lotta contro il TAP, la lotta contro i rigassificatori, le lotte contro i termovalorizzatori e via dicendo.
E sempre riconducibile all'ideologia ambientalista è la difficoltà a superare gli assurdi ostacoli che si frappongono all'installazione di apparati per la produzione di energia da fonti rinnovabili, quali i pannelli fotovoltaici o gli impianti eolici.
In decenni di cedimenti alle pulsioni ambientaliste, si è creato un corpus normativo ed istituzionale, di cui le sovrintendenze sono la mano armata, che considera la tutela ambientale in modo ideologico e passivo, mentre la tutela certo è un valore positivo, purché inserito in una fattiva prospettiva al servizio dell'attività umana.
In questa logica, viene da dire che se in quel tempo ci fossero state le Sovrintendenze, non avremmo potuto avere il Rinascimento.

Pensando soprattutto ai giovani, che magari queste cose non sanno, è inammissibile esaltarne la sensibilità ecologista ed ambientalista, quando poi, nel contempo e de facto, ci si arrocca sulla difesa di norme e procedure destinate a mettere mille ostacoli a coloro che concretamente cercano di fare qualcosa.

Pulsioni ideologiche quindi che si saldano con una burocrazia primariamente protesa a salvaguardare la propria capacità di intrusione nella società civile, purtroppo sostenuta anche da ampi settori della politica, in un perverso gioco di reciproci sostegni e favori.

Il secondo terribile nemico della sostenibilità è l'ipocrisia: quel vizio italiano, ma credo non solo italiano, di lavarsi la coscienza con la scrittura di norme che poi non trovano alcun serio riscontro con la realtà all'atto della loro applicazione.
In quest'arte noi siamo bravissimi: scriviamo le migliori leggi per poi averne le peggiori applicazioni. Abbiamo recentemente inserito in Costituzione (art.i 9 e 41) la tutela del paesaggio e della salute, nella prospettiva di salvaguardarle per le prossime generazioni. Ma aldilà di dubbi sul fatto che così facendo si rischia di dare la stura ad infiniti ricorsi di incostituzionalità, è necessario intervenire urgentemente in profondità - con chiare e coraggiose modifiche normative - per dare la possibilità a chi ha la volontà di operare concretamente di potersi liberare dai presenti lacci e lacciuoli.

Altro esempio è quello di politici e/o amministratori che pensano di meritarsi patenti di "paladini della sostenibilità" mediante norme e/o atteggiamenti talvolta marginali e talvolta astrattamente formali, rispetto ai termini reali del tema. Per non essere vago cito le ordinanze che vietano l'accensione dei caminetti, o l'illusione di qualche sindaco di blasonarsi mediante azzioni di stimolo alla piantagione di qualche albero.
Qualche riga in più meritano le ordinanze di divieto (ad esempio Regione Toscana) di accensione degli impianti a biomasse (appunto i caminetti o stufe a pellets); azioni che in una fase come quella che stiamo attraversando per i costi energetici, non possono che suscitare rabbia in vasti strati dell'opinione pubblica per cui, negli orizzonti prospettici di stimolare la maturazione di una cultura della sostenibilità, non possono che tradursi in un boomerang destinato ad infliggere un colpo durissimo al consolidamento di una tale cultura.

Tornando sul punto, la presenza antropica ha da sempre inciso sull'ambiente e sul paesaggio. Si tratta pertanto di trovare un equilibrio fra le tre sostenibilità di cui già ho detto in premessa: ambientale, economica e sociale.
Se uno dei vertici di questo triangolo salta, la conseguenza sarà inevitabilmente quella di bloccare qualsiasi serio progresso nel percorso della sostenibilità.

Altro tema su cui occorre dire la verità è quello di chi dovrà pagarne il conto. La sostenibilità ha un costo ed occorre una politica seria nel distribuirlo. E' un tema che non ammette ipocrisie: schierarsi dalla parte della sostenibilità (è certo questo lo schieramento giusto), implica la consapevolezza anche dei costi nonché un'idea di come questi dovranno essere distribuiti. Ipocrisie su questo versante comportano reazioni capaci di vanificare l'intera sfida. Segnali in questa direzione già ne abbiamo, ad esempio negli Stati Uniti in cui sta montando una pericolosa tendenza ostile a qualsiasi idea di sostenibilità nei processi economici.

Il terzo nemico è la smania di conformazione al "main stream" (pensiero dominante o pensiero unico). La sostenibilità fa "moda" ed a questa non ci si può sottrarre. Ecco che viene messa ovunque, superficialmente, senza alcun riferimento alle sue implicazioni. Ed un siffatto attegiamento è la migliore premessa per svalutarne il senso.
La sostenibilità implica l'acquisizione delle sue valenze razionali; non è l'adesione ad una moda. Non è nemmeno una fede a cui ci si converte; le conversioni hanno qualcosa di non indagabili con la ragione; la cultura della sostenibilità si basa proprio sulla consapevolezza razionale della sua ineluttabilità.

Recentemente mi sono imbattuto in una proposta del Ministero della Cultura in cui si parlava di "patrimonio culturale sostenibile". Vorrei che mi fosse spiegato qual è il patrimonio culturale non sostenibile"....

Sempre attinenti alle mode, vengono coltivati fuorvianti equivoci, penso da varie parti anche in mala fede, su cosa debba intendersi per sostenibilità. Ad esempio, si dice che l'auto elettrica è sostenibile. Ma chi lo dice: aldilà delle opinioni sul gas serra emesso per l'intero ciclo dalla produzione allo smaltimento, il tema vero è la modalità di produzione dell'energia elettrica. Se infatti viene prodotta con centrali a carbone o a metano, l'auto elettrica non è certo un prodotto sostenibile; caso mai si potrà parlare di spostamento di inquinamento ma non certo di sostenibilità. Non basta non vedere il fumo uscire dal tubo di scappamento per essere sostenibili.

Mi sembra che ciò valga anche per i processi produttivi, per i quali si stanno proponendo offerte "chiavi in mano", che tendono a risolvere gli aspetti formali delle procedure, nella solita logica del mero rispetto degli adempimenti normativi per potersi fregiare di un blasone alla moda, ritenuto utile soprattutto agli effetti del mercato.

Ideologia, ipocrisia e la solita smania di aderire al pensiero dominante in modo parolaio, costituiscono ostacoli fortissimi all'avvio di processi veramente concreti nella direzione che sarebbe auspicabile.
Come dicevo sopra, la presenza antropica ha da sempre avuto un impatto sulla natura. Il tema è quindi quello di trovare il giusto equilibrio fra le esigenze dell'antropizzazione ed il mantenimento di un contesto ambientale che possa consegnare alle prossime generazioni un pianeta vivibile.
E va trovato tenendo ben presenti gli elementi correlati nell'idea stessa di sostenibilità: sostenibilità ambientale, sostenibilità economica, sostenibilità sociale.
Se viene meno questa correlazione, il processo non potrà andare avanti per cui ci troveremo ad assistere passivamente ad un degrado probabilmente senza ritorno. Ed il tempo che viviamo è carico di incognite. L'aggressione russa all'Ucraina, con le fin troppo note ricadute sull'approvvigionamento energetico, sta bloccando il processo di transizione ecologica, anzi ne sta portando indietro le lancette, particolarmente da noi, per la stoltaggine di decenni di ideologie dilaganti che, con i loro "no a tutto", ci hanno costretti ad una dipendenza massiccia da fonti estere.

In queste righe mi sono occupato di aspetti politico-sociali italiani ma, come è ovvio, il tema è globale.
Lo è a partire da quello fondamentale dei costi, di cui si parla poco ma che è tema centrale per una seria riconversione sostenibile.
Attualmente i costi dei cambiamenti climatici vengono pagati soprattutto dalle popolazioni più povere. E' di tutta evidenza che questa situazione andrà invertita.

Andranno fatte scelte equilibrate, in una logica che interpella la politica, i comportamenti sociali e quelli individuali.
Lo sviluppo sostenibile comporta un prezzo da pagare, per garantire l'equilibrio del pianeta.
Speriamo che la scienza possa fornirci qualche nuova soluzione. Al momento siamo però chiamati ad utilizzare al meglio ciò che abbiamo. In quest'ottica, ad esempio, in aggiunta alle fonti rinnovabili, non appare giustificata l'opposizione all'energia nucleare per la produzione di elettricità.

Come già ho detto, è questa la sfida più impegnativa a cui l'umanità viene chiamata. E' una sfida che va vinta: lo dobbiamo alle nuove generazioni.
Una sfida globale, che peraltro vede il nostro continente in una posizione di primo piano.
Una sfida in cui anche l'Italia potrà giocare un ruolo di tutto rispetto, avvalendosi della sua straordinaria cultura, storia e sensibilità, purché riesca a scrollarsi di dosso i veri, subdoli nemici di qualsivoglia autentico cambiamento: le pulsioni ideologiche, l'ipocrisia, l'adeguamento parolaio alle mode.

Lucca, 17 ottobre 2022

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