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Se il PD si auto sciogliesse?

di Francesco Colucci

Rosy Bindi ed altri dinosauri del partito hanno proposto lo scioglimento del PD.
Letta ha proposto una Costituente e anche di cambiare nome.

Sembra proprio che il PD, per quello che abbiamo conosciuto, stia per scomparire e non piangeremo certo noi.

Molte delle difficoltà politico-istituzionali dell’Italia sono attribuibili al PD.
L’accorpamento in un unico Partito avvenuto nel 2007, fra i post-comunisti orfani del muro di Berlino e i sinistri cattolici di una DC affondata da una tangentopoli a senso unico, ha generato un Mostro.

Un Partito di “Elevati” che ha lasciato ogni rapporto con il mondo del lavoro e della produzione, per assegnarsi il compito di dispensatore di verità, di gestore del potere a prescindere, per innalzare la bandiera del Giustizialismo mutuata dal leninismo del vecchio PCI: Non si combattono le idee avverse, ma si combattono gli uomini che le propugnano. Berlusconi, Renzi e ora Calenda, come prima, Andreotti e Craxi, i nemici da distruggere anche con l’aiuto di apparati dello Stato. “…finché il proletariato ha bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell’interesse della libertà, ma nell’interesse dell’assoggettamento dei suoi avversari” Vladimir Il'ic Ul'janov, detto Lenin.

All’inizio, la fusione fra i post-comunisti e i cattolici oltranzisti si è realizzata nel sentirsi “il partito degli Eletti”: i primi cresciuti nell’infallibilità comunista e i secondi nell’anatema di Papa Urbano II, “Deus vulte”.

Un partito dispensatore di verità costruite ad hoc, di cartacee patenti di antifascismo, di perbenismo salottiero, di sinistrese d’accatto.

Il PD si nutre negli anni a pane e giustizialismo, perdendo ogni contatto con i problemi di una società italiana che non riesce più né a crescere né ad essere socialmente giusta, creando nel paese il seme della rivolta elettorale dei diseredati che si affidano al populismo del comico Grillo, il Masaniello di turno. Un voto di brutale scambio.

Unica eccezione, alcuni anni fa, un gruppo di giovani era riuscito ad affermarsi all’interno del PD, sotto la guida di Matteo Renzi, divenuto segretario a furore di popolo, contro il vecchio establishment catto-comunista, recuperando i valori del Riformismo per operare nelle istituzioni, con un disegno ambizioso: Modificare l'ordinamento politico, economico e sociale esistente attraverso l'attuazione di organiche riforme.

 

Operando sulle povertà e sul mondo del lavoro, abolendo dogmi e schemi sepolti dal tempo.
Un PD al 40% che portò avanti con il Governo Renzi una straordinaria e strutturata riforma costituzionale e dell’intero Stato, che venne sabotata e abbattuta dall’interno del PD stesso, con cinismo, egoismo e cecità. Al grido nessuno tocchi la “ditta”.

Succede di tutto: due scissioni, una di post-comunisti, l’altra di parte dei riformisti, fuoriuscite parziali perché altrettanti difensori della originaria “ditta” e dell’idea riformista rimangono nel PD pur combattendosi su tutto e di più e in ultimo sull’accordo con i “Grillini”.

In questi ultimi anni una gestione confusionaria, contradditoria, assurda culminata con la bestiale affermazione zingarettiana “…Conte è un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste…” e con il recupero dell’emigrato Letta, con il solo scopo di combattere Renzi. Una ossessione irrinunciabile per alcuni.

Il Congresso PD rischia di divenire solo uno squallido referendum su Conte e i Grillini, meglio allora lo scioglimento.

Con i post-comunisti e i crociati di Pietro d'Amiens liberi di fondersi con Conte per realizzare l’agognata sinistra populista e i Riformisti di andare ad ingrossare le file di Calenda e Renzi per creare un forte Partito Riformista e Liberale, saldamente al centro del paese.

Il Riformismo è unica vera novità italiana, che potrà guidare l’Italia con serietà e credito internazionale, come Mario Draghi ha fatto in questi due anni.

Lucca, 2 ottobre 2022

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