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Berlusconi rilancia il forzaleghismo putinofilo, ora Meloni e Pd ripensino le alleanze

di Mario Lavia

Quali conseguenze avrà la posizione filoputiniana di Silvio Berlusconi? Premesso che nessuna forza politica, tantomeno Forza Italia, medita di far cadere il governo Draghi e di precipitarsi alle elezioni, c’è però da riflettere su almeno tre effetti che la scelta del Cavaliere, seppur corretta dallo staff e con affanno da lui stesso (secondo la detestabile tradizione di dire un giorno una cosa e il giorno dopo un’altra), può determinare.

Il primo effetto è, diciamo così, teorico ma comunque impressionante. Come ha calcolato un esperto giornalista parlamentare dell’Ansa, Giovanni Innamorati, dopo le parole napoletane di Silvio i “putiniani” hanno adesso la maggioranza alla Camera dei deputati: M5s 155 + Lega 132 + Fi 82, totale 369. Naturalmente si obietterà che la posizione di Giuseppe Conte non è esattamente coincidente con quella di Berlusconi e che dunque questi voti non sono sommabili; e tuttavia a questi numeri bisognerebbe anche aggiungere quelli dei tanti deputati “sciolti” o quelli di Alternativa (cioè ex grillini) e di Sinistra italiana, tutti su posizioni cosiddette “pacifiste”, quelle che vanno dall’auspicio di una resa di Volodymyr Zelensky (mentori Piero Sansonetti e con maggiore acrimonia Marco Travaglio) a quelli che nel nome della famosa “complessità” evocano la via tanto breve quanto imprecisata della “trattativa”.

Dunque non sta nascendo una nuova maggioranza: e però il dato fa scalpore perché basta osservare che tre mesi fa, quando il Parlamento votò quasi all’unanimità gli aiuti anche con le armi all’Ucraina, le cose non stavano come oggi. Berlusconi fiuta la stanchezza degli italiani per una situazione che non si sblocca ed è foriera di pesanti conseguenze economiche e da vecchio imprenditore (proprio come il nemico storico Carlo De Benedetti) non vede l’ora di chiudere la vicenda nel modo più cinico, con una sostanziale rapida sconfitta di Kiev. Le correzioni successive salvano la faccia ma non cambiano la sostanza del vero pensiero berlusconiano: «Io credo che l’Europa si debba mettere tutta unita a fare una proposta di pace cercando di far accogliere agli ucraini le domande di Putin». Inequivocabile, fate come dice il Cremlino.

Un secondo effetto della posizione filorussa di Berlusconi riguarda il centrodestra, che ora è in larga maggioranza (Lega-Forza Italia) ostile a Zelensky e, più sullo sfondo, agli Stati Uniti e quindi alla linea atlantista seguita da Mario Draghi ed Enrico Letta. E in questo centrodestra Giorgia Meloni si trova improvvisamente isolata, lei che pure è la più forte nei sondaggi.

Un paradosso nel paradosso: il partito d’opposizione in questo caso è d’accordo con il governo, i due partiti nella maggioranza sono contro il governo di cui fanno parte. È ormai perciò evidente e forse irreversibile la spaccatura, e non solo sulla guerra: Lega-Forza Italia da una parte, Fratelli d’Italia dall’altra. Come nei primi anni Duemila: il forzaleghismo teorizzato da Giulio Tremonti, sostanzialmente ostile al concetto di società aperta, contro la Alleanza nazionale di Gianfranco Fini, progressivamente emancipata dalle tradizionali caratteristiche della destra postfascista.

Oggi che non ci sono né i Tremonti né i Fini il livello si è di molto abbassato ma comunque nel centrodestra continua a vivere una contraddizione che presto o tardi andrà risolta. Anzi, più presto che tardi: in questo quadro, non converrebbe a Giorgia Meloni avviare una riflessione sul senso di un’alleanza esclusivamente di potere, senza politica, che può solo tarparle le ali? Non le tornerebbe utile contarsi nelle urne, invece di soggiacere alle mattane di Salvini e Berlusconi, svincolandosi da loro grazie al sistema proporzionale? È chiaro che lei ha paura delle ritorsioni che il Cavaliere e il Capitano potrebbero scatenarle contro ma è anche reale il rischio di trovarsi in seri problemi internazionali se non si autonomizzasse dai due “antiamericani”. Per come si stanno mettendo le cose, le converrebbe trarre le conseguenze del suo atlantismo, e metterlo per così dire a valore nel quadro delle alleanze del nostro Paese.

Infine, un terzo effetto riguarda Forza Italia. La sortita filorussa del Cavaliere con ogni probabilità è minoritaria nel suo partito. Lo sa anche lui, tanto è vero che ha dovuto correggerla. Dopo trent’anni solo l’eterna riverenza e il connesso timore di restare fuori dal giro della politica salva il Cavaliere da una contestazione di un certo peso che per ora trova in Mariastella Gelmini ma anche in Renato Brunetta («Bene fa chi chiede chiarezza») voci esplicite di dissenso – ma tutti sanno che anche Mara Carfagna e i più “giovani” hanno in testa tutt’altre idee che non la riproposizione della Forza Italia di 20 o 30 anni fa. Come al solito prevarranno silenzi e opportunismi ma stavolta il leader è apparso veramente più vecchio e più solo che mai.

La spaccatura del centrodestra è interessante non solo per politologi e commentatori ma anche per i suoi avversari. Un partito come il Pd dovrebbe prendere atto che i vecchi poli sono ormai sfarinati e invece di scommettere sulla riproposizione dello scenario da anni Novanta, Ulivo contro Casa delle libertà, dovrebbe cercare strade inesplorate e immaginare uno schema nuovo che liberi tutti dalla gabbia delle vecchie alleanze, comprendendo che non c’è più casa e non c’è più ulivo ma solo una landa abbastanza desolata su cui provare a ricostruire qualcosa di nuovo.

(da www.linchiesta.it - 23 maggio 2022)

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