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La scia emotiva - Letta deve liberarsi del nodo scorsoio di Conte, prima che sia troppo tardi

di Mario Lavia

La vera alleanza strategica è gialloverde. Nello stesso giorno, Giuseppe Conte fa l’antiamericano e Matteo Salvini abbraccia il capo ungherese Viktor Orbán, grande sodale di Putin, che ha rivinto le elezioni. Non è la stessa cosa ma il filo antiatlantico si attorciglia attorno ai due uomini che insieme vararono i decreti contro gli immigrati e portarono da noi un fetido odore di Cremlino in vari momenti e con diverse modalità, passate al vaglio o della magistratura o del Copasir.

Ma se non suscita meraviglia il pappa e ciccia tra Salvini (e Meloni, e Berlusconi) e l’uomo forte di Budapest, un personaggio che sta facendo rivoltare nella tomba Imre Nagy e gli altri martiri della rivolta antisovietica del 1956, la notizie forte è che Conte, ormai è chiarissimo, è andato via da un campo largo che peraltro esisteva solo nei desideri del Nazareno: però il problema è che la politica non si fa coi desideri, avrebbe detto ai suoi tempi Ciriaco De Mita, ma con i dati reali, i comportamenti concreti.

E se di fronte alla svolta anti-sistema dell’avvocato del populismo, Enrico Letta, un uomo che ha coraggiosamente anteposto i valori a qualunque tattichetta di corto respiro, non sapesse trarne le conseguenze commetterebbe un errore irreparabile. Ha in mano la carta del proporzionale da giocare: provi a salvare il suo partito da una finta e a questo punto imbarazzante alleanza con i populisti antiamericani, quelli che nemmeno dopo Bucha vogliono fare di più contro Mosca.

Come da noi annunciato qualche giorno fa, Conte preferisce andare da solo con il sistema proporzionale – «lo abbiamo sempre detto» – e allora diventa possibile che il cosiddetto Brescellum che è appunto un proporzionale con sbarramento al 5% in estate possa uscire dalle secche della commissione nella quale è impantanato e “rianimarsi”. La destra (finora) è contro ma la sfida dipende da Letta, che peraltro sa bene che le due componenti forti del Pd, Base riformista e la sinistra interna, sono ormai per superare il Rosatellum con il proporzionale.

Conte, intervistato da Repubblica, ha scelto ormai di giocarsela sul terreno dell’antiamericanismo, ma l’antiamericanismo più straccione, meno idealmente motivato. Almeno Rosy Bindi, sul Fatto, ha rispolverato il vecchio dossettismo evocando una «terza via tra mainstream bellicista e pacifismo impolitico»: ma in attesa di trovarla, non bisogna forse aiutare militarmente Kiev? O si fa come a Monaco, le direbbe Emmanuel Mounier?

Più rozzo invece l’ex premier. A parte che non ha saputo rispondere alla domanda se sia d’accordo con la proposta di Letta di un embargo di petrolio e gas dalla Russia, dato che la risposta non c’entrava niente – «non dobbiamo rispondere a queste atrocità con un’escalation militare» – è grave quest’altra affermazione: «Vedo diffondersi, soprattutto sulla scia emotiva di questa guerra, un vetero-atlantismo di stampo fideistico che, unito a un oltranzismo bellicista, rischia di portare altri guai a noi e ai nostri alleati».

La «scia emotiva» – capite, il problema è lì – e magari sono le fosse comuni di Bucha ad aprire la strada al «vetero-atlantismo», qualunque cosa voglia dire (l’atlantismo è il patto politico e strategico tra l’Europa e gli Stati Uniti, non è né vetero né moderno, quello è), ed è colpa di questo “fideismo” se circola questo «oltranzismo bellicista» – ma citofoni a Zelensky – che potrebbe portare ad «altri guai», già, meglio starsene a casa e perché no sperare nella resa degli Ucraini, di certo non si deve pensare «a procrastinare il conflitto» perché – ecco la formula magica – «l’Europa deve pensare a una soluzione politica» (come se da 40 giorni Macron, Scholz, Draghi, Blinken, Bennett, Erdogan, Ursula von der Leyen, Roberta Metsola se ne stessero con le mani in mano).

Siamo dunque alla conferma che il leader del M5s punta a cercar fortuna nel territorio neutralista e antiamericano, dunque fuori dal perimetro delle forze responsabili e di sistema che stanno sostenendo la causa ucraina, sperando di guidare il Partito neutralista italiano (Pni) che potrebbe benissimo saccheggiare consensi di sinistra radicale, ambientalisti, dossettiani, pacifisti a senso unico, persino ingraiani (c’è qualche accento in un’intervista sempre al Fatto di Achille Occhetto, tornato prepotentemente anticapitalista).

Cosa c’entrino questi orientamenti con una sinistra riformista di governo è facile dire: niente. E infatti è lo stesso avvocato a sparare, un po’ fuori sacco, contro Matteo Renzi e Carlo Calenda ma soprattutto a rifare la faccia cattiva con il Pd: «Non siamo disposti a compromessi per compiacere». Mentre dall’altra parte Salvini sembra voler scavalcare a destra Giorgia Meloni, ecco Conte scavalcare a sinistra il Pd, non rendendosi conto di finire nel burrone della marginalità e di portare il suo M5s fuori dal sistema filoatlantico. Per Enrico Letta è una grande occasione per sciogliere l’assurdo nodo scorsoio – la famosa “alleanza strategica” con i grillini – cui l’impiccarono Zingaretti, Bettini, Franceschini e compagnia, e se non lo capisce adesso non lo capirà più.

(da www.linchiesta.it - 5 aprile 2022)

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