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I sonnambuli - Negli Stati Uniti l’insurrezione trumpiana è all’ordine del giorno, ma la campana suona anche per noi

di Francesco Cundari

Se il più grande inganno del diavolo è stato farci credere che non esistesse, come diceva un film che andava di moda anni fa, lo scherzo più terribile che il demone del populismo ha fatto a tutti noi, a forza di evocare complotti internazionali e colpi di stato dietro ogni angolo, è averci resi incapaci di riconoscerli quando ce li abbiamo davanti.

 

A conferma della tesi, sarebbe interessante fare un sondaggio tra i grandi elettori che tra poche settimane si riuniranno per eleggere il prossimo presidente della Repubblica, supremo arbitro della nostra democrazia e garante della Costituzione, per chiedere loro cosa pensino di Donald Trump e di quanto accaduto il 6 gennaio a Washington. Temo che avremmo molte brutte sorprese, e molte brutte conferme.

Per la stampa americana, e per chiunque ancora conservi un minimo di indipendenza di giudizio, è ormai assodato che il 6 gennaio del 2021 l’assalto a Capitol Hill è stato parte di un vero e proprio tentativo di sovvertire l’esito del voto, ed è altrettanto evidente che Trump e i suoi sostenitori, cioè, di fatto, il partito repubblicano, sono già al lavoro per riprovarci al prossimo giro.

Per chi fosse interessato, l’ultimo numero dell’Atlantic è pressoché interamente dedicato a questo scenario, e già nel chiamarlo «scenario» si rischia forse di alimentare l’equivoco, perché l’impegno dei repubblicani in questa direzione è oggi un dato di fatto. Come scrive Jeffrey Goldberg nell’editoriale, non volersi arruolare in alcuna fazione non significa che si debba ignorare l’ovvio, e cioè i repubblicani stanno «tentando di distruggere le fondamenta della democrazia americana». E questo «deve essere detto chiaramente, e ripetutamente». Ma è un dato di fatto che non dovrebbe preoccupare solo chi abbia a cuore le sorti della democrazia americana.

  

La bolla di razionalità e ragionevolezza in cui siamo immersi in Italia dalla nascita del governo Draghi sembra aver fatto perdere a molti il senso del pericolo (e in qualche caso anche del ridicolo), almeno a giudicare dall’andamento dello spensierato dibattito sul futuro dell’esecutivo e sull’ipotesi di elezioni anticipate, dopo il taglio populista dei seggi e con legge elettorale maggioritaria, per di più. Evidentemente a molti non è chiaro cosa abbiamo scampato, per un soffio, negli ultimi anni, e dove rischiamo di andare a finire domani. Specialmente se un insieme di malriposte ambizioni e ingiustificati sogni di gloria dovessero far scoppiare quella bolla di razionalità e ragionevolezza già all’inizio del nuovo anno, ripiombandoci nello status quo ante. O peggio.

La sola idea di una campagna elettorale all’insegna del manicheismo e della delegittimazione reciproca tipiche del bipolarismo di coalizione, nel pieno di una nuova ondata della pandemia e con tutti gli investimenti del Pnrr da realizzare, dovrebbe terrorizzare chiunque abbia un minimo di cervello. Se non vi interessano le sorti della democrazia liberale e della divisione dei poteri, in tempi di pandemia, dovreste preoccuparvi perlomeno per la salute di ciascuno di noi, e conseguentemente anche per le sorti dell’economia.

Conservare il più a lungo possibile l’attuale, miracoloso e precario equilibrio politico-istituzionale, e varare quanto prima una legge proporzionale che metta fine alle coalizioni pre-elettorali, ecco quali dovrebbero essere le priorità di una classe dirigente, non solo politica, consapevole dei rischi che l’Italia, con tutte le sue fragilità, dovrà fronteggiare nei prossimi anni, o per meglio dire nei prossimi mesi.

 

Sfortunatamente, a giudicare da interviste e retroscena, analisi e commenti, l’intero sistema sembra correre allegramente in direzione opposta.

(da www.linchiesta.it - 22 dicembre 2021)

 

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