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Tre leggi riformiste, ora - La grande battaglia per depenalizzare la politica e fermare la giostra bipopulista

di Francesco Cundari

Il dibattito attorno a Matteo Renzi e alle inchieste che lo riguardano è ormai intossicato da una tale quantità di pregiudizi e idiosincrasie personali, quali si sono stratificati attorno alla magistratura prima e attorno a Renzi poi, da rendere praticamente impossibile qualsiasi discussione razionale. A meno che per discussione razionale non intendiamo il darci reciprocamente ragione con chi condivide in partenza la nostra opinione, e il darci reciprocamente del servo o del criminale con tutti gli altri.

Personalmente ho molti dubbi sulle inchieste e alcune certezze sul modo in cui informazioni che dovrebbero restare riservate vengono sistematicamente utilizzate per colpire l’avversario, sulla stampa e nello scontro politico. E trovo anche particolarmente triste che da alcuni decenni a questa parte a nessuno dei principali dirigenti della sinistra, nemmeno a chi sia stato vittima di questo stesso meccanismo infernale, venga mai in mente di provare a spezzare la spirale. Al contrario, quando viene il turno dell’avversario, o meglio ancora del rivale interno, i perseguitati di ieri sono i primissimi e i più entusiasti nell’allestire la gogna.

Questo modo di fare politica – e giornalismo – è purtroppo un sistema che si autoalimenta: la cattiva politica, come la cattiva informazione, produce infatti il suo pubblico, i suoi sostenitori e i suoi militanti. E li acceca. Matteo Renzi, insieme al Movimento 5 stelle, al Fatto quotidiano e a tanti dei suoi attuali nemici, è stato tra i principali sostenitori dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, della loro destrutturazione e riduzione a cartelli elettorali a disposizione del leader di turno (quante chiacchiere sulla “disintermediazione” ci siamo dovuti sorbire a suo tempo!), della legge Severino e in pratica di tutta quella serie di norme, prassi e parole d’ordine che di fatto hanno finito per mettere fuori legge la politica.

 

Siccome però vale sempre il sistema sopra ricordato, e non conta mai come stiano le cose, ma solo se danneggino o favoriscano il mio avversario, gli stessi che ieri promuovevano l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e poi alimentavano campagne vergognose sui finanziamenti della famiglia Riva a Pier Luigi Bersani, come il Movimento 5 stelle, ora fanno lo stesso contro Renzi, assieme al loro nuovo amicone Bersani e a tutti i bersaniani.

 

Così, con il consenso e l’aiuto di tutti, si è consolidato un sistema in cui non c’è finanziamento pubblico (salvo forme residuali) ma il finanziamento privato è equiparato direttamente alla corruzione. Senza contare ovviamente che questo modo di condurre la lotta politica (e di fare informazione) certo non incoraggia i cittadini a moltiplicare le proprie donazioni ai partiti.

La deriva nazional-populista della politica italiana che va avanti, per estremizzazioni progressive, dagli anni novanta a oggi, è figlia anche di questo circolo vizioso.

Ciò nonostante, per uscire dalla spirale, occorre disperatamente fare appello alla ragione di chi ancora abbia voglia di usarla, per vedere insieme come sia possibile intervenire per invertire la rotta, a beneficio di tutti.

 

Il primo passo non può essere dunque che una grande battaglia per la depenalizzazione della politica: un pacchetto di proposte con cui ridisegnare un sistema in cui sia possibile fare politica e finanziare un partito senza essere immediatamente, ipso facto, accusati di corruzione, finanziamento illecito e traffico d’influenze.

Mi rendo conto che non si tratta di un compito facile, perché di partiti democratici rispondenti alle previsioni dell’articolo 49 della Costituzione (probabilmente il più disatteso dell’intera carta) ormai ne sono rimasti ben pochi, tra partiti personali creati dal nulla e vecchie gloriose formazioni ormai in mano a ristrettissimi gruppi di potere e ad amici degli amici. Ma questa è una ragione di più per tornare a un sistema limpidamente proporzionale, in cui ciascun partito si presenti con il proprio simbolo e prenda voti solo su quello, senza accrocchi e senza inganni, per poi ricevere il finanziamento pubblico in base al raggiungimento di una soglia minima.

 

Si tratta in poche parole di trovare il coraggio per fare una battaglia a viso aperto, in nome dell’esigenza di tornare ad avere una politica, dei politici e dei partiti degni di questo nome, dopo aver visto a cosa ci hanno portati decenni di antipolitica e populismo.

Continuare a lamentare l’assenza di classi dirigenti e l’infimo livello del nostro dibattito pubblico, senza fare nulla per invertire la rotta, significherebbe solo alimentare ulteriormente il discredito della politica e delle istituzioni, cioè far fare un altro giro alla giostra populista. È venuto il momento di scendere.

(da www.linchiesta.it - 9 novembre 2021)

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