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Le mire della Cina

di Angelo Panebianco

Nel 1993 molti pensarono che fosse solo fantapolitica. Sta diventando politica vera nel 2021. Nell'articolo del 1993 apparso sulla rivista Foreign Affairs che anticipa il suo celebre e discusso libro sullo "scontro fra le civiltà", il politologo americano Samuel Huntington ipotizzò una futura alleanza fra l'emergente potenza cinese e le forze più radicali dell'islam, generate dall'attuale "risveglio islamico". Mentre i talebani continuano la loro travolgente avanzata militare e sono a pochi passi dal conquistare Kabul e l'intero Afghanistan, l'ipotesi/profezia di Huntington sta diventando realtà.

Nel luglio di quest'anno i cinesi hanno ricevuto, con tutti gli onori, una delegazione talebana. E' diventato chiaro a tutti che Pechino appoggia la loro rimonta armata in Afghanistan. Ha diverse e solide ragioni geopolitiche per farlo. Se, fidando anche nell'aiuto cinese i talebani vinceranno la partita, allora l'alleanza (in funzione anti-indiana, oltre che per altri scopi) che già esiste fra Pakistan e Cina, si trasformerà in un triangolo Cina-Pakistan-Afghanistan, con la Cina, ovviamente, in posizione egemone.

Nella parte orientale del continente euro-asiatico potrebbe allora entrare in funzione una grande calamita in grado di esercitare una forte attrazione sulle forze dell'estremismo islamico ovunque collocate. E' naturalmente possibile che questa convergenza fra cinesi e talebani mantenga un carattere e una dimensione solo regionali. Ma è anche possibile che sia la prova generale, l'anticipazione, di qualcosa di ben più ampio, secondo l'ipotesi di Huntington.

"Parigi val bene una messa": una simile alleanza imporrebbe alle forze islamiste di abbandonare al suo destino la minoranza musulmana perseguitata dai cinesi, gli uiguri del Xinjang. Verrebbero sacrificati sull'altare di un "bene" più alto, non essendo la realpolitik un'invenzione occidentale ma un elemento costitutivo della politica in ogni tempo e luogo. Il comune interesse cementerebbe l'alleanza. La Cina, offrendo sostegno all'estremismo islamico, potrebbe favorire forze in grado di indebolire le istituzioni di Paesi, musulmani o con forti minoranze musulmane al loro interno (dal Caucaso al Medio Oriente, all'Africa), ove l'influenza cinese è ancora assente, debole o non consolidata. L'estremismo islamico godrebbe del sostegno di una grande potenza.

E' bene che gli occidentali, americani ed europei, a questo punto, si preoccupino. Perché dalla vicenda afghana e dal ruolo che vi ha assunto la Cina potrebbero derivare una minaccia e una sfida permanente per l'Occidente. Un'alleanza cino-islamica logorerebbe (o tenterebbe di farlo) i legami occidentali con i Paesi dell'Asia, del Medio e Vicino Oriente. E minaccerebbe la stessa Europa. L'unica conseguenza positiva potrebbe consistere, nel medio termine, per contraccolpo, in un'alleanza fra Russia, Stati Uniti ed Europa. Ma la Russia dovrebbe riuscire a tenere a bada il suo antico e tenace antioccidentalismo. La parabola politica, e il fallimento finale, dell'unico leader, in tutta la storia della Russia moderna, che abbia tentato, in tempo di pace, un'alleanza simile, Michail Gorbaciov, non sono di buon auspicio.

Noi europei possiamo anche fingere, ancora per un po', che tutto ciò non ci riguardi ma siamo un evidente bersaglio, siamo allo scoperto e con poche difese.
Se i talebani (ma forse è meglio dire "quando") prenderanno Kabul, l'impatto propagandistico di quella vittoria sugli infedeli sarà fortissimo, genererà un'onda d'urto che arriverà ovunque. Il terrorismo tornerà a minacciare anche l'Europa. Si noti inoltre che l'insidia per le società libere europee non dipende solo dal terrorismo in sé ma anche dagli effetti politici che il terrorismo può innescare. Operano in Europa forze fondamentaliste, culturalmente e ideologicamente incompatibili con i principi di una società libera, che però, a differenza dei jihadisti, non ricorrono o non ricorrono più alla violenza. Sarà facile per queste forze, in presenza di minacce terroriste, di proporsi agli europei come alfieri della "moderazione" ottenendo così concessioni e vantaggi incompatibili con le regole politiche e giuridiche su cui si reggono o si sono fin qui rette le società occidentali. Per chi sta allo scoperto le minacce sono molte e non tutte immediatamente riconoscibili.

Ne uscirebbe comunque un'Europa indebolita, culturalmente e politicamente. Questa sarebbe una buona notizia per Pechino e i suoi disegni neo-imperiali, un asset, con grandi ricadute e vantaggi economici e politici, nella competizione per il primato internazionale con gli Stati Uniti.
In ogni caso, la possibile alleanza cino-islamica metterebbe in atto una manovra, di medio termine, "a tenaglia": la potenza economica cinese che si coordina, per soddisfare le reciproche convenienze, con il fanatismo religioso.

Quando l'Europa si sveglierà, se si sveglierà, dovrà dedicare molti vertici al che fare nella nuova situazione internazionale. Nel frattempo, il forse troppo serafico Joe Biden dovrebbe dare a tutti noi la sensazione che si possa ancora contare sugli Stati Uniti. Gli americani completeranno il ritiro delle truppe in Afghanistan entro la fine di questo mese. La loro intelligence stima che i talebani entreranno a Kabul nel giro di tre mesi. Prima, con Trump, i curdi, ora, con Biden, gli afghani: dapprima illusi, usati, e poi abbandonati al loro destino.

Una doppietta micidiale: chi, e in quale parte del mondo, si fiderà ancora delle promesse degli americani?
Non si capisce se il presidente degli Stati Uniti pensi davvero oppure no che sia ancora nella convenienza del suo Paese conservare la leadership del mondo occidentale, con i privilegi ma anche con gli oneri che quella posizione comporta. Può essere, come molti sostengono, che le ultime tre amministrazioni, di Obama, di Trump e di Biden, rappresentino, con stili diversi, e anche molto diversi, un'America, retorica a parte, ormai stanca di quel ruolo che non può, non sa o non vuole più esercitare. Se le cose stanno davvero così noi europei ne pagheremo il prezzo. Ma il conto sarà alla fine salato anche per l'America.

Limitiamoci a dire che il mondo che ci aspetta e ci si prospetta sarà comunque meno amichevole e ospitale per quelle istituzioni, forgiate attraverso i secoli in Europa, da cui dipende la società aperta e che ci hanno assicurato benessere e libertà.
Nella padella Trump ci siamo tutti un po' ustionati. Speriamo di non dover scoprire tra qualche tempo di essere finiti nella brace.

(dal Corriere della Sera - 12 agosto 2021)

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