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M5sMps - A Siena la porta girevole tra finanza e politica rischia di finire in faccia a Letta

di Francesco Cundari

Per molti anni i guai di Mps sono stati un appuntamento fisso delle campagne elettorali del M5s. Un filo conduttore che parte, perlomeno, dal 2013 – a Palazzo Chigi c’era ancora Mario Monti – con Beppe Grillo che il 25 gennaio si presenta all’assemblea dei soci della banca (per le politiche si vota meno di un mese dopo, il 24 febbraio) scagliandosi contro Alessandro Profumo, allora presidente di Monte dei paschi, fino a poco tempo prima amministratore delegato di Unicredit. Accuse che ripeterà anche nei giorni successivi, definendo il manager inadatto a guidare Mps perché sarebbe «uno che ha mangiato pane e Pd tutta la vita».

L’anno successivo, per la precisione il 29 aprile 2014, Grillo è di nuovo lì, davanti alla banca senese, sempre in campagna elettorale, questa volta per le europee (si vota il 25 maggio), e la mette giù anche più dura: «Questa è la mafia del capitalismo, non la Sicilia. Mps è in tutti gli appalti e qui siamo nel cuore della peste rossa e del voto di scambio».

C’è un lungo filo conduttore che lega le campagne del Movimento 5 stelle contro il Pd e gli scandali che colpiscono l’immagine della banca, un tempo fiore all’occhiello della cosiddetta finanza rossa. Un filo che il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, sembra essersi legato intorno al collo senza nemmeno rendersene conto, ora che la banca è di nuovo al centro delle cronache per una possibile acquisizione da parte di Unicredit; ora che a presiedere Unicredit è Pier Carlo Padoan, l’ex ministro dell’Economia che sotto il governo Renzi dispose il salvataggio di Montepaschi e che successivamente proprio nel collegio di Siena è stato eletto in Parlamento (ovviamente sotto le insegne del Pd); ora che a prenderne il posto, in quel collegio, si è candidato Letta, contando sull’appoggio dei cinquestelle.

E adesso, cosa diranno quei populisti che nel frattempo sono diventati i più ricercati alleati del Pd? Difficilmente Grillo ripeterà le parole pronunciate il 24 gennaio 2013, preannunciando la sua incursione all’assemblea dell’indomani, in un acceso comizio serale: «Questa città aveva una banca straordinaria, banca che non c’è più, spolpata, e dovranno renderne conto, in un processo, in una commissione… da un partito politico che si chiama Pd».

In compenso, in un’intervista alla Stampa, Maria Elena Boschi difende – a suo modo, cioè mica tanto – la candidatura di Letta («Penso che Letta vincerà. Del resto è uno dei collegi più sicuri di tutto il Paese»), respinge le critiche a Padoan e rilancia le accuse a suo tempo piovute su Massimo D’Alema a proposito dei guai di Mps («Padoan ha evitato il disastro nel 2017. Chi l’ha distrutta va cercato negli ispiratori degli strani accordi con Banca 121 e il mondo dalemiano in Puglia, fino alla sciagurata operazione Antonveneta»). Peraltro spaziando con una certa disinvoltura tra vicende distanti decenni, e dalla genesi diametralmente opposta, immemore, o forse invece proprio perché memore, di quando al centro di simili attacchi, non meno pretestuosi, c’era proprio lei. Altre banche, altre commistioni, altre commissioni.

A riguardare tutta la vicenda dall’esterno, compreso il modo in cui le diverse fazioni della sinistra attorno a Mps (e non solo) si sono fatte la guerra, ricorrendo a turno, contro i rivali, alle armi del peggiore populismo giustizialista, verrebbe da trarne la più paradossale delle conclusioni. E cioè che ciascuno dei contendenti abbia avuto, in fondo, quel che meritava: perché combattere un sistema di porte girevoli tra finanza e politica dovrebbe essere un punto qualificante del programma di qualsiasi partito di sinistra, ma è difficile che possa combattere efficacemente questo sistema chi è il primo a utilizzarlo e a beneficiarne; e perché, finché i cda di banche, fondazioni e società di consulenza costituiranno il normale dopolavoro dei dirigenti del centrosinistra, sarà molto difficile sostenere che i populisti abbiano tutti i torti, quando li accusano di rappresentare una casta interessata solo al potere.

Senza contare che poi, a forza di fare avanti e indietro, c’è pure il rischio che la porta girevole ti finisca in faccia.

(da www.linchiesta.it - 2 agosto 2021)

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