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Commento introduttivo

Le considerazioni di Sabino Cassese sviluppate nel testo che propongo ai lettori di Fucinaidee mi sembrano particolarmente puntuali.
Ma i suoi suggerimenti per "far bene" potranno trovare ascolto?
Credo sia un interrogativo legittimo, alla luce di un costume ben radicato in Italia ad ogni livello. vale a dire quello di considerare il pubblico impiego come il terreno di appannaggio dei partiti per sistemare loro clientes o, in modo più nobile ma non meno dannoso, quello di considerarlo uno strumento di Welfare.

In questa fase è molto diffusa la retorica sul dopo pandemia, e su come la società italiana ne uscirà rinnovata e migliorata. La pandemia avrebbe insomma creato le condizioni per quello scatto palingenetico che condurrebbe la società italiana verso una stagione di nuove consapevolezze e di nuove capacità di assunzione di responsabilità collettive.

Io non mi associo a questa retorica, non per inclinazioni pessimistiche che non mi appartengono, bensì per la consapevolezza che mancano - almeno al momento - i presupposti per una vera trasformazione della società italiana.
Certo ci sarebbe assolutamente bisogno di un profondo rinnovamento ma, quantomeno al momento, non vedo alcun segnale serio (aldilà delle parole) che autorizzi ottimismi. L'ottimismo non può certo poggiare sul nulla.
Ecco perché sono incline a pensare che la prossima infornata di dipendenti pubblici sarà gestita seguendo i criteri che in Italia si sono delresto sempre seguiti: quelli dell'accomodamento fra le esigenze della politica e quelle dei sindacati.

E se sarà così "a pensar male si andrà anche all'inferno ma di solito ci si indovina", scordiamoci appunto la retorica di un'amministrazione più efficiente e all'altezza con le sfide dei tempi.

Ovviamente mi auguro di sbagliare. Se i fatti mi smentiranno sarà un gran bel risultato per il sistema Italia, ed io sarò ben lieto di dire che ho sbagliata la valutazione.

In ultimo, mi permetto di aggiungere una quarta condizione alle tre proposte da Cassese: quella di indire concorsi ben gestiti, sia nella redazione dei bandi che nell'espletamento delle prove. E quando dico ben gestiti mi riferisco anche a procedure che non si prestino - per quanto possibile - ai consueti contenziosi, con le schizzofreniche pronunce dei TAR, che in molti casi hanno trasformato procedure concorsuali pubbliche più in lotterie che in serie occasioni di selezione dei migliori.

Paolo Razzuoli

Assumere chi merita ed è utile

di Sabino Cassese

Si apre una nuova stagione per lo Stato. Il governo Draghi, anche senza suonare la grancassa, ha annunciato molte nuove assunzioni, fatte con metodo diverso. Da queste dipenderà lo stato di salute del nostro settore pubblico. Se non si faranno con giudizio, ne pagheremo il prezzo.
E' il momento, quindi, di chiedersi che Stato vogliamo, dove deve crescere, dove dimagrire.

Seimila posti nella scuola serviranno a dotarla di insegnanti nelle materie scientifiche; 46 mila posti sono destinati a coprire i vuoti sempre nella scuola, dove si prevedono assunzioni fino a 120 mila insegnanti. Quasi 17 mila posti saranno destinati a rendere celeri i processi. Diverse centinaia di posti sono previsti per la realizzazione del Piano di ripresa e la transizione ecologica. Le cifre non sono state tutte precisate (gli insegnanti precari che si vorrebbe stabilizzare sono secondo alcuni 200 mila, secondo altri 300 mila), e neppure i tempi determinati. Sono però state abbreviate le procedure delle selezioni, dove non si procede per stabilizzazione degli attuali occupati, e sono state rimodulate le progressioni orizzontali (nell'area di appartenenza) e verticali (da un'area all'altra) e le modalità di determinazione del salario accessorio.

Si deve ora passare dalle promesse e dalle norme ai fatti, ed è consigliabile tener presenti alcune avvertenze.
Primo: fare bene i conti. Nel decidere nuove assunzioni, si considerano la diminuzione di quasi il 5 per cento del totale dei dipendenti pubblici negli ultimi dieci anni; il rapporto dipendenti/residenti (5,6 in Italia, 8,4 in Francia); il rapporto dipendenti/occupati (13, 4 in Italia, 19,6 in Francia); le prossime uscite dall'impiego pubblico (stimate in numeri che oscillano tra 300 e 500 mila). Ma la consistenza del personale in servizio viene calcolata, in Italia, senza tener conto di diverse centinaia di migliaia di dipendenti di enti pubblici, di circa 850 mila addetti di società con partecipazione pubblica, molte delle quali operano "in house" (cioè eseguono lavori senza dover fare gara), di diverse decine di migliaia di dipendenti dello "Stato arcipelago". Ecco un compito sul quale Istituto nazionale di statistica, Ragioneria generale dello Stato e Corte dei conti dovrebbero unire le forze: calcolare tutti coloro che sono sul libro paga pubblico. Il primo compito del governo è quello di informare con precisione, fornire rilevazioni statistiche affidabili, che includano gli addetti alla produzione di beni e servizi destinabili e non destinabili alla vendita e tutti coloro che, indipendentemente dalla forma giuridica del datore di lavoro e del rapporto di impiego, sono "on the public payroll".
Secondo: calcolare bene i fabbisogni e individuare con precisione le figure professionali di cui lo Stato ha bisogno. Per troppo tempo si è fatto affidamento sugli organici (spesso gonfiati) oppure sulle richieste sindacali, invece che sui carichi di lavoro, con la conseguenza, ad esempio, di aumentare il numero dei docenti dove diminuivano gli allievi, solo perché lì c'erano insegnanti precari. Il rapporto settore pubblico-mercato del lavoro non è mai stato buono. Il primo, che è il più grande datore di lavoro, è stato sfruttato per rimediare alle tensioni periodiche del secondo. La riprova di questo è data dalle statistiche dell'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche amministrazioni sul disallineamento tra titoli di studio richiesti e titoli di studio posseduti: da un quarto a un terzo dei posti pubblici è occupato da personale con educazione inferiore a quella richiesta. Lo Stato, prima di assumere, deve sapere quali profili professionali cerca, ed eventualmente mandare nelle università i propri gestori del personale, per orientare studenti e laureati. Solo così si assumono persone competenti.
Terzo: scegliere bene. Per far questo, bisogna ricorrere a "open competitive examinations". Cioè a gare aperte a tutti, giudicate in modo imparziale, nelle quali i concorrenti non siano proclamati tutti vincitori. Questo è l'unico modo per dare a tutti eguali "chances" e per evitare che nei ranghi pubblici entrino gli amici degli amici. Se tutti sono scontenti della burocrazia italiana, ciò è dovuto al fatto che da un terzo a metà dei dipendenti non è entrato a seguito di una selezione rigorosa, con grave scorno per coloro che hanno gareggiato con fatica. Anche su questo un libro bianco del governo sarebbe utilissimo, perché non abbiamo indicazioni precise su quanti sono entrati dalla porta di servizio e su quanti sono stati paracadutati al vertice solo per meriti politici (anche il governo Draghi ha mostrato qualche debolezza, aumentando il numero degli incarichi dirigenziali che possono essere affidati con nomina governativa).

Carlo Stagnaro, nei giorni scorsi, ha osservato giudiziosamente che assumere è facile, organizzare il lavoro e renderlo produttivo è difficile e dipende dalle regole e soprattutto dalla qualità dei dirigenti. Viene, ora, dunque, la parte difficile del percorso.
Bisogna - come a tavola - evitare pasti troppo abbondanti. Ricordare che - come alla guida dell'automobile - se si toglie il freno, la macchina non accelera da sola. Che spesso sottrarre è più funzionale che aggiungere. Tra qualche anno, ci troveremo con un indebitamento più alto. E' nostro compito renderlo "buono" assumendo persone capaci di stimolare investimenti, invece di consumare risparmio, con spesa corrente e rallentando gli investimenti.

(dal Corriere della Sera - 26 giugno 2021)

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