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Che errore l'appello contro i liberisti

di Antonio Polito

Il fascismo giapponese inventò il "crimine di pensiero". Grazie a una legge del 1925 potè così punire non solo gli atti, ma pure le idee. Bastava che non fossero in linea con un non meglio precisato "sistema di governo", detto "kokutai".
Ne fecero le spese i movimenti socialisti e comunisti, e anche singoli intellettuali conservatori, moderati, liberali, costituzionalisti e storici rispettati, che furono espulsi dalle cattedre universitarie e i cui innocenti libri vennero messi al bando.

Naturalmente non ci passa neanche per l'anticamera del cervello l'idea di fare paragoni tra le tragedie asiatiche di un secolo fa e l'appello di un nutrito gruppo di economisti italiani che vorrebbero togliere a due loro colleghi l'incarico di consulenti del governo per ciò che professano, accusandoli di essere "portatori di una visione economica estremista, caratterizzata dalla fiducia incondizionata nella capacità dei mercati di risolvere autonomamente qualsiasi problema economico e sociale". In una parola - tappate le orecchie ai bambini - di essere "liberisti".

Paragoni non si possono fare: innanzitutto perché la Storia non si ripete mai, se non sotto forma di farsa. E poi perché i firmatari dell'appello non sono fascisti giapponesi, ma bensì orgogliosi esponenti della sinistra italiana, ed è proprio in quanto tali che vogliono far fuori i due "ultrà liberisti" intrufolatisi nelle strutture pubbliche.

Bisogna però ammettere che da molti anni non vedevamo usato a fini di discriminazione professionale l'argomento dell'orientamento culturale. Il che è tanto più singolare da parte di un'area politica che è in primo piano nella battaglia per eliminare ogni altra forma di discriminazione, di razza, di genere o di religione. Ed è tanto più preoccupante perché avviene in un Paese che ha nel suo passato una lunga e triste storia di "appelli" di intellettuali capaci di innescare o favorire pericolose campagne di odio ideologico. Per fortuna non siamo più al tempo in cui additare al pubblico ludibrio un economista poteva costargli la vita (l'ultima volta è successo a Marco Biagi). Ma ciò non toglie che bisogna tenere la guardia alta contro gli ostracismi basati sull'orientamento scientifico degli studiosi. La mamma dei cretini è infatti sempre incinta.

I firmatari dell'appello potrebbero rispondere che loro non questionano le idee dei due consulenti, (si tratta di Riccardo Puglisi e Carlo Stagnaro); ma che il loro intento è di segnalare che "l'appartenenza a think-tank liberisti" (dove "think" ancora una volta sta per "pensare") rende impossibile per i due occuparsi di quell'"intervento pubblico in economia" che sono soliti criticare; come se fossero preti cui è richiesto di avere fede nella transustanziazione per poter officiare messa. Vedremo dunque presto campagne contro l'assunzione di pacifisti al ministero della Difesa, o di cacciatori a quello dell'Ambiente?

Intendiamoci: le critiche sulla competenza e l' expertise dei prescelti sono sempre legittime, specie quando vengono da così titolati accademici. Ma l'uso dell'appello pubblico ci dice che lo scopo vero è un altro, ed è politico. Altrimenti i due "reprobi" non sarebbero stati meritevoli di tanto clamore, visto il ruolo marginale cui sono stati chiamati: faranno i consulenti per un dipartimento di consulenza di un comitato di coordinamento, e in un ambito esterno alla struttura che gestisce il Recovery.
Del resto la presenza nel pacchetto di mischia di autorevoli esponenti del Pd conferma il carattere politico dell'attacco. Fu il vicesegretario di quel partito, Giuseppe Provenzano, pure lui economista, ad aprire per primo il fuoco contro i due "ultrà liberisti", colpevoli di aver "passato una vita a infangare su Twitter la spesa pubblica". E tra i firmatari dell'appello figura Emanuele Felice, responsabile economia nella segreteria Zingaretti. E' probabile insomma che l'episodio sia un ennesimo sintomo del disturbo di digestione del governo Draghi che affligge una parte cospicua del Pd e delle sue correnti esterne e interne, dal tardodalemismo al bettinismo, apertamente nostalgiche dell'era Conte.

Non è in ogni caso rassicurante. Così come non è rassicurante che nell'appello pubblico gli economisti non facciano i nomi dei bersagli. Sarà perché, come la Chiesa, condannano il peccato e non i peccatori? O forse perché vogliono dar loro un'ultima possibilità di redenzione attraverso una pubblica abiura delle idee precedenti? I "procuratori del pensiero" del fascismo giapponese offrivano questa chance, prima della condanna. Ma, come abbiamo detto, i nostri economisti non sono fascisti giapponesi.

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Lucca, 26 giugno 2021

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