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due errori amplificati dal covid

di Alberto Orioli

In un certo senso il reddito di cittadinanza ha fallito due volte: inutile e velleitaria come misura per il lavoro a partire dalla scelta dei navigator; insufficiente - causa Covid - come strumento di assistenza per i poveri, in forte aumento. Era facile prevedere che quella sorta di welfare ogm, un po’ sussidio, un po’ veicolo per diffondere i curricula, un po’ politica attiva del lavoro e un po’ politica assistenziale, sarebbe fallito. Per l’incapacità di creare banche dati interoperabili tra i soggetti del mercato del lavoro, per la irrealistica pretesa che, per le fasce più drop out, la priorità fosse il lavoro e non l’inserimento sociale e l’uscita da forme di dipendenza. O per la difficoltà a mappare le realistiche possibilità del mercato del lavoro escludendo gli unici soggetti in grado di farlo, le agenzie per l’impiego private.
Senza contare che una delle conseguenze - peraltro prevedibili - rischia di essere stata quella di aver creato una pressione salariale, non gestita in un negoziato sulla produttività e sul ruolo della contrattazione.

La scelta voluta nel 2018 da Luigi Di Maio e Pasquale Tridico di rivedere il reddito di inclusione che il Governo Gentiloni aveva colpevolmente inserito al termine della legislatura con scarsa copertura finanziaria, alla fine ha gettato il classico bambino con la ancor più classica acqua sporca. Quella misura era affidata ai servizi sociali dei Comuni ed era meglio disegnata sulle situazioni di povertà delle famiglie, senza soglie troppo rigide rispetto alle diverse situazioni di reddito del territorio italiano che hanno finito con l’escludere i poveri del Nord (cresciuti enormemente) e favorito i single.

Quell’esperimento rischia di costare nel complesso 27 miliardi, compresi i correttivi per far fronte alle fasce di nuova povertà creata dalla pandemia. Non è da escludere che le sorti delle politiche attive e quella dell’assistenza agli ultimi torneranno a separarsi, con buona pace della pattuglia dei 9mila navigator che, da precari eccellenti, dovranno ricollocarsi nei ranghi pubblici.

È chiaro che il reddito di cittadinanza ha finito per essere soltanto una forma di sussidio salvavita, il cui importo medio è stato di 582 euro mensili per 3,2 milioni di persone, ma gli individui finiti in stato di povertà assoluta nell’ultima rilevazione Istat (aprile 2021) sono 5,6 milioni. Con un dato inatteso: il 47% delle famiglie in stato di indigenza ormai risiede al Nord, mentre al Sud sono il 38,6 per cento. Situazione geografica che non rispecchia però le erogazioni del reddito di cittadinanza che sono per oltre 900mila unità al Sud, con la sola Napoli che eguaglia i trattamenti di tutta la Lombardia, e solo per 330mila al Nord.

È chiaro che il disegno di questo strumento non rispecchia la situazione del disagio sociale creato dalla pandemia. Motivo in più per affrontare senza indugio il tema della riforma delle politiche attive del lavoro per dare fluidità al mercato del lavoro nel quale è ormai ineludibile trattare anche il tema della questione salariale. Naturalmente legato a doppio filo a quello della produttività.

(dal Sole 24 Ore - 22 giugno 2021)

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