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La responsabilità (grave) dei media nel caos vaccini

 

di Guido Forni, immunologo, socio linceo)

 

Nei numerosi articoli apparsi recentemente sui giornali e nei dibattiti televisivi viene messo in rilievo lo sconcerto che tutti proviamo di fronte alla

tragedia di Camilla Canepa, la giovane e sorridente ragazza morta in seguito alla vaccinazione con il vaccino AstraZeneca. L’amarezza di questo sconcerto

viene esasperata dal disorientamento suscitato dai contrastanti e apparentemente incomprensibili provvedimenti che in Italia e in Europa si stanno succedendo

a proposito di questo vaccino. Tale è l’enfasi che è impossibile non esserne turbati.

 

Che la comunicazione ufficiale manchi di chiarezza è innegabile, ma certamente i motivi alla base del succedersi di indicazioni contrastanti, in particolare

a proposito del vaccino AstraZeneca, non può e sopra tutto non dovrebbe essere incomprensibile ai giornalisti che, con onestà, si occupino di questo argomento.

L’enfatizzazione dell’incomprensibilità e l’entusiastico cavalcare il disorientamento diventano invece una colpevole componente delle nostre inquietudini.

Colpevole, nel senso che stampa e televisione privilegiano la polemica e sostengono l’indignazione verso indicazioni che, spesso con brillante superficialità,

vengono presentate come fossero una sequela di provvedimenti, italiani ed europei, assurdamente contradditori. Queste apparenti incongruenze vengono presentate

seguendo la prassi polemica utilizzata nei commenti politici, mentre probabilmente un giornalismo più attento ai motivi susciterebbe minori emozioni e

contribuirebbe a offrire alcune spiegazioni, spiegazioni che spesso sono semplici.

 

Il rapido mutare della pandemia, contrassegnato da drammatiche recrudescenze, da remissioni pregne di eccessiva speranza e dall’insorgenza di nuovi focolai

dovuti all’affermarsi di varianti del virus, costituisce la base della nostra inquietudine. D’altra parte, la pandemia è sempre meno una malattia su cui

sappiamo ancora poco mentrediventata piuttosto una malattia rispetto alla quale continuamente sappiamo qualcosa di più di prima. L’enorme quantità di ricerche

portate avanti con alacrità in quasi tutti i paesi del mondo produce, quasi ogni giorno, una grande quantità di nuovi dati che prospettano contesti sempre

diversi. La combinazione tra il mutare della pandemia e l’ampliarsi delle conoscenze crea una serie di scenari mutevoli che succedendosi con cadenza accelerata

risultano difficili da comprendere e da accettare. Se quest’instabile successione non viene interpretata e spiegata, ma al contrario solo commentata polemicamente,

l’inquietudine e lo sconcerto non possono che insinuarsi sempre più profondamente. 

 

Perché, quindi, di fronte a questo disorientante, rapido mutare dei panorami pandemici e delle nostre conoscenze, non sono proprio i giornalisti a spiegare,

analizzare e raccontarne i motivi con la chiarezza che a loro è propria? Probabilmente sarebbe un ottimo giornalismo, meno polemico ma più legato alla

spiegazione dei dati, un giornalismo che aiuterebbe a capire meglio e che potrebbe contribuire a dissipare un po’ l’angoscia che tutti proviamo.

 

Per esempio, a proposito del super-controverso vaccino AstraZeneca, si potrebbe spiegare che questo vaccino è stato messo a punto in seguito ad una sperimentazione

pre-clinica molto accurata. Anche i primi studi sugli individui umani erano stati molto convincenti: già la prima dose di questo vaccino induce un’efficace

risposta immunitaria anche nelle persone anziane. Questi dati, derivati dagli studi iniziali di Fase 1 e Fase 2 uniti all’impegno di AstraZeneca a non

trarre profitto dal vaccino per il perdurare della pandemia (una sua dose viene venduta al prezzo di un biglietto di tram) e alla sua comprovata stabilità

alle temperature dei normali frigoriferi avevano suscitato subito un grande interesse ed una certa simpatia verso questo vaccino.

 

Come messo in evidenza molto bene nei suoi interventi da Antonella Viola, i primi gravi problemi sono comparsi con gli studi di Fase 3, quelli destinanti

a stabilirne l’efficacia e la pericolosità. Questi studi sono stati effettivamente pasticciati, generando dati confusi e controversi sulla sua reale efficacia

protettiva, in particolare in confronto a quella dei vaccini Pfizer e Moderna. Inoltre, in questi primi studi di Fase 3 non era stato incluso un numero

di persone con più di 65 anni, sufficiente per permettere una valutazione statistica dell’efficacia del vaccino nelle persone anziane. Probabilmente, in

piena pandemia appariva essenziale fare in fretta a ottenere i dati sull’efficacia, mentre l’introduzione di un numero elevato di volontari con più di

65 anni avrebbe implicato problemi addizionali, perché, per ragioni connesse all’età, queste persone vanno più comunemente incontro a varie malattie ed

alla morte, eventi che avrebbero interferito con una rapida valutazione dell’efficacia e della pericolosità del vaccino. Di conseguenza, quando, sempre

in piena pandemia, il vaccino fu approvato, su una giusta base prudenziale, la sua somministrazione non fu consigliata alle persone con più di 65 anni,

semplicemente perché non c’erano ancora dati sufficienti a giustificarla. Successivamente, sempre mentre la pandemia divampava, i dati sulla sua efficacia

sulle persone anziane sono arrivati e hanno dimostrato che protegge bene anche questa fascia della popolazione. Capisco che questo cambiamento, se non

spiegato, possa aver creato sconcerto - uno sconcerto spesso polemicamente enfatizzato dai media - ma questo cambiamento ha una spiegazione logica e banale:

prima non si sapeva se il vaccino funzionasse o meno sugli anziani, mentre adesso lo si sa.

 

Il diffondersi della somministrazione di questo vaccino è stato anche associato all’idea che fosse un vaccino più scadente rispetto ai vaccini Pfizer e

Moderna, un concetto molto discutibile, in quanto si tratta di vaccini che funzionano in modo differente, attivando meccanismi protettivi in parte diversi,

in tempi e modi diversi, mentre uno studio comparativo diretto non è ancora stato eseguito. D’altro canto, è stata proprio l’estensiva utilizzazione del

vaccino AstraZeneca, anche in singola dose, quando in Inghilterra la pandemia imperversava drammaticamente, a contribuire in modo molto importante al controllo

della pandemia in quel paese, dimostrando che questo vaccino è comunque di una grande efficacia. È anche probabile che la grande diffusione in numerosi

paesi extra europei di questo vaccino prodotto sia dall’AstraZeneca sia, su licenza, dal Serum Institute of India stia giocando un ruolo molto importante

nel contenimento della pandemia a livello mondiale.

 

Solo in seguito alla sua sempre più ampia distribuzione in Europa, è stato individuato il rischio, reale ma comunque estremamente basso, di gravi trombosi

atipiche dopo la sua somministrazione. Essendo i casi di questa complicanza rari o molto rari, non è stato semplice stabilirne rapidamente la reale frequenza

e coglierne l’importanza: infatti, quando un evento avverso si verifica ogni 50.000 - 200.000 persone vaccinate, sono necessari studi epidemiologici complessi

per determinarne la reale importanza e per capire quali siano le fasce d’età più a rischio. Progressivamente, questo rischio è diventato sempre meglio

definito e così progressivamente sono state prese misure basate sulla massima cautela, in modo da restringerne la somministrazione alle fasce della popolazione

in cui la probabilità di una trombosi atipica fosse molto bassa. 

 

Ma, a questo punto, come valutare il vaccino AstraZeneca? È un vaccino efficace e sicuro o è il risultato di un approccio tecnologico troppo pericoloso

e da evitare? Come considerare l’affermazione di Emer Cook, direttrice generale dell’EMA, l’agenzia europea dei farmaci, secondo cui ogni Stato deve decidere

autonomamente come regolarsi in proposito? 

 

La valutazione di un vaccino non ha mai un punto fermo, quel punto fermo che calmerebbe molte delle nostre inquietudini, perché è una valutazione del tutto

relativa al contesto in cui viene fatta, cioè relativa al mutevole variare della malattia che il vaccino previene e al progressivo ampliarsi delle nostre

conoscenze. Cambia continuamente, cambia in rapporto al mutare del bilancio rischio/benefico proprio di quel vaccino. In un Paese dove la COVID-19 uccide

cinquecento o oltre mille persone al giorno, un vaccino che impedisca a quasi tutte le persone vaccinate di andare incontro ad una COVID-19 grave o alla

morte, viene giudicato estremamente efficace, anche se gli eventi avversi gravi ad esso associati colpiscono una persona ogni 50.000 - 100.000 persone

vaccinate. Il rapporto tra il rischio connesso con la vaccinazione e l’efficienza protettiva del vaccino ne giustifica in pieno l’utilizzazione, in specie

se non sono disponibili vaccini alternativi più sicuri. Giustamente, lo stesso vaccino e la stessa incidenza di eventi avversi sono giudicati come inaccettabile

in una nazione, magari vicina, dove invece non ci sono morti di COVID-19 o questi si contano sulle dita di una mano.

 

Nella storia della vaccinologia la valutazione della accettabilità di un vaccino in base al rapporto rischio/benefico è una costante. Molti di noi sono

stati vaccinati contro la Polio con un vaccino somministrato su una zolletta di zucchero, il vaccino Sabin: un vaccino formidabile che ha debellato la

Polio, ma la cui pericolosità oggi, in Italia, risulta inaccettabile dove, di fronte al diminuire del rischio di ammalarsi di Polio, il vaccino di Sabin

è stato abbandonato a favore di un altro, meno efficace ma per nulla pericoloso. Rispetto al vaccino AstraZeneca è il diverso, spesso profondamente diverso,

bilancio di morte causato dalla pandemia che fa sì che, non solo ogni Paese europeo si debba regolare come è più opportuno, ma anche che lo stesso Paese

debba cambiare nel tempo le proprie regole, rendendo assurdo un criterio fisso o generale.

 

Ciò che intendevo mettere in evidenza con questa breve cronaca è che il succedersi dei vari provvedimenti e valutazioni, per contradditori che possano apparire,

non è dovuto a ragioni inspiegabili, ma a valutazioni susseguenti che cercano di essere logiche e il cui unico fine è limitare i rischi della popolazione.

Pur avendo una solida base razionale, questi cambiamenti sono stati comunemente percepiti come inspiegabili e illogici anche proprio in seguito una certa,

certamente colpevole, superficialità dei media, molto più contenti di enfatizzare le scandalose capriole degli scienziati e della scienza che di sentire

il dovere di spiegarne i perché, in quanto giornalisticamente di minor effetto.

 

In conclusione, di fronte al rapido mutare degli scenari che si succedono con un ritmo che disorienta e che rende impegnativo capire e spiegare le ragioni

delle varie decisioni delle istituzioni e dei comitati tecnici, il ruolo interpretativo dei media, che con la paziente chiarezza è loro propria si impegnassero

a illustrare “i perché” ed i “come mai”, potrebbe essere importante. Polemiche brillanti e beffarde non aiutano, come non aiuta enfatizzare le domande

e le incongruenze di cui giornalisti decentemente impegnati sarebbero perfettamente in grado di fornire spiegazioni chiare. 

 

Certamente anche le istituzioni e i comitati tecnici avrebbero dovuto e dovranno sempre più seguire l’evoluzione degli scenari della pandemia e del bilancio

rischio/benefico dei vaccini con maggiore rapidità. La rapidità con cui le autorità ed i comitati metteranno in atto regole appropriate al mutare delle

cose, per contraddittorie che queste regole possano sembrare, sarà sempre più cruciale perché saranno proprio questa rapidità e questa flessibilità che

potranno, e avrebbero potuto, evitare drammatiche tragedie come quella di Camilla.

 

(da www.huffingtonpost.it – 21 giugno 2021)

 

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