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I licenziamenti invisibili. Sinistra e diseguaglianze

di Marco Bentivogli

Un tempo, il combinato disposto, blocco dei licenziamenti e cassa Covid gratuita (le imprese non hanno da luglio neanche requisiti selettivi per richiederla) avrebbe rappresentato una grande muraglia a qualsiasi possibilità di risoluzione del rapporto di lavoro.
I dati del 2020 dimostrano che questa muraglia ha somigliato più ad una linea Maginot, fragile alla prima insidia, e cinicamente selettiva.
Un milione di nuovi disoccupati, donne e giovani, contratti a termine, in somministrazione, lavoro autonomo al tappeto, partite iva mono committenza, rase al suolo senza tutele.

Non possiamo fare finta che queste cose non siano accadute.
Il blocco dei licenziamenti e la cassa Covid servono a prendere tempo.
Ma se il tempo lo si utilizza in modo proattivo.

In questi mesi siamo passati da “la riforma dell'Anpal non è all'ordine del giorno” poi dopo le proteste si commissaria l'Anpal, sul lato degli investimenti, ogni legge di bilancio è una battaglia per riesumare gli investimenti di impresa 4.0, ora transizione 4.0. Il messaggio è chiaro: il lavoro non è una questione centrale ma uno dei tanti campi, qualsiasi, su cui piantare bandierine identitarie, inutili e dannose per il futuro del lavoro.
In tutti i negoziati ci sta l'arrocco, ma guai a trascurare la contabilità delle perdite. E se perdono tutto le ragazze e i ragazzi d'Italia, non si può tacere.

I saldi finali di persone che hanno perso il lavoro negli altri Paesi europei sono simili e talvolta più bassi nonostante siano sprovvisti del blocco dei licenziamenti.
Non paghiamo un tributo maggiore alla disoccupazione per lo sfavore delle tenebre, lo paghiamo perché le politiche del lavoro sono fallite e anche chi come me ha salutato positivamente all'inizio la misura del blocco per guadagnare tempo, non può non considerare che questo tempo prezioso è stato sciupato dall'inerzia della politica.

La sinistra, non solo in Italia, ha perso la sua funzione storica di soggetto politico che si batte contro le disuguaglianze perché capace di proposta politica per superarle, in Italia ha ripiegato sulla retorica e l'evocazione di queste battaglie. Un turismo etico della sensibilità sociale che la tiene alla larga dalla carne viva dei problemi e che paradossalmente aiuta i garantiti ad esserlo sempre di più perché organizzati in corporazioni urlanti, con il monitor degli esclusi spento.
I senza voce, i poveri crescono, e sono sempre più i giovani poco istruiti, queste sono le diseguaglianze che crescono.

Alla Caritas quest'anno si sono rivolte più di 2 milioni di persone, 1 su 4 non aveva mai chiesto aiuto. L'iper-ideologizzazione porta la discussione sul lavoro ad uno slalom su totem identitari. Come è accaduto con l'abolizione dei voucher, l'approvazione del decreto Dignità. Centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze a casa e senza lavoro e tutele in poche ore per una politica che vive di simboli e principi che tradisce mentre li evoca.
Dimenticarsi o spesso regalare alla disoccupazione o a lavoro nero milioni di giovani non è una cosa “di sinistra”, è una cosa sbagliata.

Le politiche attive in Italia non esistono, i Centri per l'impiego non han mai collocato più del 3% di chi vi si è rivolto. Il Pnrr li riempie di risorse senza nessun progetto. Un governo deve occuparsi seriamente di lavoro, aprire il confronto con i rappresentanti del lavoro organizzato e degli imprenditori ma non appaltare mai a nessuno (neanche ai mandarini ministeriali) la propria capacità di sintesi nell'interesse generale. E le scelte che si fanno vanno rese esplicite, senza sorprese. L'iniziativa doveva esprimere forza proporzionale alla fragilità contrattuale delle persone. E invece, un milione di persone sono state lasciate a casa e nel discorso pubblico sono invisibili, come giustamente rendiconta Francesco Seghezzi.

Certo, non è con la libertà di licenziare che si diminuiscono le disuguaglianze ed è ridicolo quanto dice Confindustria che per assumere bisogna licenziare ma è altrettanto ridicolo fingere di non capire che questa muraglia è piena di falle. La sinistra deve tutelare prima di tutto i più fragili e invece li ha li sacrifica sempre sull'altare dei suoi totem ideologici. Non esiste alcun piano per “ristorare” le competenze di chi li ha perse, di chi le deve acquisire. E' molto più bella la contrapposizione simbolica senza vera iniziativa politica.

Donat Cattin ha fatto, non oggi, negli anni'70, con la durezza di allora, il ministro del Lavoro con enorme coraggio, affrontava le incomprensioni col sindacato e quelle con il “padronato” di allora senza vittimismi. Individuava la strada giusta di mediazione per far andare avanti il Paese senza subire ricatti. Le persone che han fatto quasi sempre cassa integrazione da febbraio 2020, sanno bene che in fondo al tunnel resteranno senza lavoro.

Con Lucia Valente e Pietro Ichino abbiamo costruito una proposta concreta su come, in questi casi, togliere queste persone da un agonia ad esito scontato, utilizzare ammortizzatori sociali ma trasformare questi mesi per costruire percorsi formativi forti per riportare al più presto le persone al lavoro.

(da La Repubblica - 28 maggio 2021)

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