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La sindrome del governo amico - Letta pensa di mettersi in competizione con Draghi, ma sbaglia di grosso

di Mario Lavia

La cosa più strana è che prima di avanzare una proposta Enrico Letta non ascolti Mario Draghi: per capire, che so, se è fattibile, se è condivisibile. Invece no, Letta butta avanti la palla alla ricerca del colpaccio in grado di dare risalto all’autonomia del suo partito e anche di sé medesimo.

Nella sua ricerca di spazio, il segretario del Partito democratico appare, non diciamo ossessionato, ma almeno molto convinto di dover recuperare sul terreno sociale e culturale il rapporto con le grandi masse giovanili, in effetti un deserto politico che coinvolge un paio di generazioni, ed è anche per questa ragione che ha tirato fuori la proposta di una “dote” per i giovani da finanziare con l’aumento della tassa di successione per i patrimoni che superano il milione di euro. Ma mal gliene incolse.

Perché Mario Draghi, senza entrare troppo nel merito («Non ne abbiamo mai discusso»), ha seccamente bocciato l’allievo. L’idea, più o meno, è che sia sbagliato mettere le mani nelle tasche degli italiani – avrebbe detto il Cavaliere dei bei tempi – ma un po’ più seriamente il concetto è stato da Draghi declinato così: «Non è il momento di prendere i soldi ai cittadini ma di darli. Non è tempo di politiche restrittive».

Uno sdeng, come si dice su Twitter. Un uppercut politico – il primo fra il premier e il segretario dem – di quelli che lasciano il segno sulla mascella, tale da indurre il segretario, se è saggio, a mollare la presa, a calibrare meglio le sue uscite. Ad evitare brutte figure. E nuove polemiche anche dentro il suo partito (Andrea Marcucci si è detto subito d’accordo con Draghi).

Il segno politico della proposta di Letta, fuori da ogni ideologismo, sta nella saldatura di due elementi che con il draghismo c’entrano ben poco: da una parte la tradizionale propensione della sinistra a toccare i “ricchi” («piangano», diceva Fausto Bertinotti) e qui c’è la mano del vicesegretario Peppe Provenzano; dall’altra l’idea propria di Mario Monti di tassare tassare tassare anziché puntare a crescere, e qui c’è la mano della vicesegretaria Irene Tinagli.

Se l’accusa di privilegiare una politica di sussidi, terreno classico degli alleati di Letta, cioè quel che resta dei grillini, è forse un po’ ingenerosa, certo è che Mario Draghi ha in testa tutt’altro schema.

Il decreto da 40 miliardi varato ieri dal Consiglio dei ministri contiene diverse cose per i giovani. Altro che “dote”. Perché Draghi vuole un Paese per giovani. Quindi politiche per la casa, concorsi pubblici, misure di sostegno e agevolazioni per le assunzioni. Persino un (piccolo) finanziamento per la ricerca di base per rimettere in piedi un settore allo scopo di frenare le fughe dei cervelli.

Ma il problema politico che sembra delinearsi è quello di una competizione del Partito democratico con il premier dettata, come si diceva, dalla necessità del Nazareno di non apparire sdraiato sul governo: in questo c’è una residuale ma persistente tendenza a considerare quello di Draghi semplicemente un “governo amico”, e soprattutto l’idea – in sé pericolosa – di considerare l’esecutivo come un terreno neutro di lotta politica fa la sinistra e la destra leghista, un ring entro il quale chi mena per primo mena due volte, come si dice.

Ma così si finisce presto per logorare una tela che è sì robusta ma non indistruttibile. È certo un equilibrio difficile quello che Letta deve rispettare: dare un contributo autonomo senza creare problemi. Come ha scritto Marco Follini, oggi forse l’analista politico più acuto, sullo sfondo della situazione politica c’è un latente conflitto fra la prospettiva di Draghi e i disegni dei partiti, «finora tenuto a bada. Ma si tratta più che altro di una sospensione, di una tregua, non di una pace».

Ecco, dallo sdeng di ieri di Draghi a Letta si ricava l’impressione che il leader del Partito democratico abbia qualche difficoltà a camminare su questo filo sottile: ieri è caduto lui ma nulla esclude che domani le conseguenze potrebbero essere peggiori.

(da www.linchiesta.it - 21 maggio 2021)

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