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Commento introduttivo

Mi pare che l'incipit dell'articolo di Fabio tamburini che propongo ai lettori di Fucinaidee racchiuda per intero il senso del ragionamento. Tamburini dice:
"I ristori con il governo Conte bis e i sostegni con il governo attuale sono il prezzo pagato all’emergenza della pandemia. Certo, soprattutto in passato, potevano essere fatte scelte migliori. Per esempio, evitando i finanziamenti a pioggia e intervenendo con efficacia maggiore a sostegno di chi ha pagato, e sta pagando, il prezzo più alto alla crisi e alle chiusure, dalle categorie coinvolte nel turismo ai trasporti, fino agli operatori della cultura e a gran parte delle partite Iva. Ma la situazione era di assoluta emergenza e, comunque, così è andata. Adesso però è arrivato il momento di voltare pagina. E va fatto con determinazione assoluta."

Voltare pagina. E' un tema centrale per poter immaginare orizzonti di futuro per il nostro Paese: un tema su cui peraltro insisto da tempo e che è al centro della mia posizione decisamente negativa verso il Governo Conte (nello specifico mi riferisco al Conte in versione giallo-rossa, anche se, per ragioni diverse, esprimo valutazioni ancor più negative sul Conte versione giallo-verde).

Credo infatti che i limiti più gravi del Conte bis non vadano tanto individuati nella gestione dell'emergenza: situazione di estrema difficoltà, che ha colto un Paese deltutto impreparato e non certo per colpa di Conte, bensì nell'incapacità più evidente del governo e delle forze che lo sostenevano di saper immaginare un'idea di uscita dall'emergenza, tramite un disegno serio di riforma del sistema Paese.

E' insomma quel "voltare pagina" che sottolinea Tamburini, aggiungendo che va fatto con assoluta urgenza.
Non è certo facile, in un Paese in cui la politica non ha saputo per decenni fare di meglio che accontentare coloro che hanno più di altri alzata la voce.
Ma è anzitutto qui che è inevitabile voltare pagina: occorre immaginare un disegno riformatore complessivo, costruito mediante un riequilibrio degli interessi in gioco. Un disegno quindi da costruirsi mediante una visione, e non banalmente ascoltando coloro che urlano di più o che si ritiene garantiscano veri o presunti consensi elettorali.

Ed in questo disegno vanno sciolti alcuni nodi fondamentali, primo fra tutti quello del senso che da noi ha il "fare impresa".
Non si insisterà mai abbastanza su questo tasto. In Italia, in molti settori della società e della politica, ivi comprese forze della vecchia maggioranza, si annida una mentalità anti-industriale che è ovviamente di ostacolo ad un disegno finalizzato a ridare il "gusto" di fare impresa. Quasi nessuno lo dichiara apertamente, ma in molti si avverte una sorta di identificazione del profitto con il furto. Una idea che si salda con l'altra grave stortura del nostro sistema, ovvero il rifiuto di qualsiasi serio criterio meritocratico.

Ebbene, voltare pagina significa affrontare di petto questi temi: finalizzare gli investimenti verso asset strutturali quindi capaci di generare sviluppo, rilanciare la competitività del Paese mediante il rilancio delle imprese, individuare gli asset da sostenere inquanto fondamentali per il sistema, intervenire seriamente sulla burocrazia e sul sistema formativo, ponendo al centro della riforma seri criteri meritocratici, finalmente idonei a premiare i migliori e non a favorire carriere basate su credenziali politiche o familistiche.
A ciò ovviamente va aggiunta la inderogabile necessità di intervenire sull'assetto istituzionale del Paese (se non si è imparato qualcosa dal balletto Stato-Regioni di questi mesi non può esserci speranza), e l'altra necessità di riequilibrare le competenze fra poteri dello Stato e - più in generale - fra i corpi sociali.

So benissimo che è un'impresa ciclopica. Ma so altrettanto benissimo che è l'unica strada per farci sperare in un orizzonte di crescita.

Certo saranno fondamentali le risorse del Recovery fund. Ma saranno importanti se riusciremo ad investirli bene e se sapremo creare le condizioni affinché possano generare vero sviluppo.
Ci riusciremo? Non so. La storia ci ammonisce che non sempre le cose giuste accadono.

Alcune premesse forse ci sono. Mario Draghi ha certo tutte le carte in regola per guidare il Paese su questo difficile percorso. Ma potrà farlo solo se sarà aiutato da un Paese che, nel suo assieme, saprà prendere finalmente coscienza dell'abisso in cui potrebbe cadere qualora non dovesse svegliarsi in tempo.
Il futuro è quindi un po' nelle mani di tutti noi: prendiamone consapevolezza, anzitutto cessando di pensare che i problemi riguardino sempre gli altri.

Paolo Razzuoli

dopo i sussidi ora è il tempo della crescita

di Fabio Tamburini

I ristori con il governo Conte bis e i sostegni con il governo attuale sono il prezzo pagato all’emergenza della pandemia. Certo, soprattutto in passato, potevano essere fatte scelte migliori. Per esempio, evitando i finanziamenti a pioggia e intervenendo con efficacia maggiore a sostegno di chi ha pagato, e sta pagando, il prezzo più alto alla crisi e alle chiusure, dalle categorie coinvolte nel turismo ai trasporti, fino agli operatori della cultura e a gran parte delle partite Iva. Ma la situazione era di assoluta emergenza e, comunque, così è andata. Adesso però è arrivato il momento di voltare pagina. E va fatto con determinazione assoluta.

La situazione, infatti, è da allarme rosso. Pochi numeri lo dimostrano. Il deficit 2021è arrivato all’11,8 per cento del prodotto interno lordo, quando prima della pandemia il 3 per cento era considerato insostenibile. Oggi ha raggiunto il picco storico del primo dopoguerra, nel 1920. E il debito pubblico sta sfiorando il 160 per cento del Prodotto interno lordo, che significa il record di 2.643 miliardi di euro. In più vanno considerati altri provvedimenti di soccorso all’economia, perché l’emergenza sanitaria non è finita, e il debito aggiuntivo per gli interventi già decisi calcolato al 2026 in quasi 500 miliardi. Senza contare l’incognita dei crediti bancari in moratoria: oltre 170 miliardi, che rappresentano una vera incognita. Se metà dovessero risultare inesigibili, significa 85 miliardi di crediti deteriorati, non pochi considerando che oggi la somma dei crediti deteriorati dell'intero sistema bancario italiano è stimata intorno a 105 miliardi.

È una situazione che fa tremare i polsi e che rappresenta una delle ragioni fondamentali della caduta del governo Conte, del tutto inadeguato a fronteggiare una situazione di tale difficoltà. Ci sta provando il nuovo presidente del consiglio, che certo ha la competenza per riuscirci. Ma è necessario che tutti acquisiscano piena consapevolezza che il Paese di Bengodi, dove magari i debiti non si restituiscono, non esiste. Né si può pensare che, nel regno dell’evasione fiscale, purtroppo tuttora devastante, il conto venga presentato sempre ai soliti, cioè a quel numero ristretto di italiani che pagano le tasse fino all’ultimo centesimo. Tasse che, naturalmente per chi le paga, sono troppo elevate, direi iugulatorie.

L’unica via per uscirne è premere l’acceleratore dello sviluppo economico, investendo ogni risorsa disponibile. L’obiettivo è aumentare la massa d’urto dei fondi che, speriamo, saranno disponibili se presenteremo all’Europa un piano di Recovery fund convincente. Le condizioni per farcela ci sono. La settimana scorsa è uscito un primo bilancio di settore dei produttori delle macchine utensili nel primo trimestre dell’anno: + 48,6 per cento di ordini rispetto allo stesso periodo del 2020. L’intera industria manifatturiera italiana, e l’intero Paese, si presenta come una molla compressa dalla lunga pandemia, pronta a distendersi con effetti positivi e a cascata.

È però necessario che venga messo al centro di ogni provvedimento d’incentivo il fare impresa, la creazione di valore. Occorre una visione d’insieme, la capacità di sbloccare l’andamento dei settori portanti dell’economia e il coraggio di riforme che non sono più rinviabili. Alcuni segnali positivi vanno registrati: avere capito la necessità di puntare su una industria italiana dei vaccini, il piano in definizione per rilanciare l’industria dell’acciaio, la consapevolezza che l’industria automobilistica rappresenta una colonna portante del Paese e va salvaguardata. È arrivato il momento di gettare il cuore oltre gli ostacoli e di rompere ogni indugio, anche lanciando l’attacco a fortezze che si potrebbe pensare inespugnabili come la burocrazia opprimente, l’inefficienza della pubblica amministrazione, la giustizia troppo lenta.

Consiglio ai naviganti del governo di casa nostra: cambiare passo anche nei rapporti con le organizzazioni sociali che significa, in premessa, raccoglierne le istanze evitando di metterle di fronte al fatto compiuto.
Consiglio ai naviganti della vecchia Europa: reggere il confronto con Cina e Stati Uniti è possibile solo puntando risorse adeguate sullo sviluppo. In caso contrario l’Unione europea continuerà ad arrancare.

(dal Sole 24 Ore - 20 aprile 2021)

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