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Effetto Draghi - La politica italiana va verso un tripolarismo con socialisti, popolari e liberali

di Mario Lavia

Si sta marciando verso un sistema tripolare? È questo che si sta costruendo dietro il palcoscenico della politica? Può darsi che l’esito dell’ennesimo capitolo della storia italiana sarà una tendenziale tripartizione che all’incirca ricalcherà lo schema delle grandi famiglie europee: socialista, popolare, liberale.

I presupposti della nascita dell’esecutivo Draghi sembrerebbero confermare questa ipotesi: una riprova, l’autoesclusione dalla maggioranza di Fratelli d’Italia che potenzialmente sospinge Giorgia Meloni all’estremità di destra del quadro politico, lasciando in campo – con tutto il rispetto per l’opposizione della destra e dell’estrema sinistra di Fratoianni – socialisti, liberali e popolari (con l’eccezione della Lega, forse provvisoria).

L’assestamento del Partito democratico su posizioni teoriche e politiche tipiche del socialismo europeo più connotato – quello, per intenderci che va dal corbynismo alle teorie economiche di Piketty alla sinistra americana – autorizza l’idea di una graduale revisione dei canoni originari del Partito democratico veltroniano (con quali conseguenze interne per ora non si sa), in vista di un assorbimento di Liberi e uguali e in asse con il radicalismo populista del Movimento cinque stelle: la coalizione che si sta mettendo in piedi per vincere le prossime amministrative e in prospettiva le elezioni politiche. Un fronte con un partito grillino politicamente in caduta libera, e perciò subalterno: ma per Nicola Zingaretti con quale vantaggio elettorale?

Dall’altra parte la “conversione” europeista della Lega, tutta da verificare alla prova dei fatti, spingerebbe il partito di Matteo Salvini fuori dagli argini del sovranismo estremo e di ultra-destra di Marine Le Pen e dei vari personaggi, piuttosto slabbrati, di quest’area che pare aver esaurito la sua spinta propulsiva.

Salvini ha fiutato l’aria e adesso abbandona la stalla dell’ultra-destra, guardando ormai al contenitore dei conservatori europei, il Partito popolare europeo, chiedendo l’intercessione a Silvio Berlusconi per potervi accedere. Inutile dire che l’azione e l’immagine di un Giancarlo Giorgetti, ministro di primissima fascia del gabinetto Draghi, ne trarrebbero gran giovamento: i successori di Angela Merkel si troverebbero molto a loro agio a parlare con il ministro dello Sviluppo economico appartenenti alla stessa famiglia politica. Per lo stesso premier sarebbe una buona cosa.

E poi c’è la novità del giorno, la suggestione della prossima mossa di Matteo Renzi: partire da Italia viva per lavorare alla costruzione di una «casa del buonsenso, dei riformisti» che in Europa guardi – ha scritto nella sua e-news – ad «un mondo liberal-democratico che in Francia ha Emmanuel Macron, in Danimarca Margrethe Vestager, in Belgio Charles Michel, in Lussemburgo Xavier Bettel e tanti altri riferimenti nel mondo».

Il leader di Italia viva prende atto del fossato che ormai pare incolmabile con il Partito democratico. Troppo ampie le distanze programmatiche e culturali. Persino esagerato – ma è un dato di fatto – l’abisso personale fra i dirigenti dei due partiti: come innumerevoli altre volte è avvenuto a sinistra.

Italia viva è il primo mattone della nuova casa. Davide Faraone ha spiegato che la cosa potrebbe coinvolgere «Carlo Calenda, i radicali, i socialisti, il gruppo di Toti, e vediamo che succederà dentro Forza Italia». Calenda è guardingo, «non si può partire da intese parlamentari ma guardare alle persone»: è il segnale che il processo non sarà né breve né in discesa.

Per il momento però in Parlamento c’è un gruppone che potrà costituire un particolare riferimento per l’azione riformatrice di Mario Draghi (anche più dei fantomatici intergruppi che già sono morti); e in prospettiva – risolvendo un punto non facile: i protagonismi personali – l’operazione potrebbe giovarsi di un’aria nuova, di un clima meno distruttivo, di ricette programmatiche innovative, oltre che, come sottolinea Renzi, di un ancoraggio europeo niente male (specie se Emmanuel Macron dovesse vincere per la seconda volta). Non è una cosa di domani. Ma di un dopodomani che verrà, se il quadro politico italiano consentirà evoluzioni di tipo europeo.

(da www.linchiesta.it - 19 febbraio 2021)

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