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Da “Giuseppi” a Meloni, quei tweet imbarazzati

di Flavia Perina

La scala di valori della politica italiana

Le reazioni della politica italiana ai fatti di Capitol Hill suscitano un inedito sospetto: quello che le nostre classi dirigenti abbiano smesso di percepire il reale e la scala di valori, anche emotiva, collegata ai grandi fatti del mondo.
Magari era scontato che Matteo Salvini evitasse persino di pronunciare il nome di Donald Trump o che Giorgia Meloni lo chiamasse in causa per attribuirgli addirittura intenti pacificatori.
Meno scontato appare il burocratico comunicato in inglese con cui Luigi Di Maio ha salutato la convalida dell'elezione di Joe Biden, senza una parola personale sulla tragica notte di Washington. Oppure il gelido tweet del premier Giuseppe Conte ("Seguo con grande preoccupazione ciò che sta accadendo…"), o la bizzarra dichiarazione con cui Matteo Renzi ha usato la rivolta per insistere nella richiesta che Conte lasci la delega ai servizi, o anche il silenzio assoluto, fino alla tarda serata di ieri, del Blog delle Stelle.

La renitenza e l'afasia di gran parte dei leader della politica italiana non possono essere spiegate solo dalle relazioni che quasi tutti hanno avuto con Trump e dall'imbarazzo davanti all'esito estremo della sua narrazione anarco-populista.
C'è una donna uccisa nell'atrio del Parlamento americano, colpita al cuore davanti alle telecamere.
C'è la più importante e solenne riunione istituzionale della prima superpotenza mondiale interrotta da migliaia di rivoltosi.
C'è la Capitale di riferimento dell'Occidente ridotta, per una notte, a uno scenario ucraino, bielorusso, egiziano.

Possibile che tutto questo non provochi un sussulto, un ragionamento politico più complesso di un generico e blando turbamento o dell'auspicio che tutto si risolva per il meglio?

La sensazione è che, ormai, neanche fatti enormi scuotano l'establishment italiano dalla contemplazione del proprio ombelico. Pochi sentono ancora la necessità di osservare gli eventi che segnano la storia – e i fatti americani sicuramente lo sono – per comprenderli e formulare un giudizio compiuto al di là degli ordinari riflessi pavloviani, delle solite parole di circostanza dettate frettolosamente da qualche addetto ai media. "Che è successo?". "Disordini a Washington". "Va bene, butta giù dieci righe".

Il disimpegno dal dovere di decifrare la realtà, persino quando irrompe per ore nelle case di milioni di persone attraverso le dirette televisive, costituisce a tutti gli effetti una rinuncia alla principale responsabilità di ogni leadership: quella di guidare l'aggiornamento delle posizioni della politica e di fornire alla società, agli elettori, ai cittadini, elementi di valutazione nuovi e commisurati a quel che accade.

E qui, il sospetto si fa duplice.
Alla sensazione che una buona parte della nostra classe dirigente non capisca più la portata della storia, si aggiunge il timore che preferisca non farlo, in attesa di sposare la posizione prevalente tra i suoi seguaci.
Cosa dirà il web? L'uomo con le corna da bufalo susciterà simpatia o riprovazione? La rete solidarizzerà con le forze dell'ordine o con i Proud Boys?

Ecco, è possibile che il tenore generico ed elusivo dei commenti nella giornata di ieri sia legato anche all'attesa di capire gli orientamenti del "popolo dei social" per adeguarsi e conservarne il favore.
Ma, in questo caso, il termine leadership perde ogni significato e diventa una definizione vuota: anche se si siede ai vertici, anche se si comandano partiti, governi, ministeri, si è soltanto follower dell'umore prevalente.

(da La Stampa - 8 gennaio 2021)

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