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La giusta scelta per le scuole: ripartire (subito) dai dati

 

di Paolo Giordano

 

Si deve ammettere innanzitutto, e purtroppo, che l’incertezza decisionale sulle superiori riflette l’incertezza scientifica che ne È alla base

 

Due ore di Consiglio dei ministri partoriscono una dilazione di quattro giorni nell’apertura delle scuole superiori. Poche ore prima di quella decisione, veniva dato l’annuncio di possibili «zone bianche» in cui, così s’ipotizza dal nome, il contagio praticamente non c’È. Il coordinatore del Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo si augura una decrescita della curva da metà  mese, ma tutti noi ci prefiguriamo in zona gialla da lunedì. Intanto

i principali indicatori dell’epidemia dicono tutt’altro e i contagi giornalieri restano sopra diecimila. Sembrava impossibile superare certi culmini di confusione dei mesi scorsi, ma ci siamo riusciti.Singolare È soprattutto lo stravolgimento del principio di causalità : siamo costretti a estrapolare le informazioni alla base delle decisioni dalle decisioni stesse, e non viceversa. Mai che venga presentata una situazione e da quella ci si muova a determinate

conseguenze. Mai che vengano chiariti dei criteri e, in ragione di quelli, siano poi enunciate le misure. Perché aprire le scuole superiori l’11 gennaio

e non il 7? E perché non il 18 o il primo febbraio allora? PerchÉ l’ipotesi del 50% in presenza al posto del 75%? Su quale proiezione di quale modello

sono formulati questi scenari? Quali sono gli elementi fattuali e quali quelli interpretativi?

Ciò che ci sentiamo di scommettere  “ma di scommessa si tratta” È che il Cts e il governo considerino le vacanze attuali come una scatola sigillata,

dalla quale potrebbe saltare fuori un po’ di tutto: un crollo dei contagi (come i dati sulla mobilità  farebbero sperare), oppure un loro aumento (come

È lecito temere dalle pur ridotte riunioni famigliari e dalla mancanza di controllo sugli isolamenti fiduciari), o magari un democratico plateau. Non

ne hanno idea, perché le norme erano costruite in modo tale da non poterla avere. Quindi aspettiamo, e in base a quel che sarà , agiremo.

   Nel mezzo di questa negoziazione un po’ misera sulle date di apertura, e in quest’ultimo tempo rosso, conviene approfittarne per tentare almeno un minimo

di ordine. Ammettendo innanzitutto, e purtroppo, che l’incertezza decisionale sulle scuole superiori riflette l’incertezza scientifica che ne È alla

base. Il 30 dicembre l’Istituto superiore di sanità  ha pubblicato un report ampio sull’incidenza delle scuole sull’epidemia, possiamo supporre che

il dibattito istituzionale delle scorse ore ruotasse attorno a quello. Peccato che di evidenza, nel report, ne compaia poca: 3.173 focolai documentati

e chiaramente riconducibili all’ambito scolastico, che costituirebbero circa il 2% di quelli totali; la circolazione fra adolescenti sensibilmente più ampia di quella tra bambini (ma questo lo sospettavamo da aprile); Rt che un po’ aumenta con l’apertura delle superiori, ma forse non così tanto, ma forse abbastanza per pensarci su due volte, soprattutto se giochiamo la nostra socialità  su valori di Rt sempre pericolosamente vicini alla soglia critica. Ma i focolai scolastici sono, per ammissione stessa del report, sottostimati, e non abbiamo alcuna idea di quanto. Gli studi epidemiologici italiani legati alle scuole sono deboli e controvertibili, quelli stranieri sono avvenuti in setting difficilmente confrontabili e comunque danno risultati talvolta

opposti. E’ difficile da accettare, ma oggi, gennaio 2021, ci troviamo in una situazione di consapevolezza riguardo alla trasmissione fra la popolazione giovane non molto diversa da quella congetturale che avevamo in primavera.

  Eppure, parlare di incertezza scientifica non costituisce un alibi perfetto, perché la nostra incertezza riguardo ai contagi scolastici potrebbe essere molto meno grave di com’è. Ha delle cause specifiche in ciò che non È stato fatto nei mesi passati, quando ci sarebbe stata la possibilità  di attivare un sistema di monitoraggio delle scuole omogeneo ed esaustivo, accanto agli screening che in molti chiedevano. Un sistema radicalmente diverso da quello

farraginoso, lacunoso e spurio messo invece in campo, che oggi ci consegna pochi dati e poco servibili. L’insistenza sulla raccolta, la pulizia e la

trasparenza dei dati, con tanto di petizioni firmate da scienziati, giornalisti e altri cittadini, non era quindi un puntiglio accademico, ma forse lo si capisce bene solo oggi.

  Tutto questo dovrebbe servire da monito per quanto riguarda la presenza della variante B117. Le rassicurazioni vaghe che ci vengono date hanno il sapore insipido e sospetto di altre ricevute in passato. La verità : non conosciamo la reale diffusione della variante sul nostro territorio, una variante che, È bene ricordarlo, sembra incidere significativamente sulla rapidità  di contagio e potrebbe - sottolineo “potrebbe» - rendere anche i bambini vettori

più efficaci. E non ne conosciamo la diffusione, di nuovo, per mancanza di dati. Per capire se un soggetto positivo sia portatore o meno della variante, infatti, occorre il sequenziamento del genoma virale ricavato dal tampone. Ma in Italia il sequenziamento viene effettuato su un numero molto basso di casi. Stando ai dati pubblici, circa la metà  di quanto sequenziano percentualmente Francia e Germania. Un quinto degli Stati Uniti. Un centesimo del Regno Unito. Per sapere quali varianti sono presenti, quanto diffuse e dove prima che ci esplodano in faccia, occorrerebbe sequenziare molto di più. Invece siamo quasi ciechi sulle mutazioni del virus. Un’altra cosa che si sapeva, ma non È stata fatta.

  Per ora, il poco che sappiamo e il tanto che non sappiamo ci dicono, purtroppo, che il mantra della ministra Azzolina, “le scuole sono luoghi sicuri”,

È privo di reale fondamento. Perché «scuola», a livello epidemiologico, significa molto più dell’ambiente classe in cui tutti sono seduti composti e distanziati con la mascherina, significa più del perimetro dell’edificio in cui si svolgono le lezioni. A più riprese ci siamo dimostrati incapaci

di organizzare, perfino di comprendere, quella nebulosa complessa, perciò siamo costretti a scegliere sempre la via di maggiore cautela. Soprattutto per le scuole superiori. Fino a quando? Il criterio mancante nel dibattito pubblico potrebbe essere questo: non È ammessa scuola superiore in presenza senza un tracciamento funzionante. Aprirla da bendati È semplicemente troppo rischioso. Un incentivo in più per riprendere in mano il sistema di monitoraggio, che l’inizio della campagna vaccinale sembra aver archiviato, come se potessimo arrivare all’immunità  di gregge solo stringendo i denti.

   Con il suo insistere, la ministra Azzolina coglie tuttavia un punto essenziale, ovvero che le vittime designate della disfunzionalità  collettiva sono, ancora una volta, i ragazzi e le ragazze delle superiori, gli stessi che hanno visto la loro routine, la loro istruzione e la loro socialità  squarciate

più a lungo. E che iniziano ormai a soffrire visibilmente. A tutti loro, mentre cerchiamo di riportare un minimo di controllo, dobbiamo quanto meno una riparazione. Una strategia alternativa che sia migliore di questa intermittenza snervante, migliore delle soluzioni aprioristiche e del «tutto o niente».

 

(dal Corriere della Sera - 5 gennaio 2021)

 

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