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Commento introduttivo

Ieri è girata sui media la notizia di una certa irritazione del presidente della Commissione Ue, Ursula Von Der Leyer, per la genericità delle proposte italiane relative ai progetti da finanziare con il Recovery Fund.
La circostanza non può sorprendere, visto il fumo che circonda tutta la vicenda. Ad ora, nessuno conosce il piano che il governo intende proporre. Naturalmente sono girati tanti "elenchi", stilati per accontentare un po' tutti; ma non vi è chi non capisca bene che una cosa sono gli elenchi, ed un'altra sono i progetti di sviluppo.

Si tratta di una situazione che non deve sorprendere, visti i mali endemici del nostro sistema paese. L'articolo di Giorgio Santilli che propongo ai lettori di Fucinaidee ne attestano un aspetto ma, va detto con estrema chiarezza, ciò che viene denunciato circa i piani di sviluppo urbano riguarda ogni comparto: dalle infrastrutture alla salvaguardia del territorio, dalle politiche di sviluppo alle riforme.
Insomma, siamo un paese bloccato, invischiato in una rete di inefficienze che nessuno sinora ha avuto la capacità di rimuovere.
Figuriamoci se un compito così impegnativo può essere sostenuto da questo governo e dalla maggioranza che lo sostiene!!!

Come al solito in Italia si tende a svicolare dal cuore dei problemi. Certo, le risorse sono fondamentali; ma senza rimuovere gli ostacoli che da decenni hanno bloccato il Paese, le risorse, anche se cospicue, non potranno generare sviluppo.
E qui casca l'asino, perché il rilancio del nostro sistema non potrà che passare attraverso un percorso fortemente riformista, che faccia piazza pulita di endemiche inefficienze, rimuova assurdi privilegi, inverta vizi pubblici consolidati, ridisegni l'assetto politico-istituzionale nella direzione di una vera democrazia governante.
Traducendo, ciò significa ridurre numericamente e rendere più efficiente l'apparato burocratico; significa introdurre nella Pubblica Amministrazione veri criteri meritocratici (nelle assunzioni e nelle progressioni di carriera); significa definire quadri normativi certi per evitare che un comitato di scappati di casa possa bloccare un'opera pubblica; significa una riforma della giustizia civile, oggi sfiancata da procedure incompatibili con le esigenze di un paese moderno; significa anche una riforma di quella penale che ha visto un abnorme amplificazione della sfera del reato penale; sempre in ordine alla giustizia significa un diverso assetto dell'organizzazione delle Procure per evitare che un qualsiasi pubblico ministero possa mettere in scacco la volontà politica; significa un ripensamento del rapporto fra cittadini e Pubblica Amministrazione, per garantire tempi e criteri certi delle decisioni introducendo, ovunque possibile, il principio del silenzio-assenso in luogo di quello oggi dominante del silenzio-rifiuto; significa, al riguardo degli assetti istituzionali, riscrivere il rapporto fra i vari gradi di aministrazione, in un contesto di chiarezza che eviti il più possibile situazioni di scoordinamento, o peggio di conflitto fra istituzioni, quali quelle viste in occasione dell'attuale emergenza covid.

So di non dire niente di nuovo: di questi temi sono decenni che si parla. Ma è proprio qui il nocciolo della questione: perché pur essendo temi ampiamente presenti nel dibattito pubblico siamo ancora ai blocchi di partenza?
La risposta, a mio avviso, non può che essere una: tutti dicono di voler cambiare per non cambiare nulla. Sì, perché sinora questa situazione è in definitiva andata bene ai più, a partire da quella politica che si dichiarava riformista. Ne fa fede il fallimento di ogni tentativo dotato di qualche serio intento riformatore.

Si tratta quindi di mali ampiamente precedenti all'attuale emergenza, che però cambia completamente le carte in tavola.
Quando saremo usciti da questa "bolla sospesa", in cui ci si sta illudendo di avere le risorse per dare ristori ai tanti messi in ginocchio dalla pandemia, il conto sarà salato ed il paese dovrà interrogarsi sulla strada da imboccare per riprendersi.
E toccherà a noi. Sarà la società italiana che dovrà trovare la forza e la strada giusta. Saremo noi italiani che dovremo trovare la forza di dare quel colpo di reni necessario per poter ripartire.
E potremo farlo solo se il Paese saprà ritrovarsi attorno ad un progetto condiviso, in cui ciascuno faccia la propria parte senza sgambetti e senza furbizie.
E sarà necessaria una classe politica lungimirante, che abbandoni la logica dell'appiattimento sui dividendi elettorali, che si ritrovi attorno a ciò che unisce anziché farsi logorare dalle diffidenze e dalle ambizioni personali.

Tante volte si sente dire che questa emergenza è come una guerra. Ebbene, l'Italia del secondo dopoguerra ha saputo imboccare la strada dello sviluppo, sotto la guida di una politica seria e lungimirante.
Per il bene di tutti noi, con l'occhio particolarmente attento alle nuove generazioni, dobbiamo augurarci che questa stagione possa ripetersi.

Paolo Razzuoli

Rilancio delle città a caccia di strategia: 21 piani in otto anni

di Giorgio Santilli

In otto anni ben 21 piani fra nazionali ed europei, bandi, capitoli di spesa con risorse stanziate per un totale di 5,2 miliardi. Una cifra non trascurabile, che però è stata effettivamente spesa per una quota che non supera il 20 per cento a causa di meccanismi farraginosi e burocratici, iter inutilmente complessi, mancanza di coordinamento fra le varie iniziative. È un’altra delle possibili fotografie della rigenerazione urbana in Italia, scattata ieri dall’Ance, con il presidente Gabriele Buia in audizione alla commissione Ambiente e Territorio del Senato. Fotografia di una frammentazione estrema, desolante, di tante false partenze, di una priorità politica - dichiarata almeno a parole da molti anni - che non riesce a trovare una strategia, una politica stabile e condivisa. Né un interlocutore e un punto di riferimento stabile e visibile, visto che fra le molte cose che vengono rimproverate alla politica è l’assenza - anche questa da molti anni - di una delega specifica per le aree urbane o metropolitane dentro il governo, un ministro o un sottosegretario ad hoc. Non a caso fra le richieste dell’Ance c’è una cabina di regia che governi le politiche urbane.

Il caos, anche a distanza di anni, raramente traduce i fondi in bilancio in città più vivibili. Raramente riesce a coinvolgere risorse, energie e progetti privati. Tentativi che risalgono agli anni ’80 e ’90, con le sigle più strane, i Pru, i Prusst, gli articoli 18, le zone O, i piani città, i due bandi per le periferie. La ricerca dell’Ance si limita a considerare gli ultimi otto anni, dal «piano città» del governo Monti in avanti, ma dà numeri estremamente significativi dell’impasse e della palude: «Molto rumore per nulla, la tragicommedia della rigenerazione urbana in Italia», è la sintesi nel titolo del documento presentato da Buia.

L’obiettivo dei costruttori dell’Ance - ma anche di tutta Confindustria considerando le dichiarazioni del presidente Carlo Bonomi e quelle della presidente di Assoimmobiliare Silvia Rovere, è di avere un piano nazionale per la rigenerazione urbana che possa esprimere una politica unitaria e accedere ai finanziamenti garantiti dal Recovery Plan e dai fondi strutturali Ue 2021-27. La grande occasione di rimettere in moto le nostre città, farle accelerare, non va sprecata.

Per il futuro nuove opportunità arrivano anche dal programma «Qualità dell’abitare» sbloccato proprio in questi giorni dalla ministra alle Infrastrutture, Paola De Micheli, e dal sottosegretario Salvatore Margiotta, con un bando finanziato per ora con 853,8 milioni (ma anche qui le procedure sono estenuanti con la richiesta di finanziamenti da parte dei comuni sulla base di progetti che vengono poi messi in graduatoria sulla base dei criteri scelti).

Ma ci sono anche gli 8,5 miliardi stanziati in quindici anni per piccoli appalti comunali destinati al miglioramento del decoro e alla riduzione dei fenomeni di marginalità sociali ma che possono essere anche utilizzati come catalizzatori di progetti urbani più ampi.

Poi c’è la grande attesa per il Recovery Plan - che incrocia priorità della rigenerazione urbana come la rivoluzione verde, le infrastrutture per la mobilità e l’equità sociale - ma dove la partenza in Italia è stata disastrosa, all’insegna della «grande confusione»: nella prima fase di raccolta delle proposte da ministeri e amministrazioni territoriali, il comitato interministeriale per gli Affari europei ha raccolto 77 proposte, da 22 diversi centri decisionali per un ammontare di 180 miliardi.

(dal Sole 24 Ore - 18 novembre 2020)

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