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Commento introduttivo

  In moltissime occasioni ho trattato il tema della inadeguatezza dell’attuale offerta politica italiana; il superamento di tale condizione rappresenta il presupposto indispensabile per far uscire il Paese dalla condizione in cui, prescindendo dall’attuale emergenza Covid, si dibatte da decenni. Insisto, una condizione di stallo del tutto preesistente all’attuale emergenza che, a causa delle conseguenze complessive della pandemia, non potrà che risultare sensibilmente aggravata.

  In molte occasioni ho auspicato il rinnovamento dell’offerta politica, mediante la nascita di una forza che sappia interpretare la tradizione liberal-riformista, oggi sicuramente orfana di rappresentanza.

 Una forza che sappia guardare alla modernità,europeista, sinceramente riformatrice, liberal-democratica, che abbia il coraggio di entrare in profondità nei meccanismi arrugginiti del nostro sistema paese, per rifondarli su basi nuove, nell’orizzonte di dare un futuro migliore alle nuove generazioni e, nel contempo, di rassicurare sulle emergenze del presente.

  Non è certo un compito facile ma, con la dovuta esperienza, il necessario coraggio e la indispensabile capacità di saper guardare in una logica di prospettiva, si potrà sperare di riuscirci. Certo, mai sarà adeguata ad un simile compito una classe politica sostanzialmente appiattita sui dividendi elettorali e sul soddisfacimento di esigenze clientelari.

  Faccio del tutto mie le considerazioni dell’articolo che propongo ai lettori di Fucinaidee: considerazioni che peraltro ripropongono temi da me trattati già altre volte.

  Aggiungo un ulteriore dato su cui – credo – andrebbe riflettuto con attenzione: mi riferisco alla funzione laboratoriale che esperienze locali possono avere quali proposte predittive di quadro nazionale.

  Prima del termine dell’attuale legislatura si svolgeranno varie elezioni locali, che interesseranno comunità grandi e/o di media grandezza quale, ad esempio, Lucca.

 Pur nella consapevolezza del peso che hanno per queste elezioni situazioni legate a specificità locali, non poche sarebbero le situazioni in cui si potrebbero sperimentare formule nuove, purché in presenza del necessario coraggio e della altrettanto necessaria lungimiranza.

  La dimensione locale potrebbe risultare il terreno più fertile per cercare di superare quella diffidenza e quelle ambizioni personali che impediscono l’evoluzione del quadro politico nel senso auspicato.

  La consapevolezza che l’attuale drammatica contingenza potrà essere affrontata solo grazie ad un poderoso sforzo riformista che solo una classe politica radicalmente rinnovata potrà mettere in campo, speriamo che riesca a far aprire gli occhi alle forze vive che pur ci sono nella società italiana, conferendo loro il necessario coraggio e la necessaria lungimiranza per superare singole ambizioni e diffidenze, in favore di un grande progetto di rilancio della società italiana.

   Sono convinto che le energie non manchino: occorre però che qualcuno sappia incanalarle e guidarle, come seppe fare chi ci guidò nel secondo dopoguerra.

Paolo Razzuoli

 

Uscire dall’impasse - Il disperato bisogno di una forza riformista e liberale per salvare l’Italia

 

Di Giovanni Cagnoli

 

La situazione politica italiana, unica in Europa, è di blocco totale. Il risultato delle elezioni 2018 ha pesato in questi 30 mesi nelle scelte quasi tutte

sbagliate dei due governi Conte e continuerà  a pesare per i prossimi mesi in modo drammatico. La figura di Arcuri commissario di tutto e capace di nulla

è l’emblema del disastro in corso.

  In Parlamento la maggioranza assoluta è di due forze (Cinquestelle e Lega) che per motivi opposti hanno dimostrato di essere populiste e incompetenti. Le

elezioni del 2023 si avvicinano e se l’attuale quadro fosse confermato il costo diventerebbe davvero insostenibile.

  I Cinquestelle hanno raccolto consensi con misure palesemente sbagliate come il reddito di cittadinanza amministrato da uno sconosciuto incompetente che

ha solo il merito di essere amico di Di Maio. Molto hanno promesso e nulla realizzato. Hanno poi dimostrato di essere peggio dei predecessori al governo

distribuendo incarichi anche ben remunerati a compagni di scuola (sempre Di Maio), incompetenti di varia natura (Toninelli, Castelli, Patuanelli) purché

fedeli o servi sciocchi di Casaleggio/Di Maio prima e chissà di chi oggi.

  Lo stesso Conte è l’espressione della logica di governo dei Cinquestelle. Arruolato perché non facesse ombra a Di Maio e Salvini con un profilo di totale

irrilevanza, adesso si illude con Casalino di essere invece “vero”, ma dimostra la sua inadeguatezza in modo ormai palese, anche e soprattutto perché sembra

non rendersi conto di essere appunto incompetente e inadeguato.

  Le gaffe sul numero dei morti covid (350mila secondo lui), sul MES (che provoca nuove tasse), sulla letterina del bambino di 5 anni (patetica e ridicola)

dimostrano la pochezza del personaggio. Per fortuna nelle prossime elezioni difficilmente i Cinquestelle supereranno il 10 per cento dei consensi e quindi

nei fatti spariranno dal panorama politico, passando da circa 300 parlamentari a 40 con la riduzione del numero da loro stessi proposta. Possono però continuare a fare molti danni da qui alle prossime elezioni.

  La Lega ha raccolto voti e consenso sulla paura dell’immigrazione e sulla necessità di sicurezza. Ha cavalcato come Trump negli Stati Uniti e Boris Johnson/Cummings in Gran Bretagna il malessere profondo del ceto medio “lasciato indietro”, dei penultimi che si scagliano con forza contro gli ultimi. Ha cavalcato con figure di nessuno spessore come Borghi e Bagnai, paragonabili a Toninelli e a Castelli, una percezione negativa dell’Europa, salvo poi trovarsi spiazzata quando è apparso chiaro a tutti che senza Europa saremmo in un mare di guai.

  Soprattutto è apparsa legata alla figura di Matteo Salvini, costruendo un partito-persona senza contenuto, senza visione che sta progressivamente perdendo

il legame con i ceti produttivi del nord. Il successo di Zaia (enorme successo) in Veneto dimostra come toni non urlati e concretezza potrebbero bastare

nel deserto attuale della politica italiana, ma Salvini è schiavo della sua ambizione personale ancora una volta vicinissimo alla logica di Trump e di

Boris Johnson, e non riesce minimamente a evolvere. Così facendo riporterà la Lega al 15-20 per cento di irriducibili con un peso politico modesto che

dipenderà più che altro dalla nascita o meno di un nuovo soggetto. In altre parole la lega resta “residuale” nel senso che raccoglie consenso per mancanza

di valide alternative nel centrodestra. Governa localmente, ma farà molta fatica a confermarsi anche in Lombardia e Piemonte senza figure rassicuranti

e non urlanti alla Zaia.

  Fratelli d’italia sfrutta con abilità gli evidenti errori di Salvini e anche la fine ormai evidente di Forza Italia, prova ne sia che la somma dei consensi

tra i tre partiti del centrodestra è assolutamente stabile al 47 per cento. I nostalgici di Forza Italia rappresentano il 6-7 per cento (destinato a calare

lentamente e poi a scomparire senza Berlusconi), la Lega era al 34 per cento e oggi è al 23 per cento, e per differenza Fratelli d’Italia passa dal 5 al

17. È probabile che un ulteriore calo della Lega possa favorire la Meloni, a condizione che non ripeta gli errori di Salvini e cioè la personalizzazione

del partito e l’ascolto di voci estreme al suo interno. Peraltro lo stile di FDI per ora sembra cavalcare un sovranismo meno stupido di quello leghista,

ma manca molto una capacità propositiva di attrazione dei ceti produttivi del nord che ne limita il consenso nazionale in modo evidente.

 

  La posizione del Pd è la più interessante di tutte. In un contesto come quello descritto, il Pd avrebbe tutte le carte in regola per sbaragliare il campo

e arrivare al 30 per cento governando in modo quasi maggioritario e scegliendo i propri alleati. Il Pd al 30 per cento sarebbe quello di Giorgio Gori,

Tommaso Nannicini, Matteo Orfini, Andrea Marcucci. Ma è come chiedere a un anfibio di diventare mammifero. Il Pd non sarà mai questo perché è dominato

da Goffredo Bettini, Dario Franceschini, Andrea Orlando e ancora influenzato da Massimo D’Alema.

  Questo Pd quindi non sarà mai in grado di attrarre i voti del lavoro autonomo e del nord perché è visceralmente e ideologicamente contrario al liberalismo

riformista. Infatti sceglie di appiattirsi sui Cinquestelle e su istanze populiste egualitarie con un retrogusto vetero-comunista evidente, spende a pioggia

su assistenzialismo anni Ottanta con mancette elettorali inutili di tutti i tipi, spreca risorse su reddito di cittadinanza e dimostra in modo plastico

a tutti coloro che pagano le tasse e sostengono l’economia del paese di essere ideologicamente fermo su posizioni “tax and spend” incompatibili con la

situazione post covid. Infatti resta rigorosamente fermo al 20 per cento e anzi rischia di calare non appena i disastri del governo Conte 2 saranno conclamati.

 

  In Italia manca completamente un’offerta politica liberale e riformista sia di centrosinistra dove Renzi, Calenda e +Europa insieme rappresentano un 10

per cento circa che con il proporzionale potrebbe essere rilevante (purché insieme e non lo sono proprio), ma soprattutto di centrodestra dove l’immanenza

di Salvini, Berlusconi e Meloni e l’assoluta mancanza di alternative ha negato in modo totale ogni possibilità di nascita di qualche “cespuglio” liberale,

riformista e credibile nella capacità di amministrare.

  Paradossalmente è proprio la Lega a rendere l’operazione di nascita di un soggetto politico di questo tipo difficile perché allearsi con l’urlatore Salvini

risulta davvero difficile per qualsiasi soggetto credibile.

  Ugualmente il Pd (questo Pd almeno) sarebbe molto duro con una formazione nuova e credibile di centrodestra perché renderebbe immensamente più forte lo

schieramento antagonista alle prossime elezioni. Lega, FDI e l’attuale Forza Italia vanno benissimo al Pd attuale che rimane ideologicamente fermo nella

posizione di superiorità morale, senza minimamente guardare o accettare il fatto che rappresenta il 20 per cento degli elettori contro il 47 delle tre

formazioni citate.

 

  C’è da chiedersi quindi come uscire da questo impasse tremendo, visto che le elezioni tra non molto arrivano davvero e se i risultati fossero quelli prospettati

dopo il disastro del Parlamento 18-23 sarebbe letale aggiungere quello probabile del 23-28.

 

Le strade sono relativamente poche purtroppo:

1. L’evoluzione della Lega da Salvini a Giorgetti/Zaia e quindi entrata convinta nel PPE, fine dei deliri anti euro, fine delle urla anti immigrati e una

politica di attenzione al superamento della burocrazia e di un progressivo arretramento dello stato nell’economia. È fattibile solo se Salvini fa un passo

indietro enorme e quindi ha una probabilità di accadimento oltremodo bassa, forse 0,1%

 

2. L’evoluzione del Pd da Franceschini/Bettini/D’Alema a una nuova stagione con Gori, Bonaccini, Nannicini, Orfini. Qui le probabilità sono sempre infime

anche se non proprio infinitesime come nel caso precedente, forse 2 per cento. In più ci sarebbe una nuova minoranza interna che come è successo con Renzi

sarebbe un fuoco amico costante per recuperare al più presto il controllo della Ditta.

 

3. L’aggregazione in un nuovo soggetto magari a guida Marco Bentivogli delle forze liberali e riformiste che esistono e sono ormai più che evidenti anche

nell’elettorato. Dipende poi dalla legge elettorale se l’aggregazione è preventiva (legge attuale) o successiva (legge proporzionale). Se la parte buona

della Lega (Giorgetti, Zaia, ma anche Garavaglia), la parte veramente riformista del Pd citata sopra che oggi fa da soprammobile a Bettini, il pezzo di

Forza Italia che spera di esistere anche dopo Berlusconi, e forse anche i Crosetto di questo mondo fossero uniti in un nuovo soggetto politico “di centro”,

genuinamente riformista e liberale, sarebbe possibile creare una quota di elettorato che risulterebbe imprescindibile per qualsiasi nuovo governo nel 2023.

 

Il centrodestra definito come Lega e Fratelli d’Italia non avrebbe la maggioranza, e nemmeno il sogno di Bettini di un’alleanza stabile con i Cinquestelle

avrebbe nessuna speranza (ammesso e non concesso che ne abbia mai avuta una). Vista la mobilità dell’elettorato e la pochezza dell’offerta attuale, un

simile schieramento potrebbe anche raccogliere un consenso imprevedibilmente alto. La probabilità che questo succeda è ugualmente bassa, forse 10 per cento.

  Tra l’altro la categoria destra/sinistra di questo schieramento verrebbe superata dalla categoria molto più rilevante oggi riforme vere/immobilità assoluta.

I due governi Conte sono l’emblema dell’assoluta immobilità e del riformismo zero, molto per manifesta incapacità, ma anche per la totale assenza di visione

sia nei partiti che li sostengono sia nelle persone. Per fare riforme vere bisognerebbe entrare nella burocrazia e nel groviglio legislativo corporativo

creato in 40 anni di malgoverno con rare e brevi interruzioni, partendo dalla riforma della giustizia, del fisco, della burocrazia, della modalità legislativa

e del rapporto stato/regioni. Bisogna esserne capaci (e non è per nulla facile, men che meno per persone che non hanno esperienza di governo o amministrativa), avere grandissima determinazione e anche qualche anno (almeno una legislatura) per i tempi infiniti del nostro sistema.

 

4. Non succede nulla e governerà il centro destra di Salvini/Meloni. Questo attualmente è lo scenario più probabile (80 per cento). Tanto più probabile

se Salvini abbandonasse parzialmente i toni estremi (gli riuscirebbe difficile ma certamente lo smottamento della Lega non gli sfugge e da abile animale

politico ne capisce i motivi), Meloni imbarcasse in FDI qualche volto presentabile (questo invece sarebbe più facile) e Berlusconi (gigante tra i nani

di oggi) continuasse ad essere una forza di attrazione tra i moderati anche nel 2023.

 

Che cosa impedisce il decollo dell’ipotesi 3, che è a mio avviso evidentemente la migliore per il paese? Palesemente le ambizioni personali e il coraggio

delle persone. Se si osservano le dichiarazioni e le convinzioni di Renzi, Calenda, Gori, Bentivogli, Marattin, Orfini ma anche Giorgetti, Zaia, Crosetto,

Toti, Carfagna la distanza è minima. Tutti vorrebbero uno Stato che funzioni davvero con competenti e non figuranti, tutti vorrebbero la difesa del lavoro

(quello vero non parassitario o assistito alla Alitalia maniera), tutti vorrebbero una libera impresa che possa prosperare e non l’invasione dello Stato

nelle imprese, tutti vorrebbero una lotta vera all’evasione fiscale, tutti vorrebbero finalmente l’aumento della produttività e il controllo degli sprechi

di spesa pubblica. In politica estera tutti sono fortemente atlantisti e europeisti. Il manifesto pubblicato da Marattin sul Foglio a settembre è un’ottima

sintesi.

  Il grandissimo problema è quello delle persone. Le persone citate, e in particolare alcune di esse, fanno molta fatica, nonostante critichino i partiti

personali, a non essere loro stessi partiti-persona. Per metterli sotto lo stesso tetto servirebbe un leader carismatico molto forte (che non esiste e

non esisterà) oppure uno sforzo titanico di riduzione delle ambizioni personali. Purtroppo non abbiamo in Italia un Barack Obama che impone Joe Biden al Partito democratico e vince, perché non esiste il Partito democratico e nemmeno Obama e forse nemmeno il 78enne Biden. Bentivogli mi sembra la personalità

più in grado di aggregare per storia e personalità. Ma le persone citate saranno capaci di accettare una leadership ancorché coinvolgente, aggregante e

non “personalistica”,  invece di perseguire il sogno (irrealistico) della propria leadership?

 

Davvero non so che cosa si possa fare per cercare di convincere questi soggetti a iniziare un processo convinto di aggregazione pur partendo da posizioni

politiche personali vicinissime tra di loro. La buona politica è la ricerca di affinità e di aggregazione. Oggi la distanza tra Salvini e Giorgetti o tra

Gori e Bettini è molto maggiore (e secondo me del tutto incolmabile) nei fatti rispetto a quella tra tutti i soggetti citati. Ma sono ancora tutti schiavi

del passato, della loro storia personale e anche ahimè delle ambizioni o convinzioni di “superiorità” relativa, oppure della incrollabile fiducia di rimodificare

lo status quo all’interno dell’organizzazione da cui provengono nonostante plurimi segnali opposti.

 

L’Italia avrebbe un disperato bisogno di una forza politica di centro riformista e liberale che sia sensibile ai temi dei prossimi venti anni (sviluppo

sostenibile, ecologia, difesa del buon welfare, produttività, innovazione) contro i populismi di destra e di sinistra. E le persone citate saprebbero anche

governare, cioè fare succedere davvero le cose come dice spesso molto correttamente Calenda. Penso che prenderebbero anche una valanga di voti. Pensare

invece all’uomo nuovo che non conosce i meccanismi legislativi o come districarsi nella palude burocratica romana senza esperienza, è del tutto velleitario.

  Qualche uomo nuovo potrebbe aiutare con competenze specifiche, ma molto difficilmente potrebbe essere uno dei leader in questo contesto. Non ho soluzioni, purtroppo, se non segnalare quanto penso sia cruciale accada davvero nel mezzo di una crisi covid, con il debito pubblico al 170 per cento, una crisi demografica senza precedenti e dopo circa quaranta anni di disastroso malgoverno elettoralistico.

 

Qualcuno ha idee migliori su come farlo succedere? Ne va del nostro futuro e soprattutto del futuro dei nostri figli e nipoti che con lo status quo sono

destinati inesorabilmente ad avere una condizione sociale molto peggiore della nostra, profezia amarissima che i due governi Conte, frutto delle elezioni

2018, hanno reso davvero molto più probabile.

 

(da www.linchiesta.it – 16 novembre 2020)

 

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