logo Fucinaidee

Commento introduttivo

Luigi Da Rold, nell'articolo che propongo ai lettori di Fucinaidee, prende le mosse dall'ultimo libro di Sabino Cassese: «Il buon governo. L’età dei doveri», Mondadori, pp. 288, euro 19. dal 23 giugno in libreria.

Ho letto il libro, trovandolo estremamente stimolante, al pari di ogni altra pubblicazione dell'eminente giurista.
Ne propongo una presentazione dovuta alla penna dello stesso autore.

Sono le istituzioni che dettano le regole del gioco: disegnano l’organizzazione, distribuiscono compiti e responsabilità, dettano i tempi. Dalle istituzioni dipende il benessere di una società. Quando la Commissione europea fa raccomandazioni all’Italia (e ad altri Paesi) per stimolare lo sviluppo, aumentare la produttività e ridurre il debito pubblico, suggerisce modificazioni istituzionali, quali accelerazione delle procedure amministrative, minore durata dei processi, digitalizzazione.
L’attuale assetto istituzionale italiano presenta cinque caratteri peculiari, che sono emersi a pieno negli ultimi anni, ma sono andati sviluppandosi da qualche decennio.

Il primo è costituito dalla sostituzione delle decisioni fondate sulla forza del dibattito e della ragione con le decisioni fondate sulla forza dei numeri. Sono due processi di decisione radicalmente diversi. Il secondo si esaurisce in un atto di volontà, ad esempio, una votazione. Il primo, invece, fa perno sulla importanza del dialogo e della ragione deliberativa. Questa modificazione dei modi di decisione si connette a tre fenomeni importanti: l’illusione della democrazia digitale, la fuga dai partiti e il declino della competenza.
Lo sviluppo della cultura digitale fa nascere domande del tipo: perché delegare e non votare direttamente? Perché contare su reti territoriali e non su reti digitali? Il declino della membership partitica è legato alla perdita di importanza della politica come processo di formazione progressiva di orientamenti popolari diffusi, con la conseguenza che i partiti conservano solo il legame con lo Stato, rompendo quello con la società. L’assenza o insufficienza di offerta politica da parte dei partiti provoca una dispersione nella società, i cui membri preferiscono impegnarsi in attività alternative (la partecipazione sociale attiva è tre volte superiore a quella politica). Iato annunci-realizzazioni, inefficacia della politica, estraneazione dei cittadini, marginalità della politica, diminuzione del consenso per le istituzioni sembrano produrre una crisi strutturale di fiducia, minacciare le basi della democrazia (non rafforzata dalle democrazie locali o dal troppo modesto ricorso ad autorità parzialmente epistocratiche, come le autorità indipendenti), nutrire la richiesta della concentrazione del potere (l’«uomo forte»).
Della competenza non c’è bisogno, se basta affermare: il popolo mi ha votato. Infatti, il personale politico attuale è in larga misura entrato negli organi di decisione semplicemente sull’onda del successo di movimenti di protesta, senza precedenti esperienze di partecipazione ad attività della collettività.

Il secondo tratto caratteristico dell’attuale situazione delle istituzioni italiane (ma in parte comune con quelle di altri Paesi) è costituito dalla tendenza a una nuova concentrazione di poteri al vertice. L’assetto ereditato dalla Costituzione era multipolare, affiancava scadenze diverse (9, 7, 5, 3 anni); a una democrazia centrale, democrazie locali; a organi a cambiamento totale e periodico (come il Parlamento) organi a modificazioni parziali e lente (come la Corte costituzionale). Quasi tutti gli organi avevano una legittimazione esclusivamente dal basso. Ora, la necessità di partecipare in «condomini» sovranazionali e globali e i nuovi mezzi di comunicazione conferiscono un sovrappiù di potere a chi sta al vertice.

Il terzo tratto peculiare consiste in uno svuotamento del Parlamento, divenuto organo di registrazione di decisioni prese altrove, talora neppure dal governo: l’iter che parte dalla approvazione governativa «salvo intese» di un decreto legge (cioè del titolo e della copertina del disegno di legge) e arriva alla conversione in legge con voto di fiducia (spesso su maxi-emendamenti governativi), costituisce procedura ormai normale.

Il quarto tratto caratteristico è costituito dalla prevalenza dei temi e problemi immediati ed urgenti su quelli importanti e strutturali, dal predominio della politica sulle politiche, degli schieramenti sugli orientamenti e sugli obiettivi. Quindi, c’è la tendenza a trattare le politiche pubbliche sempre sub specie del gioco politico generale, degli equilibri politici, facendo passare in secondo piano le singole decisioni e le tensioni che si formano intorno alle singole policies, che vengono sempre e solo ricondotte a fratture politiche più ampie e riconosciute.

Il quinto aspetto caratteristico è quello della mancanza di organi di correzione delle politiche governative. Della creazione del governo è regista il presidente della Repubblica. Ma poi il governo passa nelle mani del Parlamento, che dovrebbe tenerlo sotto controllo. Tra l’uno e l’altro organo, c’è però uno spazio vuoto, qualche volta occupato dal presidente della Repubblica (ad esempio, col rinvio di leggi, o con messaggi alle Camere, o con la moral suasion), qualche volta dal Parlamento (che è però nelle mani del governo stesso, perché questo è il comitato direttivo della maggioranza parlamentare), mentre gli apparati amministrativi possono svolgere solo un’azione di ritenzione o frenante.

Fin qui Sabino Cassese. A me non resta che consigliare caldamente la lettura del volume.

Nel merito dell'articolo di L. Da Rold, direi che la sua chiarezza rende superfluo qualsiasi ulteriore commento.

Paolo Razzuoli

Il grande caos che tiene Conte in sella mentre il Pil crolla

di Gianluigi Da Rold

L’Italia sta vivendo un “grande caos”, nel quale l’economia continua a perdere pezzi e il Premier Conte può perseguire le sue strategie politiche

Il giudice emerito della Corte Costituzionale, Sabino Cassese, ha scritto un libro di grande razionalità e ragionevolezza, oltre che di sapienza giuridica: “Il buon governo. L’età dei doveri”. Questo libro non dovrebbe essere letto solo dagli studenti di giurisprudenza, ma anche studiato dai nostri “incredibili” parlamentari, gli acrobati, tutti, dell’antipolitica militante (sia a destra che a sinistra e al centro) e la migliore espressione di quell’analfabetismo di ritorno di cui parlano, riguardo all’Italia, diversi organismi internazionali. Questo libro rappresenta la condanna più grave all’attuale classe dirigente italiana, non solo quella politica.

Un tempo si parlava di anomalia italiana, ed era cosa vera. Oggi si può affermare che ogni record di stravaganza politica, economica, giuridica ( il caso Palamara è un primato che nessun Paese democratico potrà superare) e sociale sia stata battuta in Italia, nel Paese governato dai “grillini” del “comico emerso dal nulla” e da un Partito democratico che è l’ultimo derivato (non economico) dell’ideologia italiana in stato preagonico.

Il dramma di questo spaccato è il “grande caos” che il Paese sta vivendo e può vivere nel futuro prossimo che deve affrontare, senza purtroppo avere un’alternativa credibile a questa maggioranza-minoranza parlamentare.

La fotografia del Paese è segnata da una mescolanza di rassegnazione, sfiducia, rancore e desiderio di ribellione. Nel momento in cui ci sono questi evidenti segnali (basta girare per le strade di qualsiasi città) è difficile capire che cosa salterà fuori. Anche il “grande caos” è come la vecchia talpa marxiana: scava, scava e poi mette fuori la testa al momento giusto anche quando nessuno se l’aspettava o sperava che non arrivasse.

Oltre alla paura e all’ansia per un ritorno della pandemia, esiste la durezza della sequenza dei numeri economici, dove in definitiva debito, caduta del Pil, chiusura delle imprese (calcoli approssimativi che si aggirano sul 40%), contrazione spaventosa dei consumi, disoccupazione, povertà e disuguaglianze sociali offrono un quadro spaventoso.

È quasi grottesco il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, quando spiega che nel secondo semestre del 2021 dovrebbe esserci un rimbalzo del Pil valutabile sul 5 o 6 per cento, quando ormai tutti sanno che il crollo del 2020 è valutabile tra il 10 e 15 percento, se tutto va bene, e che, comunque, perché l’Italia ritorni solamente ai livelli pre-Covid, che erano già bassi, occorre attendere il 2025, nonostante i grandi prestiti europei, gli scostamenti di bilancio e tutte le iniziative che si potranno intraprendere.

Sabino Cassese non offre ricette miracolose per risolvere il problema italiano, ma offre una disanima degli errori da correggere e da evitare e fa un invito, che traspare dalle sue pagine, sul problema della verità da dire, sulla necessità di ricreare una classe dirigente, non solo politica, per questo Paese caduto in una crisi che continua a durare ormai da trent’anni.

Ma le parole di Cassese, e di altre persone come lui, sembrano “parole al vento” tanto si è attirati dall’attesa del “grande caos” come regolamento dei conti finale, o come incubo da superare indenni per uno strano miracolo o per un rito vudù.

Facciamo solo un breve riassunto. Mentre crollano i numeri economici e si affaccia una crisi da rivolta sociale, l’Italia di Giuseppe Conte e della maggioranza giallo-rossa si sofferma sul problema del prolungamento dello “stato d’emergenza”. Unico Paese democratico, decreta lo stato d’emergenza prima fino al 31 dicembre, poi fino alla fine di ottobre, poi, per “intervento” di qualcuno, al 15 ottobre. Cassese ha commentato in una dichiarazione televisiva: “Mai visto chiamare i pompieri quando non c’è nessun incendio”.

Tutto questo avviene mentre i numeri della pandemia in Italia sono ridotti al minimo rispetto all’emergenza della scorsa primavera e in confronto alla situazione di altri Paesi europei. Perché? La risposta non è difficile; Conte vuole solo prendere tempo, guadagnare tempo, arrivare alle elezioni regionali parziali e vedere che cosa può salvare del consenso che gli italiani gli danno ancora. Inoltre, vuole mettere mano ai piani per recuperare i prestiti europei e passare per un primo ministro di lunga durata. Un piano grottesco che il Premier definisce, solo in cuor suo, scelta politica.

Mentre avviene questo e si aspetta e non si varano piani seri per accedere ai prestiti europei, si cerca pure di confondere le acque sul Mes per evitare possibili crisi in votazioni inevitabili. Intanto si parla dello “scandalo Fontana”, del “caso Zingaretti con le sue mascherine di cui la magistratura non si è accorta”. Si assiste ai dibattiti sul “Conte primo” ignaro, che aveva un ministro degli Interni, Matteo Salvini, che gli avrebbe nascosto la politica dell’immigrazione sulla “Open arms” e quindi costretto ad andare a processo. Si parla, con dovizia e passione, dei banchi di scuola a rotelle della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina e dei programmi di fornitura, “folgoranti” come al solito, del commissario Domenico Arcuri che hanno fatto imbestialire molti imprenditori.

Lo spettacolo non sembra affatto rassicurante. Si dice che occorre sempre partire dal positivo e quindi vedere il bicchiere “mezzo pieno”. Il problema è che questa volta, con l’ineguagliabile governo Conte, risultato finale di un trentennio disastroso, non si vede neppure più il bicchiere.

(da www.ilsussidiario.net - 31 luglio 2020)

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina