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Ruolo del Parlamento e opposizione, Mattarella “avvisa” Conte

di Anselmo Del Duca

Conte è uscito rafforzato dalla partita europea, ma ora si presentano nuovi problemi. E al Quirinale non piace il metodo del presidente del Consiglio

È uscito straordinariamente rafforzato dalla battaglia di Bruxelles, Giuseppe Conte. Ha costretto la sua maggioranza a spellarsi le mani per applaudirlo in Parlamento, ha diviso l’opposizione e l’ha confinata in un angolo. Ha allungato senza dubbio la vita del suo secondo governo. Deve stare attento, però. Rischia di incespicare nel suo voler strafare, e di finire come chi, dopo aver vinto la lotteria di Capodanno, perde il biglietto e finisce per non riscuotere il premio.

La soluzione sul Recovery Fund strappata al tavolo negoziale europeo ha molti aspetti positivi, a cominciare dall’entità, ma pone anche seri interrogativi. Il primo è quando arriveranno i soldi promessi. Il secondo è se saremo in grado di spenderli : non solo spenderli bene, senza sperperi o ruberie, ma anche spenderli secondo le regole europee, tema su cui il nostro paese ha sempre arrancato in coda alla classifica dell’utilizzo dei fondi comunitari.

All’indomani del rientro trionfale del premier si è scatenato il più classico degli “assalti alla diligenza”. Piatto ricco, mi ci ficco. Tutti vogliono una fetta, e si segnala l’improvviso ammorbidimento delle critiche della Confindustria targata Bonomi, sin qui spietata con l’esecutivo. Sarà corsa contro il tempo per redarre la lista dei progetti che presenteremo in Europa per il finanziamento. E si parte da zero, o quasi, con il rischio che molte risorse possano rimanere inutilizzate per nostra incapacità progettuale. Per il governo da qui a metà ottobre sarà una prova da far tremare le vene ai polsi. E i fondi, deve essere chiaro, non arriveranno prima del prossimo anno.

Nel frattempo però bisognerà pure sbarcare il lunario. E farlo senza soldi è impresa titanica. L’allarme sui flussi di cassa che Gualtieri ha lanciato in settimana (salvo poi rimangiarselo con scarsa convinzione) rappresenta un segnale preoccupante di fronte alle tante questioni aperte per il governo. Anche il passaggio sul terzo scostamento di bilancio rischia di rivelarsi insidioso. Serve la maggioranza assoluta dei componenti delle due Camere. E al Senato dopo il Covid questo livello non è mai stato raggiunto. Ci sarebbe la disponibilità di Berlusconi, ma è condizionata a evitare il prolungamento dello stato di emergenza, cosa che invece il governo sembra intenzionato a fare, almeno sino al 31 ottobre.

S’inserisce qui il tema delicatissimo dell’esautoramento del Parlamento, contro cui si alzano sempre più voci, ultima in ordine di tempo quella di Giuliano Amato. Tema che non lascia insensibile nemmeno il Quirinale. Il monito a rispettare le Camere venuto dalla seconda carica dello Stato, la presidente del Senato Casellati, trova consensi persino nella maggioranza, almeno dalle parti di Italia Viva. E dovrebbe consigliare a Conte molta più prudenza, quantomeno per ragioni istituzionali.

Palazzo Chigi sembra invece diffidare dal rischio di impantanarsi in Parlamento. Meglio tenersi le mani libere, e procedere a colpi di Dpcm, in virtù dello stato di emergenza. Le Camere sembrano rassegnate al ruolo di comprimarie, e si preparano a una chiusura agostana normale, quando di normale in questo 2020 non c’è nulla, soprattutto l’incombente crisi economica, un autunno che si preannuncia a tinte fosche, con il sistema produttivo e sociale in ginocchio. E le scuole da riaprire a tutti i costi a settembre, non si capisce ancora bene come.

Gode, Conte, anche di una totale inconsistenza dell’opposizione, divisa al suo interno e incapace di sedersi a un tavolo di trattativa con l’esecutivo che, per parte sua, ha fatto di tutto per sabotare un dialogo istituzionale a vantaggio del paese, più volte invocato da Mattarella.

In teoria, quindi, Conte sembra avere la strada spianata davanti a sé. Ma a voler fare tutto da solo rischia il patatrac, potendo contare su una maggioranza fragile e litigiosa. Fragili sono i 5 Stelle, litigiosi i democratici, Renzi una mina vagante. E i famelici appetiti rispetto alla torta da dividere certo non contribuiscono a cementare la coalizione. La data chiave è il 20 settembre: se le elezioni regionali e amministrative andassero male (Pd e M5s si presentano ovunque separati, tranne in Liguria), tutto diventerebbe più difficile. E la tenuta del governo non si potrebbe dare più per scontata.

(da www.ilsussidiario.net - 27 luglio 2020)

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