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Vocazione venezuelana - I Cinquestelle hanno nazionalizzato il Pd, e ora sono guai

di Christian Rocca

Con la candidatura di Michele Emiliano in Puglia e di Ferruccio Sansa in Liguria, due giustizialisti con gli occhi febbricitanti di cozze pelose e di manette scattanti, possiamo dire che il Partito Democratico si sia messo «ai margini della società civile», ammesso che esista ancora una società civile, per dirla con i suoi predecessori assetati di forca ai tempi della Rete di Leoluca Orlando, altro momento epico della sinistra italiana che scelse di consegnarsi ai populisti e ai demagoghi di allora con esiti imbarazzanti e conseguenze che paga ancora adesso.

Il Pd ha votato contro la mozione di Emma Bonino, appoggiata dai calendiani e dai renziani, per accedere ai soldi senza condizioni offerti dal Meccanismo europeo di stabilità, plaudendo alle manovre del gagà devoto a Padre Pio che è riuscito nell’impresa memorabile di ottenere meno soldi di quelli promessi dal Recovery Plan e con maggiori condizionalità rispetto a prima. Una prova di inadeguatezza che meriterebbe di essere catturata da uno di quei formidabili video muti di Toninelli.

Tutto questo mentre il leader che Rocco Casalino riesce a far tratteggiare sui giornali e in televisione come Winston Churchill combinava quel pasticcio sulle Autostrade che pronti-via costerà circa quattro miliardi cash agli italiani, più la presa in carica di dieci miliardi di debiti pregressi, più l’onere degli investimenti futuri, e il tutto mantenendo i Benetton come soci, con gli imperituri elogi del Partito democratico, in primis quelli del ministro dell’area populista Peppe Provenzano, il quale essendo di Caltanissetta dovrebbe conoscere la destrezza dello Stato nel gestire l’A19, l’autostrada Palermo-Catania dove nel 2015 per noncuranza dell’Anas è crollato un ponte, il viadotto Himera, che ha spezzato la Sicilia in due e ancora non è stato ristrutturato.

Certo, nel Pd ci sono ancora persone serie come Roberto Gualtieri, cui andrebbe conferito il Nobel per la pazienza, che sono riuscite a evitare la catastrofe finanziaria e occupazionale della revoca della concessione, così come da Matteo Orfini a Giuditta Pini a Chiara Grimaudo ci sono anche alcuni deputati democratici che, in linea con le roboanti decisioni politiche prese dal partito di Zingaretti, in Parlamento hanno votato contro il rifinanziamento della Guardia costiera libica, al contrario dell’indicazione di voto data da Zingaretti ai suoi parlamentari il cui curriculum, a questo punto, dalla conferma dei decreti sicurezza alle questioni libiche, per non parlare delle quote cento e dei redditi di cittadinanza, è ormai indistinguibile da quello di Matteo Salvini e di Alessandro Di Battista.

La cosa più preoccupante è che la resa incondizionata del Pd non è più solo una tattica, per quanto grottesca, per abbindolare i Cinquestelle in vista di un’alleanza strategica che peraltro al momento si concretizza sulla figura di un assatanato giornalista del Fatto e, vedremo, se si estenderà a Virginia Raggi. Semmai si sono fatti raggirare da Vito Crimi, ma ormai siamo oltre: il percorso di Pd e Cinquestelle è una condivisione palese di obiettivi politici e un idem sentire ideologico soprattutto sui temi diciamo così venezuelani dell’economia di Stato.

In queste ore non c’è nessuna differenza tra le interviste di Luigi Di Maio, gli editoriali di Mariana Mazzuccato su Sole (povero Sole) e i pensierini da assemblea studentesca consegnati al Foglio dal responsabile economico del Pd Emanuele Felice, giovane esponente dell’ala di centrosinistra che trent’anni fa ha fatto le privatizzazioni, a cominciare da quella di Autostrade, e che ora ci fa la predica sull’immoralità delle privatizzazioni neoliberiste.

Di Maio ieri ha detto al Corriere che bisogna abbassare i pedaggi autostradali «a chi si muove per ragioni turistiche» ed è già un fiorire di sceneggiature da commedia all’italiana sui navigator dello statista di Pomigliano che al casello di Melegnano chiederanno agli automobilisti di «favorire pinna, secchiello e occhiali» per poter usufruire dello sconto del popolo.

L’ideologia fessa che fa scrivere a Di Maio su Facebook che «dobbiamo lavorare affinché la nuova società (autostradale, ndr) non sia assoggettata alle logiche di mercato» – con tanti auguri ai poveri cristi di Cdp che su queste basi chaviste dovranno trovare i partner privati disposti a investire miliardi di euro in un’impresa non «assoggettata alle logiche di mercato» – purtroppo è la stessa dei più loquaci esponenti del Pd.

Emanuele Felice spiega che sta lavorando per nazionalizzare, dopo le Autostrade, anche le telecomunicazioni e l’acciaio, forte del trionfale precedente di Alitalia.

«Sembra il progetto di Beppe Grillo, esposto nel suo blog, che punta a nazionalizzare Tim e costringere Vivendi ad andarsene», gli fa notare Luciano Capone sul Foglio. «Fondamentalmente è simile, ma l’interesse è dare all’Italia un’infrastruttura avanzata e garantire la concorrenza», gli ha risposto Felice le cui parole sono state salutate con il giusto entusiasmo dal marxi-sovranista Stefano Fassina: «Non c’è dubbio che il M5s abbia avuto un ruolo decisivo nel far cambiare approccio, in economia, al Pd. Il loro ruolo è stato fondamentale. Lo penso davvero. Hanno contribuito a modificare la linea del Pd».

Non ho altro da aggiungere, vostro onore.

(da www.linchiesta.it - 18 luglio 2020)

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