logo Fucinaidee

Alcuni pensieri attorno al quadro politico dopo le regionali del 26 gennaio

di Paolo Razzuoli

E' veramente uno spasso ascoltare o leggere le dichiarazioni dei politici dopo le elezioni. O meglio, sarebbe uno spasso se non si trattasse di materia molto seria; invece, trattandosi di una questione di assoluta serietà, queste dichiarazioni fanno un po' pena.
Naturalmente nessuno ha perso. Chi ha vinto, lo ha fatto nonostante ogni tipo di condizione avversa: il meteo, gli astri, il destino cinico e baro e via dicendo. Chi ha perso, sì le cose non sono andate proprio come ci si aspettava, ma insomma, si è un po' perso, ma non si è certo straperso.

Poi, nel caso di elezioni locali, c'è il tema dei loro riflessi sul quadro politico nazionale. Qui le capriole sono veramente spericolate. Ignorando ciò che si era predicato sino al giorno prima, se le elezioni sono andate nel modo desiderato, costituiscono una conferma del quadro nazionale; se invece sono andate storte, sono un test di carattere locale, che nulla possono significare circa gli equilibri politici nazionali. Poi non importa se, dopo aver predicato il carattere locale della tornata elettorale, si dice che occorre rivedere gli assetti di governo, perché gli equilibri di forza fra i soci sono mutati.

Le recenti elezioni regionali, soprattutto quelle emiliano-romagnole, hanno offerto un esauriente florilegio di questo stile.
Hanno confermato una impronta di assoluta esagerazione ed una cifra interpretativa racchiusa totalmente nel presente. La vittoria dell'estemporaneità insomma, a scapito della linearità di un ragionamento compiuto. Provo ad articolare alcuni pensieri, sforzandomi di sottrarmi a questi limiti, chiedendo perdono ai nostri lettori se il mio sforzo risulterà vano.

In Emilia Romagna per fortuna gli elettori hanno premiato il buon governo. Confermando quanto si legge su molti giornali, avendo una discreta conoscenza della regione posso attestare la buona qualità del governo emiliano-romagnolo. Stefano Bonaccini è figura seria e competente. Gli elettori lo hanno premiato con un consenso che è andato oltre quello attribuito alle liste che lo hanno sostenuto. Potendo anche dare il voto disgiunto, Bonaccini ha sicuramente raccolto consensi anche fra elettori, forse anche fra quelli del M5S, che hanno scelto Bonaccini in funzione anti Salvini; insomma, nella logica del voto utile.
Di contro, la Borgonzoni ha avuto un consenso minore rispetto a quello ottenuto dalla coalizione che la sosteneva; questo un segnale di sfiducia in un candidato messo peraltro in secondo piano dalla onnipresente figura di Salvini, che è in buona sostanza riuscito a trasformare un voto locale in una sua sconfitta. E' proprio su questa sua sconfitta che si sono appuntati quasi tutti i commenti, ovviamente a partire da quelli della coalizione giallo-rossa.

Credo che le cose siano un po' più complesse.
Anzitutto - come tutti sanno - non si è votato solo in Emilia-Romagna. Il voto della Calabria è stato di segno opposto, con la vittoria del centro-destra, se pur con un candidato di Forza Italia. Un voto che va letto da due punti di osservazione: uno di indole generale, l'altro interno al centrodestra.

Sul versante di quadro generale, il centrosinistra esce indebolito, avendo perso la Calabria; certo, l'Emilia è stata trasformata un po' da tutti in una bandiera, ma il risultato dice che un'altra regione è passata al centrodestra, pur riuscendo - il centrosinistra - a contenere almeno in Emilia un trend che sembrava inarrestabile.
Ma c'è un problema: la vera spina nel fianco per Salvini. Infatti la Calabria è stata vinta con un candidato non leghista così come la sconfitta in Emilia si è verificata con un candidato leghista: circostanza che ha immediatamente fatto alzare il capo a Berlusconi che ha sentenziato che si vince con i candidati moderati di FI.
La battuta di arresto di Salvini dà la stura ad una partita aperta nel centrodestra, in cui Berlusconi e la Meloni cercheranno di raccogliere i più abbondanti frutti dal flop salviniano. Ne vedremo gli esiti nelle candidature per le regionali di primavera.

Restando al voto emiliano-romagnolo, un importante dato emerge esaminandolo con l'aiuto di una carta geografica. Vedremo le città più importanti colorate di rosso, o meglio di rosina, mentre le campagne ed i centri operai saranno colorati di verde. Infatti, se il centrosinistra ha vinto nelle realtà della borghesia un po' colta, di condizioni economiche tranquille e soprattutto a reddito fisso, il centrodestra ha vinto nelle realtà operaie, contadine, ed in genere del lavoro meno protetto. Una situazione che deve far riflettere, pensando ad una regione in cui il Pc, che aveva un tempo una ampissima maggioranza assoluta, era di fatto l'unica forza in cui si riconosceva il mondo del lavoro.

L'interrogativo che si impone immediatamente è questo: cosa è oggi il Pd e qual è il suo blocco sociale di riferimento? Un interrogativo a cui quel partito non potrà certo sfuggire, se ancora vorrà ambire a giocare un ruolo importante nel governo di questo Paese.

Infine il M5S, che ha avviato la sua prevedibile parabola discendente. anche qui occorre bandire le esagerazioni. Credo che il declino dei grillini sia nell'ordine delle cose; però attenzione: non è bene cantare vittoria anzi tempo....

Le elezioni hanno lasciato in piedi tutti i nodi irrisolti della politica italiana: sono rimaste intatte tutte le paure legate ad un modello di sviluppo i cui effetti non riescono ad essere letti da classi politiche ancorate a schemi superati; è viva la sfiducia in orizzonti futuri che la politica non riesce a tracciare; è fortissimo il populismo che, al di là del peso delle forze che ad esso si ispirano, sta pervadendo ogni strato della società italiana: giornali, televisione, sindacato, opinione pubblica, politica. In realtà nella storia italiana le istanze populiste hanno trovato in molteplici occasioni terreno fertile; il diffuso disagio del tempo che viviamo ne sta agevolando il contagio. Paradossalmente, anche se sul piano strettamente partitico le forze populiste sembrano far registrare una battuta di arresto, sul piano culturale, purtroppo, la nozione populista risulta vincente, avendo infettato anche chi, ad esempio il Pd, forza che sinora ha rappresentato un presidio contro questo male.
Molti potrebbero essere gli esempi; basti per tutti la vicenda della prescrizione.

Altro comento ricorrente: il quadro è nuovamente bipolare: la caduta dei grillini ne sarebbe la prova.
Ebbene, posto che una rondine non fa primavera, non è affatto scontato che in uno scenario diverso, quale sarebbe quello nazionale, i risultati non sarebbero assai diversi.
Ma se questa piattaforma politica dovesse consolidarsi, credo che la democrazia italiana avrebbe tutto da perdere da un bipolarismo fortemente radicalizzato, giocato fra una destra che ci vorrebbe fuori dall'Europa, e una sinistra che è già fuori del mondo. Il bipolarismo funziona in sistemi che hanno una forte componente centrista, che fa da elemento equilibratore fra due visioni certo diverse, ma non radicalmente incompatibili. Una democrazia dell'alternanza funziona solo a condizione che i vincitori non distruggano tutto ciò che hanno fatto i precedenti governanti. Insomma, l'alternanza funziona fra forze che non si delegittimano; ecco perché da noi questo sistema non ha funzionato. Purtroppo sembra andare in crisi anche nei contesti in cui tale sistema è nato, ovvero il Regno Unito e gli Usa.

La tendenza alla radicalizzazione dello scontro rende urgente un tema, peraltro non nuovo, quello di una idonea rappresentanza politica della cultura liberal-riformista, ovvero, come ho sopra sintetizzato, quell'area che non vuole stare con una destra che ci vuole fuori dall'Europa, e nemmeno con una sinistra, la cui visione nostalgica è ormai fuori del mondo.
Quell'area culturalmente ampia, che raccoglie attorno a sè la parte più dinamica e produttiva della società italiana, ma che sinora non è riuscita ad esprimere un progetto politico capace di darle una rappresentanza credibile e continuativa, nonostante i vari tentativi messi in campo negli ultimi decenni.

A quest'area si rivolge sia Italia Viva di Renzi che Azione di Calenda. Non so dire come questi progetti si evolveranno; ci vorrebbe la sfera di cristallo per indovinarlo.
Sarebbe comunque un dato altamente positivo che i soggetti che si muovono in quest'area trovassero la capacità di individuare un percorso comune, superando ogni sorta di personalismo, valorizzando ciò che unisce, nella consapevolezza dell'attualità dell'obiettivo che li muove.
In questa prospettiva un eloquente esempio può essere fornito dalla Democrazia Cristiana, partito con una leadership ampia e molto articolata, ma sempre capace di trovare una sintesi nell'interesse del raggiungimento del comune obiettivo.
Da quella stagione occorre recuperare la capacità di dialogo, l'attitudine al confronto, la fatica della mediazione.

Ma un così ambizioso progetto politico potrà funzionare, a mio avviso, solo se riuscirà a soddisfare alcune condizioni, fra cui:
- Configurarsi come partito non leaderistico (che non vuol dire che non abbia leader), con regole certe e con una classe dirigente legittimata dal basso e non indicata con metodi feudali;
- essere capace di recuperare un forte radicamento territoriale;
- sapersi proporre con un chiaro progetto politico che sappia, nel contempo, rassicurare sui timori del presente e far sognare per il futuro.
Insomma un partito vero, che abbia le carte in regola per sopravvivere alla classe politica che lo ha creato.

Tralascio valutazioni sul governo; nei prossimi mesi ci saranno sicuramente occasioni per parlarne.
Andando al di là dei fatti italiani, dopo le regionali dello scorso 26 gennaio si è consumato un triste evento in Europa: quello della Brexit. E' un evento molto triste che, speriamo, non generi situazioni di emulazione in altri paesi.
L'Europa dovrà rilanciare, con una forte politica che sappia ricucire quello strappo che sembra averla separata da ampi strati dell'opinione pubblica.
Paradossalmente, l'uscita della Gran Bretagna può offrire l'occasione di rilancio, proprio partendo da quei settori bloccati dal veto inglese. In particolare, potrei citare l'istruzione, le politiche sociali, le politiche fiscali, le politiche di difesa. Giacché spesso la forma è sostanza, non farebbe male nemmeno qualche segnale formale; ad esempio la trasformazione dei Commissari in Ministri. Si dirà che è un fatto meramente formale: ebbene, intanto facciamolo!!!

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina