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Recuperiamo la cultura della responsabilità.
Lettera aperta alla Befana 2020

di Paolo Razzuoli

Cara Befana,

anche quest'anno, come gli scorsi anni, consentimi di disturbarti con alcuni pensieri e con alcune richieste riguardanti la politica.
So di chiederti molto; ma visto come vanno le cose qui fra noi umani, l'unica alternativa sembra proprio essere quella di rivolgerci a te, che sei dotata di poteri magici, e Puoi girare in ogni parte del pianeta senza creare sospetti perché sappiamo che non puoi essere intercettata né dai radar, né dai vari congegni di spionaggio.

Chissà come appare il mondo da lassù, dal tuo punto di osservazione. Muovendoti con straordinaria velocità a cavallo della tua scopa, fra un paese e l'altro, forse anche fra un continente e l'altro, hai la possibilità di osservare - senza essere vista - tante cose liete e tristi, di sentire tante persone alcune che vivono agiatamente mentre altre sono alle prese con le difficoltà più crude; forse, grazie ai tuoi poteri magici, puoi anche indagare i loro pensieri più reconditi.

Dal nostro punto di osservazione il mondo appare assai rovesciato. Forse dal tuo punto di osservazione le cose non stanno proprio così; non ci farebbe male un po' di ottimismo, ma non un ottimismo sciocco o scaramantico, bensì un ottimismo basato su elementi concreti e razionali, attestanti una presa di coscienza della complessità delle situazioni.

Ed è proprio da qui che prendo le mosse. Mi pare che si stia accentuando il divario fra le buone intenzioni e la reale capacità di trovare soluzioni, rispetto alle sfide della contemporaneità: ambiente, globalizzazione, migrazioni, innovazione tecnologica. Buone intenzioni tante, ma si dice "di buone intenzioni è lastricato l'inferno".

Un esempio paradigmatico è il tema ambientale: mentre si assiste alla incapacità di imboccare una strada politicamente concreta, si dà uno straordinario spazio (con conseguente sovraesposizione mediatica) ad una adolescente che può certo portare in piazza un bel po' di coetanei (più o meno consapevoli di ciò che fanno), ma non può certo ridursi a questo una politica che voglia superare la vana logica dell'apparenza, buona per qualche giornalata ma ovviamente inconcludente.

Proprio questa distanza fra buone intenzioni e realtà mi pare sia il tratto che attraversa trasversalmente le grandi sfide della contemporaneità. Spero di sbagliare, ma avverto che, mentre sarebbe necessario il rafforzamento di una governance complessiva dei grandi temi sul tappeto, una governance che operi nel segno di un disegno strategico, ciò che prevale è il pericoloso riaffermarsi di particolarismi nazionalistici che richiamano temperie politiche-culturali del passato, i cui effetti ben conosciamo. La sensazione è che si stia caricando la molla di meccanismi pericolosi, i cui effetti potrebbero prima o poi sfuggire di mano. E non si dica che sono affetto da pessimismo: queste sono considerazioni razionali, che chiunque abbia un po' di consapevolezza storica potrà adeguatamente valutare.
Come si sa, fortunatamente la storia non è determinista, non si muove in modo lineare bensì su un tracciato a zig-zag; nessuno può pertanto sapere come si evolverà, e magari, nel momento più imprevedibile, si creeranno le condizioni di un futuro luminoso.
Tutti ovviamente lo sperano!

E' in buona sostanza il tema dell'assunzione di responsabilità rispetto alle prossime generazioni; è il tema della capacità di guardare oltre gli angusti orizzonti del presente; è il tema del privilegio di interessi di lungo respiro rispetto a quelli contingenti.

L'europa e l'Italia non sfuggono certo a questa temperie.
Rispetto ai decenni successivi al secondo conflitto mondiale, conflitto che portò l'Europa sull'orlo dell'autodistruzione, mi pare di osservare un decadimento complessivo della qualità della politica. Riflettendo su questo, mi sembra di poter affermare che la curva verso il basso sia iniziata allorché è uscita di scena la classe dirigente che era passata attraverso la guerra. Chi ha vissuto quella tragedia, in qualsiasi condizione, aveva ben presente a quali disumane conseguenze ha condotto una certa cultura.
Comunque, prescindendo da questa mia diagnosi, credo che l'inadeguatezza delle politiche messe in campo sia sotto gli occhi di tutti. Tanto per restare in Europa, basta pensare alle politiche migratorie, alle politiche commerciali, alla politica estera, alle politiche finanziarie, per averne una conferma.
Abbiamo visto i buoni propositi della nuova Commissione presieduta da Ursula Von Der Leyn; speriamo che vengano perseguiti con energia e coerenza, anche se non basta perché, come si sa, la governance europea è binaria: europea ed intergovernativa.

Venendo ora all'Italia, mi piace prendere le mosse da un passaggio del messaggio di fine anno del Presidente Sergio Mattarella; egli ha detto:
"E’ importante anche sviluppare, sempre di più, una cultura della responsabilità che riguarda tutti: dalle formazioni politiche, ai singoli cittadini, alle imprese, alle formazioni intermedie, alle associazioni raccolte intorno a interessi e a valori. La cultura della responsabilità costituisce il più forte presidio di libertà e di difesa dei principi, su cui si fonda la Repubblica. Questo comune sentire della società– quando si esprime – si riflette sulle istituzioni per infondervi costantemente un autentico spirito repubblicano".

Fin qui il Presidente Mattarella, da cui prendo le mosse per dire che la mancanza generalizzata di cultura della responsabilità è il più grave male della nostra società. Un male sottile, sotterraneo ed insidioso; un male che non fa spettacolo, quindi ignorato dai media. Un male che è all'origine del decadimento del capitale sociale che, se non recuperato, potrà costituire la causa primaria del declino del Paese.
Il senso di responsabilità è componente fondamentale del capitale sociale; ne è la premessa e la condizione; è ciò che i pedagogisti chiamano "elementi metacognitivi".

IL recupero della cultura della responsabilità costituisce quindi la precondizione per creare i presupposti, culturali ancor prima che politici, necessari per immaginare un disegno prospettico capace di intervenire sui mali cronici in cui ci dibattiamo, che è qui pleonastico elencare.
Un impegno che riguarda tutti: società civile e classe politica. E' infatti falsa l'idea, su cui peraltro poggiano i vari populismi, che vorrebbe contrapporre una società "pulita" rispetto ad una politica "sporca".

Ovviamente, e aggiungo fortunatamente, la società italiana può vantare molteplici esempi in controtendenza: testimonianze mirabili di impegno civile e di senso di responsabilità, spesso esercitate nell'indifferenza, se non nell'ostilità, di chi le circonda.
Sono esempi che troviamo un po' ovunque, nella scuola, nella sanità, nel mondo dell'impresa, nel mirabile e vasto mondo del volontariato ed in genere del terzo settore, nelle strutture burocratico-amministrative e via dicendo.

E' a questi esempi che gli italiani dovranno guardare se vorranno recuperare quel senso di comunità nazionale capace di farli uscire dalla condizione di "assieme di tribù" per trasformarli in un "popolo". Una cultura della responsabilità intesa nel modo più completo: come capacità di farsi carico dei propri compiti, senza cercare capri espiatori per le proprie inadeguatezze e/o per l'incapacità di affrontare i problemi; come disponibilità di render conto del proprio operato rispondendo sino in fondo e senza alibi delle proprie azioni; come atteggiamento di rispetto per gli altri e di dignità propria.

Come dicevo sopra, un percorso che riguarda la società italiana nel suo complesso, ovviamente con una particolare sottolineatura per coloro che hanno responsabilità di governo. A questi è richiesto un urgente cambio di passo: quello di sapersi staccare dagli angusti confini della dittatura del presente che vede in primo piano l'interesse elettorale immediato, per imboccare la strada di orizzonti allargati al futuro, pensando alle prossime generazioni, anche quando ciò comporti sacrifici sul piano del consenso.
E qui il discorso si riconduce alla società nel suo assieme, che dovrà valutare l'azione politica con oculatezza, premiando non chi urla di più ma chi sa meglio interpretare le esigenze del presente ed il bisogno di futuro.

Cara Befana, mi piace chiudere questi pensieri con due citazioni.
La prima di Oriana Fallaci:
“Non si fa il proprio dovere perché qualcuno ci dica grazie... lo si fa per principio, per se stessi, per la propria dignità".

La seconda da WILLIAM SHAKESPEARE che fa dire a Giulio Cesare nel suo omonimo celebre dramma:
“Gli uomini in certi momenti sono padroni del loro destino; la colpa, caro Bruto, non è delle nostre stelle, ma nei nostri vizi".

Ecco cara Befana, so di chiederti un dono preziosissimo. Fa che nell'anno che ora si apre l'Italia possa vedere la presa di coscienza di quanto sia fondamentale il recupero della cultura della responsabilità quale condizione per risalire la china.
Se ciò potrà avvenire, sarà motivo di condivisione di quella fiducia a cui il Presidente Mattarella ha fatto appello nel suo messaggio di fine anno.

Lucca, 2 gennaio 2020

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