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Il caso Fioramonti eccita la politica, ma è l’ennesima truffa dell’antipolitica

di Christian Rocca

Ci mancava in effetti soltanto la beatificazione di Lorenzo Fioramonti, il ministro dimissionario dell’Istruzione, già portaborse di Tonino Di Pietro, teorico della decrescita felice, cervello in fuga all’università di Pretoria, in Sudafrica, dove non volle incontrare l’ambasciatore di Israele, noto come “l’economista dei Cinque stelle” (immaginatevi gli altri), e raffinato ideatore della tassa sulle merendine. Qualche giorno fa, per dire quanto ci mancherà, Fioramonti ha detto senza che nessuno chiamasse i vigili urbani che l’Eni, la seconda azienda italiana dopo Exor, dovrebbe abbandonare l’oil and gas per dedicarsi alla riconversione totale di tutti gli asset produttivi entro cinque anni, cancellando 75 miliardi di euro annui perché tanto, secondo “l’economista dei Cinque stelle”, il pil, il fatturato, la crescita non sono importanti, meglio una, dieci, cento Ilva chiuse per decrescere tutti in beata felicità.

Dicono, però, che Fioramonti sia stato coerente con la minaccia di dimettersi se il suo ministero non avesse ricevuto dalla legge di bilancio non so quanti miliardi di euro, da qui gli applausi e i riconoscimenti sui social. Non c’è dubbio che investire sulla scuola pubblica sia una priorità assoluta, basta vedere quanti grillini sforna ogni anno, ma a parte che quei soldi Fioramonti li avrebbe sprecati distribuendoli a pioggia come nello stile della casa, siamo sempre sul genere avanspettacolo visto che Fioramonti aveva minacciato di dimettersi prima ancora di essere nominato ministro. Non poteva pensarci prima? Se aveva davvero a cuore i giovani studenti italiani non poteva porre come condizione per accettare l’incarico di ministro la revoca degli sprechi di quota cento e del reddito di cittadinanza che altro non sono se non debiti futuri per chi oggi frequenta le scuole supervisionate dal suo (ex) ministero?

Un governo senza Fioramonti è un governo migliore, salvo intese sullo scalzacane che lo sostituirà (Pd, se ci sei, batti un colpo). Ma la cosa più incredibile è la lettura politica delle dimissioni dell’economista di Pretoria, il quale è uscito non solo dal governo ma anche dai Cinque stelle per associarsi al Gruppo misto dove ci sono altri ex grillini.

Fioramonti è un grillino progressista, scusate l’ossimoro diventato manifesto politico del Pd, ma c’è anche chi dice che i grillini di destra gli fanno il filo mentre altri assicurano che l’ex ministro sarà il primo esponente del prossimo partito di Giuseppe Conte, il premier segnaposto della Casaleggio sia con Salvini sia con Zingaretti, in un’ipotesi di alleanza strategica con il Pd, anche se nessuno ha ancora capito bene se Conte e il suo handler Rocco Casalino abbiano rotto con Casaleggio e Di Maio o facciano il gioco delle parti oppure semplicemente si barcamenino perché Casaleggio e Di Maio banalmente sono finiti in un gioco più grande di loro.

Insomma cercare una spiegazione sensata o, peggio, immaginare un futuro politico del paese sulla base delle scelte di Fioramonti o della risposta piccata che gli ha dato la ministra grillina ortodossa Fabiana Dadone (sì, ho dovuto googlare, abbiamo una ministra che si chiama Dadone, alla Pubblica amministrazione) è un’operazione inutile, oltre che stravagante. I grillini non esistono, sono il software di una società di web marketing milanese.
Trattare le divisioni falsamente ideologiche tra Conte e Di Maio, tra Fioramonti e Dadone, come quelle tra amendoliani e ingraiani ai tempi del Pci o tra dorotei e morotei ai tempi della Dc, è un’umiliante capitolazione della politica all’antipolitica.

(da www.linchiesta.it)

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