logo Fucinaidee

IL partito di cui l’Italia avrebbe bisogno e che ancora non c’è

 

Di Paolo Razzuoli

 

    Capisco che il titolo di questo pezzo possa lasciare assai perplessi: come, si osserverà, in Italia c’è bisogno di altri partiti? Ma se negli ultimi decenni ne sono sorti come funghi che hanno ingigantito le schede elettorali facendo sì che somiglino a lenzuoli.

   Sono osservazioni sicuramente veritiere, ma il tema della capacità dell’attuale offerta politica di rappresentare la società italiana è di estrema attualità.

      Lo è sostanzialmente per due ordini di problemi.

  Il primo è che dal 1993, hanno del referendum che segnò la fine del sistema dei partiti che sino ad allora aveva contraddistinto la nostra storia repubblicana, sono sorti sì numerosi partiti e partitini, ma in massima parte si è trattato di forze leaderistiche, mancanti di radicamento territoriale e di procedure democratiche per la selezione della classe dirigente. Sono stati in buona sostanza strumenti legati alle esigenze personali del leader, che si è circondato di Yes-man, in una logica feudale legata all’obbedienza. Ciò ha contribuito a accentuare il processo di distacco dalla politica dell’opinione pubblica, peraltro già in atto anche per altre ragioni di indole più generale, contribuendo alla caduta di qualità della classe dirigente che è oggi sotto gli occhi di tutti.

  Credo quindi che il rilancio della politica non possa passare che attraverso partiti che sappiano darsi regole certe per l’individuazione dei contenuti a tutti i livelli, che sappiano darsi regole certe per la selezione della classe dirigente privilegiando il merito e non l’obbedienza, che sappiano nuovamente radicarsi al territorio, ovviamente avendo ben presenti le nuove frontiere della tecnonologia e della comunicazione.

   Il secondo ordine di problemi è quello della rappresentanza delle culture politiche e dei blocchi sociali.

Saltati ormai i tradizionali riferimenti novecenteschi, la difficoltà della politica è quella di riuscire ad interpretare le sfide del futuro, in un orizzonte che sappia rassicurare sul presente e, nello stesso tempo, riesca ad individuare un percorso prospettico.

Direi che quattro sono le sfide che la politica non potrà più eludere: la globalizzazione, le migrazioni, la digitalizzazione, i cambiamenti climatici. Temi su cui non servono vuote retoriche, bensì capacità di sintesi politica che, è inevitabile, comporterà anche problemi  di consenso elettorale. Circostanza che induce più di qualche dubbio sulla capacità di affrontare i problemi in profondità, da parte di una classe politica che, direi fisiologicamente, è guidata dalla ricerca del consenso immediato; quella che in altre occasioni ho chiamata la “dittatura del presente”.

   Una complessità di scenari che sta portando, non solo in Italia, ad una radicalizzazione politica stimolata dalla difficoltà di guardare in avanti, rispetto alle quattro sfide che ho sopra indicate. Una difficoltà insomma che sembra privilegiare più il ripiegamento sul passato rispetto allo sforzo della ricerca di nuove frontiere politiche coerenti con la novità di un futuro che sembra incutere paura.

Ed ecco che questo ritorno indietro si esprime in una radicalizzazione su posizioni nostalgiche, da un lato il sovranismo nazionalista, dall’altro il recupero di una ideologia legata a temi di una sinistra ormai definitivamente tramontata e sconfessata dalla storia.

   La dimensione di questo fenomeno, il cui tarlo sta corrodendo democrazie consolidate quali quella nord-americana e quella inglese, lo rende particolarmente inquietante.

In Italia vi è di più: ovvero l’assenza di rappresentanza politica di una importante componente equilibratrice del sistema politico, qual è quella liberal-democratica. Componente di cui molti si sono serviti in questi decenni (vedi Forza Italia), ma l’abuso di riferimenti ad essa è sembrato più un omaggio ad una moda che non una consapevolezza politico-culturale e la ricerca di coerenza con essa nell’azione politica.

Non è quindi casuale che da noi non sia mai veramente iniziata una vera stagione maggioritaria dell’alternanza, che presuppone una reciproca legittimazione, sotto queste latitudini mai avvenuta.  In Italia, terra di forti condizionamenti corporativi, il liberal-riformismo non ha trovato terreno particolarmente fertile. A parole nessuno ama definirsi conservatore, ma nella sostanza il conservatorismo è riuscito, sinora, a bloccare ogni serio tentativo riformatore (vedi referendum del 2016).

Ma da allora gli scenari sono cambiati. Le spinte populiste, del resto da noi ampiamente presenti un po’ in ogni fase della nostra storia unitaria, hanno fatto un significativo balzo in avanti, giungendo al governo del Paese, e riducendo lo spazio politico di quelle componenti che, se pur con difficoltà, avevano in precedenza cercato di porsi in funzione equilibratrice del pur traballante sistema.

Ma vi è dell’altro. Attualmente, assistiamo ad una “infezione” populista anche di una forza come il Pd che, al di là di come se ne valuti l’azione politica, aveva costituito un presidio della democrazia e delle istituzioni repubblicane.

    Almeno in teoria, dovrebbe esserci una importante fetta di elettorato attualmente orfana di rappresentanza politica: orfana perché in Italia manca una forza capace di proporsi con un credibile disegno liberal-riformista; orfana poiché la radicalizzazione degli schieramenti politici ed il cedimento verso posizioni populiste dei partiti diciamo “tradizionali”, li rende incoerenti come sbocchi idonei ad incorporare i tratti di tale cultura politica.

  Già ho detto dei molteplici tentativi fatti per aggregare le forze liberal-riformiste, così come ho cercato di esprimere la mia opinione sul loro fallimento.

   Attualmente è in atto una nuova esperienza, quella di “Italia viva”, i cui destini sono ovviamente molto incerti, anche se è guidata da un profilo di grande esperienza politica.

   Molteplici sono però gli interrogativi che il tempo si incaricherà di sciogliere:

- Renzi sarà in grado di creare un vero partito radicato sul territorio, con metodi trasparenti di selezione della classe dirigente, che privilegino il merito e non l’obbedienza?

- Renzi sarà in grado di guidare un movimento che sappia valorizzare al meglio le potenzialità delle dimensioni locali quali laboratori di esperienze politiche originali, da intendersi anche quali banchi di prova capaci eventualmente di proiettarsi nella dimensione nazionale?

- Sarà in grado Renzi di superare i recinti degli immediati tatticismi in favore di scelte di ampio orizzonte, anche se in un primo momento dovessero tradursi in sacrifici di consensi?

- Sarà in grado Italia Viva di proporsi al Paese con un disegno riformista complessivo che agisca in profondità sui mali cronici del nostro sistema paese?

- In altre parole, sarà Renzi capace di imprimere al movimento di cui assume la guida, una vera capacità di sapersi svincolare dalla “dittatura del presente”, in favore di una strategia che, mentre trovi la capacità di rassicurare sui timori dell’oggi sappia far sognare per il domani?

      Sono sfide gigantesche, che richiedono coraggio, equilibrio, lungimiranza. Sono le sfide che segnano il confine fra un politicante ed uno statista. De Gasperi diceva che la differenza fra un politico ed uno statista è che il politico pensa alle prossime elezioni mentre lo statista pensa alle prossime generazioni.

   In Italia, e non solo, c’è un grande bisogno di statisti…

 

    Il tempo e gli eventi si incaricheranno di dirci se l’esperimento di Italia Viva avrà seguito, o se andrà ad arricchire la già lunga catena di fallimenti.

   Se il movimento riuscirà ad accreditarsi come soggetto capace di rappresentare quell’area liberal-riformista oggi priva di rappresentanza, potrà costituire un dato di autentica novità nello scenario politico italiano. Se invece si limiterà a raccogliere qualche manciata di voti in uscita dal Pd, il suo ruolo sarà effimero e si esaurirà brevemente. Per raggiungere il suo obiettivo, il movimento dovrà misurarsi con uno stringente lavoro progettuale, che è terreno ben più arduo della manovra politica, in cui Renzi sembra essere particolarmente a suo agio.

   Restando in argomento di progettualità, ai lettori di Fucinaidee, poi anche ai referenti di Italia Viva, propongo un documento programmatico con indicazioni concrete di idee per un disegno riformista per l’Italia.

Non ho certo la presunzione di aver pensato cose particolarmente originali; è tuttavia un disegno globale, che affronta le sfide del tempo che viviamo e che, purtroppo, sembra tanto distante dai reali orizzonti della politica attuale.

    Ma pur non facendosi illusioni, credo sia doveroso tener acceso il lume della speranza, ricordandosi che già Platone diceva che la politica è la più nobile delle attività umane.

 

Cliccare qui per leggere/scaricare il documento programmatico

 

Lucca, 2 novembre 2019

 

 

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina