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Populisti alla prova delle elezioni europee

di Andrea Boitani e Rony Hamaui

Che risultato otterranno i partiti populisti alle prossime elezioni europee? Molto probabilmente non avranno la maggioranza. Potrebbero però aiutarli il sistema elettorale e la disponibilità ad alleanze “spregiudicate”. Conterà anche l’affluenza alle urne.

Il ruolo del proporzionale

Nelle ultime settimane numerosi sondaggi hanno indicato come i partiti populisti ed euroscettici potrebbero conseguire un notevole risultato alle prossime elezioni europee, anche se sembrano ancora incapaci di conquistarsi la maggioranza. Questa rimarrebbe appannaggio di un’ampia coalizione di centro sinistra, che dovrebbe includere non solo il Partito popolare europeo (Ppe) e l’Alleanza progressista dei socialisti e democratici (SD), oggi al potere, ma necessariamente anche l’Alleanza liberali e democratici per l’Europa (Alde) e forse i Verdi. Tuttavia, le preoccupazioni rimangono forti, anche per numerosi aspetti istituzionali e politici che è bene analizzare con attenzione.

In primo luogo, i movimenti e i partiti populisti trovano nel Parlamento europeo un terreno particolarmente fertile, dato il sistema elettorale proporzionale (in Italia con soglia di sbarramento al 4%) che lo caratterizza. A differenza di quanto accade con sistemi maggioritari o a doppio turno, anche giovani formazioni poco rappresentative hanno l’opportunità di emergere e non esistono “voti inutili” in un sistema proporzionale, purché si superi la soglia di sbarramento.

In secondo luogo, il sistema politico europeo presenta ancora cicli politici poco sincronizzati tra i diversi paesi (quando uno va a destra, gli altri vanno a sinistra). Questo fa sì che difficilmente emerga un vero partito vincente, mentre molto spesso si sono dovute formare larghe coalizioni di centro, che finiscono per lasciare ampio spazio politico ai partiti populisti, che di solito tendono a occupare posizioni estreme nell’arco parlamentare.

In terzo luogo, è bene ricordare che i partiti populisti, soprattutto all’inizio, tendono a marcare in maniera forte la loro identità. Questo fa pensare che il prossimo parlamento europeo possa essere particolarmente frammentato. La frammentarietà è anche il portato del fatto che l’offerta politica di partiti euroscettici e nazionalisti copra molte aree del quadro politico: dall’estrema destra nazionalista liberista a quella protezionista, fino ai partiti antisistema di sinistra.

La questione dell’affluenza

Due meccanismi possono però entrare in azione per attenuare o addirittura annullare il carattere isolazionista dei partiti populisti e portare ad alleanze rischiose. Uno è intrinseco ai meccanismi istituzionali del Parlamento europeo e l’altro legato alla natura dei partiti populisti. Da un lato, infatti, i regolamenti parlamentari europei prevedono la formazione di gruppi politici, che devono essere composti da un numero minimo di 25 deputati rappresentanti almeno un quarto degli stati membri, e assegnano loro diverse importanti prerogative. Dall’altro lato, i partiti populisti si caratterizzano per avere una “ideologia sottile” che permette loro, in qualsiasi momento, di combinarsi ad altre differenti ideologie di quasi qualunque tipo. Un pragmatismo funzionale volto a raccogliere il consenso e gestire il potere, ovviamente in nome del popolo. L’interesse politico può dunque portarli ad allearsi ad altre formazioni populiste politicamente distanti ma vicine per interesse, come il caso italiano dimostra bene.

Tutto ciò rende le prossime elezioni europee particolarmente insidiose, anche se bisogna riconoscere che, oggettivamente, la crescita dei partiti populisti, nazionalisti e anti-Europa ha avuto il merito, quasi per contrappasso, di riportare la costruzione europea al centro del dibattito politico. Questo ha accresciuto l’importanza della prossima tornata elettorale e l’ha resa più “europea” e più “politica” .

Non è certo (anzi è persino improbabile) che tutto ciò comporti una maggiore partecipazione popolare alle prossime elezioni. L’affluenza alle urne è infatti calata costantemente negli ultimi quarant’anni, cioè dalla prima elezione europea del 1979. Tuttavia, una scarsa partecipazione popolare potrebbe rivelarsi la buccia di banana sulla quale forse scivoleranno i partiti populisti, che generalmente pescano nell’elettorato più povero e meno consapevole dei danni di lungo periodo che le politiche populiste hanno sempre provocato: è lo stesso elettorato che più tende a non partecipare al voto europeo.

(da www.lavoce.info)

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