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Fiducia zero, economia a picco: così il governo gialloverde ha ammazzato la ripresa italiana

di Stefano Cingolani

Titanic Italia

Ma quale Germania, come insiste Giuseppe Conte anche in quel di Buenos Aires, è la domanda interna non quella estera a far scendere il prodotto lordo. Ma quale 1,2% (stima governativa per il 2018) se chiudiamo l’anno tra 0,8 e 0,9% è grasso che cola. Ma quale reddito di cittadinanza, qui bisognerà mettere mano nuovamente alla cassa integrazione. Ma quali assunzioni, i pensionamenti a quota 100 finiranno per alleggerire le imprese dagli esuberi (e il peggioramento della disoccupazione risalita al 10,6% lo conferma). Quale 2,4 o 2,2%, c’è da temere che il deficit sul pil sfondi quota 3% per l’effetto automatico della congiuntura negativa. Altro che 1,5%, facciamo le corna e speriamo che il 2019 non porti un’altra recessione, la terza in dieci anni.

Quante illusioni, quante chiacchiere, quante bugie ha spazzato via l’ultimo bollettino trimestrale dell’Istat. Che doccia gelida sul governo intento a trattare con l’Unione europea, ma soprattutto a rassicurare i risparmiatori. Perché una cosa è chiara, la brusca frenata per non chiamarla ancora caduta, è domestica, deriva dalla riduzione della domanda interna, per consumi e per investimenti, e questa a sua volta è la conseguenza di una vera e propria crisi di fiducia. Non si investe, non si spende, si resta liquidi per paura del futuro prossimo venturo. Il cavallo non beve, come si diceva un tempo, anche se i secchi sono pieni d’acqua. In fondo i dati Istat fanno pendant con il fallimento dell’asta del Btp Italia che ha messo in allarme il governo molto più dei richiami e dei proclami di Bruxelles. Ma vediamo innanzitutto le cifre.

Nel terzo trimestre il pil è diminuito dello 0,1% sul trimestre precedente dopo aver registrato crescita zero tra giugno e agosto. Rispetto allo stesso periodo del 2017 siamo a più 0,8%. La variazione fin qui acquisita per l’intero 2018 è 0,9%. L’Istat scrive che “tutti i principali aggregati della domanda interna registrano diminuzioni, con una riduzione dello 0,1% dei consumi finali nazionali e dell’1,1% degli investimenti fissi lordi. Le importazioni e le esportazioni sono cresciute rispettivamente dello 0,8% e dell’1,1%”.

Dunque, non è vero che l’Italia viene trascinata in basso dal calo della domanda estera, in particolare quella della Germania alla quale siamo indissolubilmente avvinti. Il rallentamento europeo e tedesco c’è, tuttavia le imprese italiane finora sono riuscite a compensarlo grazie agli sbocchi negli Stati Uniti e in Asia, tanto che “l’apporto della domanda estera netta è risultato positivo per 0,1 punti percentuali”. Insomma, non è fuori dai confini che dobbiamo guardare, bensì alla “domanda nazionale che, al netto delle scorte, ha sottratto 0,3 punti percentuali alla crescita del Pil - scrive ancora l’Istat - con un contributo nullo per i consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private e per la spesa delle Amministrazioni Pubbliche e negativo per 0,2 punti percentuali per gli investimenti fissi lordi. La variazione delle scorte ha fornito un contributo nullo alla variazione del Pil, mentre Dal lato dell’offerta di beni e servizi, si registra un andamento congiunturale positivo soltanto per il valore aggiunto dell’agricoltura, cresciuto dell’1,6%, mentre quelli dell’industria e dei servizi sono diminuiti, rispettivamente, dello 0,1% e dello 0,2%”.

Fin qui il bollettino medico. È vero che il rallentamento era già cominciato nella prima metà dell’anno, ma obiettivamente le cose sono davvero peggiorate da maggio in poi. Una domanda viene subito in mente: possibile che il Mef (Ministero dell’economia e delle finanze) non sapesse nulla? Possibile che economisti di lungo corso come Giovanni Tria e di chiara fama come Paolo Savona non avessero sentore della svolta? Stentiamo a crederlo; forse non conoscevano i dettagli, ma era evidente a tutti che le cose si stavano mettendo male. Allora perché hanno continuato a insistere con i loro obiettivi irrealistici e con le loro previsioni quanto meno fantasiose? Forse Luigi Di Maio, imprenditore di famiglia, conosceva più degli altri l’andamento della economia reale. Mentre Matteo Salvini, tutto preso dalle partite Iva, non ha dato retta ai lamenti che vengono dal partito del pil. C’è qualcosa che sa di commedia degli errori in tutto quel che accade attorno al capezzale della economia italiana. Una commedia che spesso si tramuta in farsa (soprattutto quando appare sugli schermi tv Laura Castelli sottosegretario all’economia domestica) e rischia di degenerare in tragedia.

Volendo buttarla in caciara, verrebbe da dire che il governo del cambiamento finora ha visto solo un cambiamento in peggio: i giallo-verdi partiti all’arrembaggio della Unione europea nel nome della crescita contro l’austerità, stanno sperimentando la decrescita (tutt’altro che felice). Il governo ha un argomento forte per rintuzzare la polemica: siccome la domanda interna scende è tanto più importante sostenerla con una politica espansiva. Sarebbe una replica valida se davvero la legge di bilancio contenesse uno sforzo sviluppista, invece vuole innanzitutto distribuire un reddito che non è stato ancora prodotto e che forse, con questi chiari di luna, non lo sarà. Fuor di metafora, se avesse spinto sugli investimenti e sulla riduzione delle imposte che gravano sul lavoro e sulle imprese, invece di favorire il non lavoro, irrigidire il mercato e punire chi dall’estero investe in Italia (ci siamo già dimenticati del “decreto dignità”?).

Conseguenza di tutto ciò è più deficit e più debito, esattamente come sostengono non solo la Ue, ma il Fmi, l’Ocse tutti gli uffici studi delle banche e dei fondi d’investimento, insomma quelli che muovono denari. Giuseppe Conte è partito per il G20 di Buenos Aires deciso a convincere che lui (o meglio i suoi mandanti) ha ragione e tutti gli altri torto. Paolo Savona ha cominciato ad avere qualche dubbio. Quanto a Giovanni Tria, che di dubbi ne aveva fin dall’inizio, non ha la forza di dire no.
Fuori le scialuppe, la punta dell’iceberg ha già colpito il Titanic.

(da www.linchiesta.it)

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