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Il problema dell’Italia è la resa al declino

di Paolo Razzuoli

Lo ascoltiamo in radio e tv; lo leggiamo sulla carta stampata. Tutti vogliono evitare il default e gli scenari disastrosi nei prossimi mesi. Ma non c’è agenda alternativa a Lega e Cinque Stelle che non sia un placido vivacchiare nella mediocrità. Che prima o poi ci porterà comunque al disastro.

Tutta Italia, da nord a sud, da mattina a sera, parla, pensa, dibatte su come evitare l'aumento dei tassi e la crisi che ne conseguirebbe.
Nessuno o quasi si occupa di come evitare il continuo declino e l’assenza di crescita. Eppure fermare il declino è l’unica maniera per evitare la frana che, altrimenti, prima o poi ci travolgerà. E non è nemmeno detto lo faccia per le vie ed i modi che tutti si attendono e per bloccare i quali costruiscono argini e sbarramenti.

Nonostante le volgari smargiassate di molti ministri è palese che a via XX Settembre (e non solo) sono preoccupati assai.
Gli scenari che portano alla frana sono svariati (ed includono ulteriori e peggiori sbruffonate). Se lo spread arrivasse a 400 punti, molte banche dovrebbero ricorrere all'aumento di capitale per rispettare i parametri di Basilea. SE si verificasse un ulteriore declassamento da parte delle agenzie di rating, sorgerebbero grossi problemi anche con la BCE; essa, per statuto, non può avere in portafoglio titoli che non siano investment grade ed in questo caso un intervento salvifico diventerebbe davvero difficile per tutti e costosissimo per gli italiani.
E' chiaro che in un siffatto scenario i capitali cercherebbero di uscire dall'Italia.

In questa atmosfera romana così classicamente tardo-imperiale, mi permetto di far osservare che, seppur non impossibile, lo scenario del grande disastro è quello meno probabile. Molto più probabile, invece, è che si continui sulla strada del traccheggio, delle finte riforme e dei grandi proclami che nascondono il continuo degrado del settore pubblico e del sistema economico.

Nessuno ha il coraggio, o la capacità, di affrontare i problemi in profondità, andando oltre i soliti, vani ed inconcludenti, proclami.
Qualcuno sta per caso facendo attenzione agli scempi che il viceministro per l’università, Fioramonti, sta compiendo? O alla scandalosa conduzione del ministero dei trasporti da parte dell’incompetente messo a dirigerlo?
Qualcuno sta provando a chiedersi se, sussidi di cittadinanza o meno, sia possibile riformare le agenzie per il lavoro costruendo anche in Italia un sistema di ricerca dell’impiego con associata copertura assicurativa universale degna di un paese avanzato?
Forse che da qualche parte nel mondo imprenditoriale qualcuno sta sforzandosi di provare a disegnare una riforma fiscale che davvero riduca e meglio distribuisca il peso delle imposte, invece di farsi abbindolare da false promesse di tasse pseudo-piatte?

Il continuo dissesto delle finanze locali nelle regioni meridionali ed il sempre urgente (da più di quarant'anni almeno) ridisegno del sistema di finanziamento e responsabilizzazione degli enti locali è per caso nell’agenda di qualcuno ed oggetto di dibattito da parte di qualche forza sociale o politica? Forse sarò distratto ma a me sembra di no.

Il prostrarsi della società civile italiana (Confindustria ed associazioni imprenditoriali in prima linea) alle folli ubbie della politica-spettacolo, anestetizzata dalla "dittatura del presente", ha rimosso dal tavolo del dibattito (e delle speranze che è sicuramente legittimo coltivare) persino l’idea che il declino si possa arrestare e questo paese possa ricominciare a crescere per davvero. Non se ne discute più nemmeno a livello teorico o anche solo di aspirazione sociale.
Non facciamo finta di nulla; chi ha ambizioni, oramai, prende il passaporto e se ne va.

In un ridicolo rovesciamento dei significati e dei nessi causali l’espressione “politiche per la crescita economica” è diventata, in Italia, sinonimo di “maggior spesa pubblica assistenziale finanziata a debito”. E questo, meglio esser chiari, non avviene certo dal 4 marzo 2018: questa degenerazione del linguaggio economico data decenni addietro e la sua accettazione nel modello del mondo comunemente usato dagli italiani si deve all’operato di praticamente tutti i leader politici, di destra o di sinistra, dagli anni ’80 in avanti. Ed all’ossequioso consenso che le elite della società civile hanno tributato a questa ridicola inversione di priorità.

Le pur timide e contorte dichiarazioni, in sede di audizione parlamentare, dei dirigenti di Banca d’Italia e dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio vengono interpretate dal governo come una dichiarazione di guerra, mentre sono fondamentalmente ignorate nel dibattito pubblico.
Ciò mi pare attesti il pericoloso livello di degenerazione della politica e di miopizzazione economica in cui viviamo.
Eppure, nel loro bizantino non menzionare quali misure sarebbero necessarie per crescere, tali affermazioni le svelano in assenza: non si crescerà mai a mezzo di spesa pubblica assistenziale, men che meno se finanziata a debito. Si potrà solo lasciare che il declino economico continui a velocità accelerata mentre tutti si affannano a costruire dighe per proteggersi da un’eventuale frana.

La morale che traggo da queste considerazioni è la seguente:
E' certo opportuno discutere su come evitare la frana, ma non basta. Non si può tenere un Paese in situazione di continua emergenza.
Occorre per questo allungare lo sguardo oltre l'orizzonte sapendo affrontare invece, ed in profondità, le cause dello smottamento. Il quale, continuando, causerà un giorno la frana che si pensava di aver evitato.

Lucca, 28 ottobre 2018

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