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Italia-Ue: serve nuova casa per rilanciare il matrimonio

di Sergio Fabbrini

Il rapporto tra l’Italia e l’Unione europea (Ue) assomiglia a un matrimonio in crisi. Dopo mezzo secolo di una convivenza pacifica e reciprocamente soddisfacente, con la Grande Recessione di questo decennio la relazione sentimentale tra l’Italia e l’Ue si è progressivamente deteriorata. La nascita di un governo sovranista, dopo le elezioni italiane del 4 marzo scorso, ha incrudito la sfiducia tra i due partner. L’establishment politico dei principali Paesi europei e delle istituzioni sovranazionali ritiene che l’Italia sia divenuta inaffidabile, incapace di modernizzarsi e riformarsi, anche perché governata da un’alleanza di politici dilettanti e ideologizzati. A sua volta, l’anti-establishment governativo italiano manifesta un risentimento viscerale nei confronti dell’Ue, considerata espressione di tecnocrazie insensibili verso le difficoltà che l’Italia ha dovuto affrontare per la crisi economica e migratoria. C’è una via d’uscita da questa crisi? Vediamo almeno come stanno le cose.

Non vi è dubbio che la crisi sia stata accelerata dal governo italiano. Quest’ultimo ha presentato a Bruxelles, pochi giorni fa, una proposta di legge di bilancio che contraddice esplicitamente e unilateralmente le regole che tengono insieme l’Eurozona, oltre che gli impegni presi dallo stesso governo in una riunione del Consiglio dei ministri dell’Economia che si è tenuto prima dell’estate. La Commissione europea ha subito risposto con una lettera che considera quasi-provocatoria quella proposta di bilancio, in quanto prevede un drastico innalzamento del deficit sul Pil giustificabile né da emergenze sociali né da strategie economiche. Essa ha quindi avvalorato la valutazione negativa, della proposta finanziaria del governo, formulata pochi giorni fa dal nostro Ufficio parlamentare di bilancio (un organismo indipendente creato nel 2012 sulla base della riforma costituzionale dell’Art. 81 sul pareggio di bilancio).

La posizione della Commissione è stata condivisa dalla generalità dei capi di governo degli stati membri dell’Eurozona. Questi ultimi (alcuni con inusuale ruvidezza) hanno richiamato la Commissione a svolgere il proprio ruolo di garante delle regole del Patto di stabilità e crescita, pena la messa in discussione della coesione dell’intera Eurozona. Nessuno, tanto meno i governi sovranisti, vuole farsi carico del nostro debito pubblico. Come è emerso nella riunione informale dell’Euro Summit (dei capi di governo dell’Eurozona), tenutosi giovedì scorso a Bruxelles, l’Italia è isolata come mai era avvenuto nel passato.

Naturalmente, anche all’interno del nostro Paese non sono mancate le critiche alla proposta governativa. I principali gruppi di interesse hanno denunciato il carattere elettoralistico della legge di bilancio. Quest’ultima è criticata di fare spesa in deficit per soddisfare le constituencies elettorali dei partiti di governo, piuttosto che per avviare un progetto di crescita economica del Paese. Per di più, una legge di bilancio così discutibile viene proposta da un governo internamente diviso. Difficile tenere tranquilli i mercati finanziari in queste condizioni (tant’è che lo spread è salito, da aprile ad ottobre, da 138 a 334 punti base e la spesa per interessi di un BTp è giunta al 3,5 per cento).

Mentre il Paese deve affrontare sfide minacciose (come il rallentamento del tasso di crescita dell'economia internazionale), i leader del suo governo sembrano essere in una permanente contesa personale. Lo stesso premier è stato costretto ad allontanarsi, durante la riunione del Consiglio europeo di giovedì scorso a Bruxelles, per parlare con Roma e cercare di capire cosa stava succedendo. Difficile difendere i nostri interessi nazionali in queste condizioni.

Paradossalmente, però, l’isolamento europeo dell’Italia fornisce la colla per tenere insieme i pezzi separati del governo. L’Ue è stata trasformata, dai suoi due vice-premier, nel capro espiatorio delle rispettive difficoltà a governare. Non sono i primi a farlo, ma nessun governo precedente aveva colpevolizzato l’Ue come l’attuale governo. Dieci anni di colpevolizzazione hanno finito per produrre un diffuso sentimento anti-europeo tra gli italiani. Secondo i dati dell’Eurobarometro (resi pubblici la settima scorsa), se si tenesse oggi un referendum sulla appartenenza del proprio Paese all’Ue (nei suoi 28 stati membri), solamente in Italia e nella Repubblica Ceca una minoranza di elettori voterebbe a favore (rispettivamente il 44 per cento e il 47 per cento) mentre in tutti gli altri Paesi l’appartenenza sarebbe sostenuta da maggioranze (seppure differenziate) di elettori.

Così, il Paese di Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi, il Paese dei Trattati fondativi dell’attuale Ue, è divenuto il Paese più euro-scettico (in assoluto) dell’intero continente. Una buona notizia per i sovranisti, pessima per il Paese e il suo futuro. Se si vuole riaccendere il sentimento europeista degli italiani, non si può continuare a presentare l’Ue esclusivamente come un vincolo e mai come un’opportunità. Un vincolo, per di più, non sempre giustificabile. Basti pensare a quelle politiche (come la politica migratoria), gestite da una logica intergovernativa, in cui i nostri legittimi interessi nazionali sono stati a lungo disconosciuti. Ci vuole un controcanto del sovranismo, una voce che ricordi agli italiani i tanti vantaggi (economici, sociali, culturali) che l’appartenenza all’Ue ci ha garantito.

Ma, come abbiamo visto nel Regno Unito, non basta sostenere che l’Ue “conviene” (e sicuramente conviene) per preservarla. Quel controcanto deve anche indicare come l’Ue deve cambiare per venire incontro alle esigenze legittime di tutti i suoi stati membri (tra cui il nostro). Insomma, se si vuole salvare il matrimonio tra l’Italia e l’Ue, non è sufficiente denunciare chi lo vuole fare fallire. È necessario trovare anche una nuova casa per farlo rinascere.

(dal Sole 24 Ore - 22 ottobre 2018)

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